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        Jean-Jacques Wunenburger, Filosofia delle immagini, tr.it. di S.Arecco, Torino, Einaudi, 1999, pp. 5-433

(Aldo Meccariello)

 

Il libro di Wunenburger ha l’innegabile merito di tematizzare in maniera esplicita l’immagine come problema e categoria filosofica autonoma.

Per la prima volta, l’immagine è tema esclusivo di un’opera a se stante.

Ma cosa è un’immagine? Il suo essere-non essere, realtà, copia, simulacro, schermo opaco, ombra, fantasma e allo stesso tempo il suo statuto appare incerto, mutevole, esposto ad una pluralità sfrenata di forme e contaminato da un gran numero " di occorrenze, contesti e manifestazioni". Come dice l’etimo greco, l’immagine è eikon, che funziona da memoria permanente per il nostro sguardo. L’aristocratico-aristotelico senso della vista nutre le immagini, le fa essere corpi visivi, riflessi, copie fedeli di una realtà assoluta che nessuno, forse, vedrà mai. Vedere, sentire, gustare, toccare e pensare cioè le operazioni del nostro conoscere si materializzano per mezzo di immagini che si fissano per sempre nella memoria. Dunque le immagini come rappresentazioni visive della realtà medesima: qui il pensiero moderno ha davvero investito tutto se stesso.

Allora, sommariamente, proviamo a focalizzare alcuni punti.

Wunenburger nella sua preziosissima opera non si risparmia, instancabile cartografo che, con perizia e capacità argomentativa, traccia percorsi, aggiorna mappe d’indagini, scrive lezioni di e sull’immagine, s’azzarda in proposte teoretiche.

Prima questione. La metodologia

Il merito di Wunenburger su questo aspetto è notevole. L’approccio transdisciplinare (antropologia, ermeneutica, fenomenologia, linguistica, psicoanalisi) si intreccia con una radicale interrogazione sulle questioni di metodo, al fine di rendere rigoroso e teoreticamente fecondo lo studio delle immagini.

Le analisi di Wunenburger si concentrano con grande efficacia sul ruolo creativo-produttivo dell’immaginario nelle attività percettive (con riferimento alle posizioni di Cassirer, Bachelard, Durand) e sul ruolo di mediazione tra senso e intelletto con particolare riferimento alla teoria kantiana dello schematismo; un discorso a parte va fatto sull’ermeneutica che non può solo rivestire un’istanza demistificante ma può svolgere una funzione creativa capace di intendere l’immagine poetica o simbolica, come una rappresentazione globale intrisa di una pluralità di significati.

Ho l’impressione che però lo studioso francese non voglia approfondire un discorso sull’immagine e i testi (poesia, prosa, teatro e cinema) e sul valore che l’immagine riveste in un sistema culturale. Sorvola sui formalisti russi, su Lotman, Sklovskij, etc. Qualche sviluppo nel capitolo quinto "Pensare in immagini" (pp.309-333).

Né pare sviluppato nel libro il problema dello spazio nello studio dell’immagine. Potremmo dire invece con lo studioso francese R. Thom che tanto l’immagine quanto il suo modello sono forme disposte in uno spazio e quello dell’immagine è anche un problema spaziale. Anzi si potrebbe dire che l’immagine assimila rapporti di organizzazione spaziale: centro/periferia, contorno/sfondo, orizzonte/ rilievo e ciò condiziona precise modalità di lettura e di interpretazione dell’immagine stessa.

Seconda questione. La mimesis

Il significato di immagine più evidente e sicuro è quello di copia e/o riproduzione, di relazione di dipendenza da un modello. E’ l’antica, platonica questione della mimesis. Essere un’immagine è essere propriamente a immagine di cioè l’immagine implica l’idea di dipendenza dall’altro da sé. Insomma la condizione possibile di una vera immagine risiede nella buona imitazione dell’originale. Wunenburger sulla mimesis regala uno dei capitoli più densi del libro, passaggio obbligato per chi voglia davvero intraprendere uno studio sullo statuto genetico dell’immagine. Il problema è sapere se il carattere imitativo dell’immagine è criterio interpretativo univoco oppure no; somiglianza e dissomiglianza, termini sempre in gioco nell’immagine, anzi il gioco di somiglianza-dissomiglianza è il gioco medesimo dell’immagine che si certifica natura ibrida, mostruosa, somigliante e dissomigliante dal modello, corpo senza corpo (qualcosa che né sembra appartenere ad un corpo né essa appare corporea). Come dire che lo schema mimetico da Platone in poi ha nutrito il pensiero occidentale custode dell’equilibrio delle coppie concettuali dominanti: immagine/realtà, realtà/idea, doxa/episteme, ombra/luce. Platone- secondo Wunenburger- mette in campo i quadri di riferimento fondamentali per un’analisi speculativa delle immagini, sublimata a interpretazione ultima della totalità delle cose visibili e invisibili. (p.144) L’idealismo platonico è il prototipo di ogni metafisica della ripetizione e della somiglianza. E’ interessante che Wunenburger prenda atto che l’approccio mimetico è aporetico e si soffermi sui contributi della semiotica e della storia dell’arte che si incaricano di dare la migliore smentita all’onnipotenza dello schema mimetico.

Lo statuto semiotico e lo statuto artistico emancipano per così dire l’immagine dal modello e diventa essa stessa modello. La riflessione di Wunenburger sembra più una premessa per una ricerca da fare.

La semiotica considera l’immagine come un segno e la fa discendere unicamente da regole di costruzione di un linguaggio formale, l’arte concepisce l’immagine come un arricchimento/accrescimento della realtà. Entrambe si sforzano di dar conto della natura profonda delle immagini benché l’autore, a torto, non ne sia del tutto convinto.

Terza questione. L’ontologia

Plotinianamente, l’immagine è il nulla sul cui fondo appare l’essere, il margine d’ombra su cui risalta il chiarore della luce.

Indubbiamente è affascinante affrontare la questione dell’essere dell’immagine.

Il pensiero antico e il pensiero cristiano hanno detto assai di più rispetto al pensiero moderno. C’è un tema che Wunenburger sottolinea con forza: è l’ambivalenza dell’immagine-specchio. Speculum versus imago: la sottigliezza della problematica ontologica dell’immagine si ritrova condensata nella metafora dello specchio" prototipo di un gioco di immagini che possono essere assimilate sia all’apparenza illusoria sia a una mimetica ontofanica. Il valore dello specchio, l’interpretazione delle immagini allo specchio, permettono di cogliere come una certa indeterminazione dell’immagine sensibile possa sia ricondursi alla sfera della verità dell’essere, sia prestarsi a una svalutazione irrimediabile che armerà il nichilismo". (p.227)

Lo specchio come figurazione simbolica dell’immagine : origine, centro di scissione e di ripetizione, di identità e alterità. Come Narciso fiore che si specchia, e più che se stesso, scopre se stesso nell’essere di un altro. Da Platone a Plotino, da Leibniz a Lacan, l’esperienza dello specchio si propone come la migliore chiave di lettura dell’Essere stesso. Peccato che Wunenburger citi una sola volta a p.345 J. Baltrusajtis , autore di un’opera mirabile pubblicata da Adelphi, Lo specchio. Rivelazioni, inganni e science-fiction del 1981.

Lo specchio, allegoria della visione esatta, lo è anche del pensiero profondo.

"Ora questo legame o questo adattamento di tutte le cose create a ciascuna e di ciascuna a tutte le altre, fa sì che ogni sostanza semplice abbia rapporti che esprimano tutte le altre e che essa sia di conseguenza, un vivente e perpetuo specchio dell’Universo. " Così Leibniz nella Monadologia, par.56. La monade come specchio dell’universo e quest’ultimo concepito come una serie di sostanze che si specchiano.

Si può dare un’immagine, un riscontro visivo all’Essere ? O ancora dei concetti si possono dare immagini ? Credo che tali questioni siano essenziali per una teoresi dell’immagine.

Altro punto, mi pare essenziale in Wunenburger, è quello che lui chiama la tentazione nichilista (p.245) e che merita invece di essere approfondito.

L’autore, infatti, delinea alcune tappe del processo di disontologizzazione dell’immagine, a partire dall’estetica settecentesca del sublime fino a Sartre che teorizza l’immagine come un nulla d’essere. La riduzione dell’immagine a semplice apparenza solleva ulteriori questioni, in specie nel pensiero novecentesco, che sono state affrontate con argomentazioni differenti e con conclusioni di segno opposto.

Di grande interesse è la descrizione del rapporto tra poesia e immagine, i cui echi si avvertono in maniera esplicita in Heidegger e in Merleau-Ponty.

 
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