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Vincenzo Vitiello Vico e la topologia,  

Napoli, Cronopio 2000, pp. 77, L.14.000                    ISBN88-85414-57-5

(Aldo Meccariello)

 

Vico e la topologia: già il titolo di questo prezioso volumetto di Vincenzo Vitiello suggerisce una specifica angolatura con cui l’autore affronta l’opera vichiana, in tre esercizi o  “ brevi riflessioni” [la fondazione matematica della storicità (cap.I), i rapporti tra l’immagine e la realtà (cap.II) e il divino e lo spazio (cap.III)] verificandone il perimetro topologico che indirizza, come è noto, il proprio sguardo  sulla spazialità dei concetti, per misurarli, anche a partire dal loro luogo di provenienza. La topologia sovverte le categorie spazio-temporali, identifica il tempo con lo spazio e imprime al pensiero una nuova direzione, liberandolo da costrizioni e rigidi schemi categoriali. Vitiello muove da Vico, anzi da una immagine vichiana che è la celebre  dipintura allegorica posta sul frontespizio della Scienza Nuova seconda (1730), (immagine – sintesi dell’opera che mostra il raggio “del quale la divina provvedenza allume il petto della metafisica” per poi sdoppiarsi e riflettersi sul petto del filosofo  che a sua volta illumina le nazioni e le genti) per leggervi il primo grande tentativo moderno  di estendere la mathesis universalis alla Scienza Nuova e quindi di superare l’antica divisione aristotelica tra “ la logica-matematica” e “l’ermeneutico-retorica” . Il primo dei tre nuclei fondanti del testo accredita la filosofia vichiana, analizzata in un confronto serrato con Leibniz e Kant,  alla tradizione epistemica dell’Occidente ma al tempo stesso segnala il limite e l’insufficienza della ragione epistemica cioè della“costituzione stessa della logica e la sua differenza dal linguaggio” (p.30) di cui lo stesso Vico si rende consapevole quando parla di “un ricorso del pensiero ancor tutto da pensare” (p.39) cioè di un pensiero mito-poietico ove la parola si fa traccia dell’originaria ek-sistenza del tempo,  sottraendosi  ad ogni categoria . Ebbene, Vitiello, intrecciando e portando all’estremo talune immagini tematiche ( i Terrae filii, l’Ingens sylva) della Scienza nuova, sviluppa il tema che più gli sta a cuore, quello della topologia.  

 Il  secondo nucleo tematico è dedicato all’immagine colta nella sua essenza aporetica in rapporto alla realtà. Come distinguere l’immagine dalla realtà ? Vitiello confuta lo schema mimetico e coglie invece una competizione perpetua tra l’immagine e la realtà , facendo interagire, in un’ottica topologica , Platone con Kant: sul versante platonico, entra in gioco il grande testo del Timeo  in cui il tempo è l’immagine mobile dell’eternità, immagine cioè apparenza di ciò che non potrà mai apparire; sul versante kantiano si affermano le nozioni di tempo e sostanza costitutive dell’Analitica dei principi. L’Autore ora dilata ora restringe ambedue i versanti che si avvolgono e convergono intorno alla natura dei rapporti tra immagine e tempo, immagine e spazio, immagine e movimento; rapporti che la ragione può solo narrare, consapevole di non poter dare più ragione.

É qui la vera potenza della ragione, che non abbandona il campo quando diviene consapevole della sua impotenza” (p.52). E il narrare della ragione è l’esperienza vichiana di un limite e di una mancanza ove il pensiero esperisce la sua inquietudine ma anche delle rotte imprevedibili. Infine, il terzo nucleo del volumetto è dedicato al tema dello spazio. Qui Vitiello svolge alcune illuminanti osservazioni di metodo sulla prospettiva topologica dichiarando preliminarmente che “un'opera filosofica è tutt’altra cosa che un monolite. É al contrario una costruzione a strati che può – deve - essere interpretata da molteplici prospettive” (p.79). La topologia non è una nuova monadologia, perché per quest’ultima i centri di forza sono le sostanze-monadi, per la prima invece i centri sono topoi cioè tempi-spazi mai definibili a priori ma sempre compossibili in un gioco di infinite combinazioni..

Ed è forse in questa molteplicità-imprevedibilità di tempi-luoghi, possiamo forse ampliare e allargare a dismisura la nostra condizione di essere finiti.  

 

 

 

 

 

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