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“Cosa sono l'immagine e il pensiero?”
Percorsi bibliografici sul rapporto cinema/filosofia

di Daniele Dottorini

Accingersi a ripercorrere il dibattito sul rapporto tra l'immagine in movimento e la ricerca filosofica, individuarne gli aspetti salienti e gli autori più significativi non è affatto un'impresa facile, non più di quanto possa sembrare ad un primo sguardo.
La difficoltà sta anzitutto in una serie di motivazioni legate al modo in cui questo rapporto si è articolato nel corso del Novecento; rapporto che, di volta in volta, si scontrava con la necessità (o l'impossibilità) di determinare cosa fossero in realtà i due "oggetti" che lo fondavano: cosa fossero, vale a dire, il "cinema" e la "filosofia". Ogniqualvolta tale problema è stato posto, inevitabilmente una risposta, per quanto implicita, si è data. Il rapporto stesso si è determinato non prima di aver definito il ruolo, l'essenza stessa della filosofia e del cinema. Molto spesso, la legittimazione del rapporto parte dalla sovrapposizione della prima sul secondo: la filosofia è chiamata a riflettere sul cinema, ad esplicitarne i meccanismi profondi produttori di senso, la possibilità o meno che un'immagine sia rilevante per il pensiero, ecc...
Ma in nome di quale legittimità è possibile che la filosofia (qualunque cosa chiamiamo con questo nome) finisca per inserirsi in un territorio altro come quello del cinema (qualunque cosa chiamiamo con questo nome) e magari anche sovrapporvisi? E' in fondo a partire da questa domanda che può allora porsi la possibilità di un percorso bibliografico-concettuale che non voglia risolversi semplicemente in un elenco (alquanto lungo, per la verità) di testi che abbiano per oggetto un'indagine filosofica sul cinema. Rintracciare cioè, attraverso una manciata di testi e di autori, i punti chiave non di un'analisi filosofica sul cinema, ma di una problematizzazione del rapporto stesso e dei due termini che lo compongono. Come cioè questo rapporto non finisca per riproporre un'idea precostituita del cinema e della filosofia ma si costituisca anzi come forma particolare di interrogazione delle modalità di produzione concettuale di entrambi.
La domanda da cui siamo partiti è stata posta in realtà già da Stanley Cavell, filosofo statunitense i cui testi sul cinema (a parte uno: Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino 1999) non sono stati tradotti in Italia. Il testo fondamentale del percorso di Cavell è senz'altro The World Viewed: Reflections on the Ontology of Film, Viking, New York 1971, in cui Cavell fonda la possibilità stessa del rapporto nel problema dell'eredità culturale in cui riposa ogni riflessione filosofica. La pregnanza del cinema sta nella suo grado di penetrazione nella nostra esperienza ordinaria, marca il nostro orizzonte di vita. In questo senso, il cinema costituisce una sfida allo statuto stesso della filosofia, in quanto ci introduce in un "mondo visto", in una modalità particolare di rendere reali gli oggetti attraverso lo schermo e quindi, costringe, per così dire, la filosofia a confrontarsi con una modalità fondamentale del darsi dell'esperienza.
Dunque la domanda pone in realtà in discussione il ruolo stesso della ricerca filosofica che è chiamata, nel rapporto con la produzione cinematografica, a confrontarsi con il quotidiano, l'ordinario, con gli oggetti (e le modalità di esperienza degli oggetti) della nostra esistenza.
Ma la questione può essere posta in maniera ancora più radicale, ed è quanto fa Gilles Deleuze nei suoi due testi sul cinema: L'immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1987; L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989. E' proprio nella pagina finale del secondo libro che Deleuze riformula la questione del rapporto: “Per molta gente la filosofia non è qualcosa che "fa se stessa", ma qualcosa che preesiste bell'e fatta in un cielo prefabbricato. Eppure la teoria filosofica è una pratica, tanto quanto il suo oggetto. Non è più astratta del suo oggetto. E' una pratica dei concetti e va giudicata in funzione delle altre pratiche con cui interferisce. (...). La teoria del cinema non si fonda sul cinema, ma sui concetti del cinema, che sono pratiche effettive ed esistenti quanto lo stesso cinema. (...). Sicché c'è sempre un'ora, mezzogiorno-mezzanotte, in cui non bisogna più chiedersi "che cos'è il cinema?", ma "che cos'è la filosofia?"(p. 308).
Per Deleuze quindi, la domanda deve essere posta in modo radicale: interrogarsi sul rapporto cinema/filosofia significa riconoscere la necessità di tale rapporto come operazione di chiarimento ontologico della filosofia, chiamata, ancora una volta ad esplicitare il suo compito di paratica concettuale, di attività volta alla creazione e all'invenzione dei concetti.
Ciò che emerge è un piano concettuale in cui il rapporto non si fonda su una pregiudiziale, in cui la filosofia non è indicata tanto come attività riflessiva in grado quindi di trovare riscontro nel territorio del cinema (il pensiero nel cinema o pensiero sul cinema); ma si configura come attività che nel rapporto stesso trova la sua funzione di pratica dei concetti in analogia ad una pratica delle immagini e dei segni come quella cinematografica (pensiero e cinema).
E' in questa direzione che l'indagine contemporanea può trovare sbocchi più interessanti e in cui, anche in Italia, il dibattito sta assumendo forme di visibilità fino a qualche anno fa difficilmente prevedibili.
Per quel che riguarda la situazione italiana, infatti, due testi in particolare ci sembrano rappresentativi del dibattito degli ultimi anni. Il primo di Edoardo Bruno (Il pensiero che muove, Bulzoni, Roma 1998) raccoglie il frutto della ricerca che il suo autore ha condotto per anni sul problema del rapporto cinema/filosofia, nel tentativo di elaborare un linguaggio, una modalità espressiva che, “...come quella del film, oltre il narrato, esprime un "pensare", che arriva al concetto e dunque alla filosofia” (p. 9). In questo senso, allora, il film, più che un oggetto da analizzare secondo griglie concettuali e categorie prefissate, si manifesta come soggetto “...con cui entrare in comunicazione, oltrepassando la linea di demarcazione fissata dal suo "essere", per entrare nelle vòlute nascoste del suo pensiero” (p. 10). Il film allora, entra di diritto nel territorio della filosofia nel momento in cui la sua attività mi costringe a confrontarmi con il vedere, con lo sguardo più che con l'immagine: “Dentro l'immagine vedo così riflesso più l'occhio di chi guarda che l'oggetto guardato, annullo le ragioni di rassomiglianza e vedo la finzione che - come suggerisce Foucault - consiste non nel far vedere l'invisibile, ma nel far vedere quanto è invisibile l'invisibilità del visibile” (p. 103).
Esplorare la domanda porta dunque a rovesciarne i presupposti: se inizialmente il problema era di stabilire la legittimità di un'analisi filosofica del cinema (Cavell), fino a stabilire un'analogia operativa tra cinema e filosofia (Deleuze), ora il discorso diventa quello di riconoscere nel cinema un primato conoscitivo con cui il discorso filosofico deve fare i conti: un modalità del darsi del reale, di uno "sguardo" su di esso, che è logicamente prima di ogni discorso, di ogni mediazione di linguaggio. E' in questa direzione, pur all'interno di un percorso autonomo di ricerca, che sembra muoversi l'approccio al problema di Pietro Montani in un suo recente saggio, L'immaginazione narrativa. Il racconto del cinema oltre i confini dello spazio narrativo, Guerini, Milano 1999. Montani parte proprio dal riconoscimento che il cinema si costituisce come spazio oltrenarrativo, spazio in cui la modalità del senso si costituisce in una “...intermediazione originaria tra qualcosa che è dato e qualcosa che ha senso” (p. 14). Il cinema può quindi costituire non tanto un oggetto della ricerca filosofica, quanto un suo necessario correlato, nel momento in cui gli si riconosce lo statuto di "immaginazione al lavoro" e, contemporaneamente, di qualcosa che mostra, nel rapporto di fruizione, la materia "reale", un immediato "stadio estetico della materia".
Alla fine di questo breve excursus, dunque, va dovutamente messo in evidenza che i testi di cui ci siamo serviti per tracciare il percorso sono da considerare indicativi dei punti salienti di un dibattito che non è concluso né sorpassato da una più generale riconsiderazione del rapporto tra filosofia e nuove tecnologie (all'interno del quale il cinema sembra essere relegato in una posizione subordinata). Troppe sono le omissioni importanti, i testi mancanti, gli autori non citati che, di diritto, dovrebbero entrare in una ricognizione del rapporto cinema/filosofia. Al fine di offrire anche degli strumenti di approfondimento del problema, indichiamo in appendice una serie di testi che costituiscono, a nostro avviso, una bibliografia introduttiva ad un problema che mette in gioco, come si è visto il ruolo e il senso stesso del "fare" filosofia.

Testi citati:

Bruno, Edoardo, Il pensiero che muove, Bulzoni, Roma 1998

Cavell, Stanley, Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino 1999.

Cavell, Stanley, The World Viewed: Reflections on the Ontology of Film, Viking, New York 1971

Deleuze, Gilles, L'immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1987

Deleuze, Gilles, L'immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989

Montani, Pietro, L'immaginazione narrativa. Il racconto del cinema oltre i confini dello spazio narrativo, Guerini, Milano 1999.

Bibliografia:
(la seguente bibliografia è un percorso ragionato sui principali testi in cui è indicata una problematizzazione del rapporto cinema/filosofia. Il criterio è quello di indicare - quando c'è - l'edizione più recente in lingua italiana del testo o l'edizione originale nel caso in cui la traduzione in lingua italiana non sia disponibile)

Agel, Henry, Poétique du cinèma, Editions du Signe, Paris 1973.

Andrew, Dudley J., Concepts in Film Theory, Oxford University Press, New York 1976.

Aumont, Jacques, L'occhio interminabile, Marsilio, Venezia 1991.

Aumont, Jacques, Marie, Michel, Esthetique du film, Nathan, Paris 1988.

Balàzs, Bela, Il film. Evoluzione ed essenza di un'arte nuova, Einaudi, Torino 1987.

Barbaro, Umberto, Poesia del film, Edizioni di "Filmcritica", Roma 2000.

Barthes, Roland, L'ovvio e l'ottuso, Einaudi, Torino 1985.

Bazin Andrè, Che cos'è il cinema?, Garzanti, Milano 1999.

Benjamin, Walter, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1999.

Bruno Edoardo, Film altro reale, Il formichiere, Milano 1978.

Bruno Edoardo, Film come esperienza, Bulzoni, Roma 1986.

Carroll, Noel, Philosophical Problems in Classical film Theory, Princeton University Press, Princeton, 1988.

Cohen-Séat, G., Essai sur le principles d'une philosophie du cinèma, Presses Univeritaire de France, Paris 1946.

Curi, Umberto, Lo schermo del pensiero. cinema e filosofia, Raffaello Cortina, Milano 2000.

Della Volpe Galvano, Il verosimile filmico ed altri scritti di estetica, Edizioni di "Filmcritica", Roma 1954.

Denzin, Norman K., Images of Postmodern Society. Social Theory and Contemporary cinema, Sage Publications, London 1991.

Ejzenstejn, Sergej Michailovic, La natura non indifferente, Marsilio, Venezia 1981.

Ellis, J., Visible Fictions, Routledge, London 1982.

Garroni, Emilio, Semiotica ed estetica, Laterza, Bari 1968.

Horkheimer, Max, Adorno, Theodor, W., Dialettica dell'illuminismo, Einaudi, Torino 1997.

Jameson, Fredric, The Geopolitical Aesthetic. Cinema and Space in the World System, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 1992.

Lyotard, Jean-François, L'acinèma, in "Revue d'Esthétique", n. 2-4, 1973.

Melchiorre, Vito, L'immaginazione simbolica, Il Mulino, Bologna, 1972.

Merleau-Ponty, Maurice, Senso e non-senso, Il Saggiatore, Milano 1962.

Morin, Edgar, Il cinema o l'uomo immaginario, Feltrinelli, Milano 1982.

Morin, Edgar, Sociologia della sociologia, Edizioni Lavoro, Roma 1985.

Ropars, Marie Claire, Le texte divisé, Presses Universitaires de France, 1981.
 

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