Roberto 
          Diodato, Estetica del virtuale, Milano, Bruno Mondadori, 2005, 
          pp. 213, ISBN 88-424-9827-0, € 12,50.  
        
        
        Il libro di 
          Roberto Diodato si inserisce a pieno titolo nella discussione filosofica 
          “alta” sulle questioni relative all’ontologia e all’estetica 
          dell’immagine virtuale interattiva. In un panorama, come quello 
          italiano, in cui, fatte le debite eccezioni, ancora predomina in questo 
          settore di studi un approccio svagatamente “critico-militante”, 
          questo libro presenta una proposta teorica organica di cui i successivi 
          studi sull’argomento dovranno necessariamente tener conto.
        Cercherò 
          innanzitutto di riassumere le principali argomentazioni del testo per 
          metterne in evidenza le acquisizioni teoriche.
         “Per 
          ‘corpo virtuale’ – scrive Diodato in apertura del 
          suo libro – intendo in primo luogo un’immagine digitale 
          interattiva, il fenomenizzarsi di un algoritmo in formato binario nell’interazione 
          con un utente-fruitore” (p. 5). Gran parte del testo potrebbe 
          considerarsi come un lungo analitico commento a tale definizione. Vediamo 
          come. Innanzitutto, Diodato si riferisce a qualcosa di molto preciso, 
          su cui da anni la sperimentazione estetica internazionale lavora, vale 
          a dire a tutti quegli oggetti-ambienti informatici con i quali un fruitore 
          può interagire attraverso le periferiche di un computer, le quali 
          possono assumere la forma di vere e proprie protesi bio-robotiche atte 
          a consentire gradi di “immersività” estremamente 
          elevati. Con tali ambienti informatici l’utente in genere interagisce 
          attraverso i suoi avatar, gli alter-ego virtuali che gli appaiono 
          agire all’interno di tali ambienti, producendovi delle trasformazioni. 
          Ora, tali trasformazioni, tali modificazioni “estetiche” 
          prodotte dagli utenti in tali ambienti sono possibili in quanto le immagini 
          (visive, uditive, tattili ecc.) che essi percepiscono/producono non 
          sono altro che differenti fenomenizzazioni di una matrice algoritmica, 
          non sono altro che le differenti possibili attualizzazioni estetiche 
          permesse dal programma. Tuttavia, il grado di interattività di 
          tali oggetti informatici muta a seconda che l’interazione avvenga 
          sulla base di matrici algoritmiche “rigide” – che 
          preordinano le possibili interazioni – oppure sulla base di matrici 
          “flessibili” che “apprendono” e si modificano 
          attraverso l’interazione (e questo è naturalmente il caso 
          più interessante).
         
        Una volta 
          chiarita la definizione iniziale, vediamo come Diodato articola la sua 
          tesi principale. Questa riguarda l’ontologia dell’immagine-corpo 
          digitale interattiva. Per descriverla, Diodato si sofferma su due sue 
          caratteristiche essenziali: la sua intermediarietà e la 
          sua virtualità – caratteristiche tra loro strettamente 
          connesse. 
        L’analisi 
          critica delle caratteristiche intermediarie del corpo-immagine virtuale 
          attraversa quasi tutti i capitoli del libro. Il termine “intermediario”, 
          ripreso da un noto studio di Philippe Quéau (Metaxu. Théorie 
          de l’art intermédiaire, Seyssel, 1989), è rielaborato 
          da Diodato secondo una prospettiva molto diversa.
         I corpi virtuali 
          sono realtà intermediarie per due ragioni fondamentali, 
          che qui schematicamente riassumo:
        a) Essi sfuggono 
          innanzitutto alla dicotomia tra “interno” ed “esterno”; 
          infatti, non sono né un semplice prodotto cognitivo della coscienza, 
          non sono semplici immagini coscienziali – in quanto l’utente 
          è consapevole di esperire una realtà altra – 
          né sono semplicemente “realtà esterne” ad 
          essa – in quanto sono pur sempre dipendenti dall’azione 
          del fruitore. Essi pertanto non sono né semplici immagini, né 
          semplici corpi, ma corpi-immagini.
        b) In secondo 
          luogo, e per lo stesso motivo, essi sfuggono alla distinzione ontologica 
          tra “oggetti” ed “eventi”, perché, così 
          come gli “oggetti esterni”, essi hanno una relativa stabilità 
          e permangono nel tempo, ma, così come gli “eventi”, 
          essi esistono solo nell’accadere dell’interazione.
        Ne consegue, 
          sottolinea Diodato, che sono molte le concezioni estetiche tradizionali 
          che, nei riguardi dei corpi virtuali, appaiono invalidate come, ad esempio, 
          la distinzione sartriana tra “percetto” ed “immagine” 
          (vedi pp. 102-111). Sartre, come è noto, opera una fondamentale 
          distinzione tra la percezione – che, pur essendo atto intenzionale 
          di coscienza, implica un riferimento essenziale ad un ente esterno ad 
          essa – e l’immagine – che è unicamente 
          una modalità intenzionale della coscienza, è solo la coscienza 
          che se ne ha – e da tale assunto il filosofo francese derivava 
          la sua concezione del valore irrealizzante dell’immaginazione. 
          Ora, secondo Diodato, questa distinzione non ha valore nei riguardi 
          della immagine-realtà virtuale. Infatti, da un lato, nel campo 
          virtuale salta la distinzione tra l’esser per sé della 
          “coscienza” e l’essere in sé delle cose 
          in quanto il corpo virtuale non può essere concepito come mera 
          resistenza e inerzia, dall’altro salta anche la 
          distinzione tra cosa e immagine intenzionale della stessa. Per tale 
          ragione, egli conclude, in ambiente virtuale “è discutibile 
          il giudizio ‘ho un’immagine’ in quanto distinto da 
          ‘ho una percezione. Non risulta infatti chiaro cosa si 
          possa denominare immagine, poiché l’oggetto, proprio in 
          quanto costituito intenzionalmente, è strutturalmente ambiguo” 
          (p. 105).
        Quindi, l’immagine 
          digitale interattiva è un’immagine-corpo, un interno/esterno, 
          un oggetto/evento.
        
        
        Passando ora 
          all’altra caratteristica dell’immagine-corpo digitale interattiva, 
          vale a dire alla sua specifica virtualità, possiamo dire 
          che Diodato con tale nozione vuole mettere in evidenza il fatto, implicito 
          nella stessa definizione iniziale da cui parte, che l’immagine 
          digitale interattiva non attualizza mai tutta la virtualità della 
          sua matrice algoritmica. La sua “attualità” non si 
          riduce (alla) e non si risolve (nella) sua presenza hic et nunc. 
          Criticando le incongruenze dell’analoga nozione di virtualità 
          sostenuta da Pierre Lévy (Qu’est-ce que le virtuel?, 
          Paris,1995), e riprendendo la nozione deleuzeana di virtuale (mal compresa 
          da Lévy), Diodato mostra come per comprendere che cosa sia l’immagine 
          e quali siano le conseguenze ancora parzialmente inindagate sul piano 
          dell’esperienza estetica della stessa, sia necessario andare oltre 
          il tradizionale statuto della mimesi, della rappresentazione 
          e anche oltre quello dell’immagine simulacrale, questa sì 
          risolvibile nel suo puro “qui e ora”. 
        
        
        Molte sono 
          le argomentazioni collaterali esposte nel libro di Diodato, che con 
          grande competenza e lucidità di pensiero valuta modelli teorici 
          classici – quale, ad esempio, la teoria leibniziana della monade 
          intesa come un ibrido “rappresentazione-corpo” – e 
          modelli ontologici ed estetologici novecenteschi – e qui il numero 
          degli autori importanti da citare cresce di molto, andando da Sartre 
          a Merleau-Ponty e a Deleuze, da Nelson Goodman ad Arnheim a Baudrillard, 
          per ricordare solo alcuni. Non potendo soffermarmi, per i limiti intrinseci 
          di una recensione, su tali argomentazioni, preferisco in chiusura evidenziare 
          alcuni problemi lasciati aperti da Diodato tra le pieghe del suo eccellente 
          libro.
        La prima questione 
          riguarda una tipologia di corpi virtuali su cui il libro non si sofferma. 
          Si tratta di quei corpi info-artificiali che si evolvono, si modificano 
          sulla base di programmi che “apprendono”, ma interagendo 
          con altri programmi senza l’intervento interattivo del fruitore. 
          Si tratta di quelle strane cose che vanno sotto il nome di vita artificiale. 
          Allora, la prima nota a margine che mi sento di fare al libro di Diodato 
          riguarda proprio queste strane cose resesi “autonome” dal 
          fruitore. Quale ontologia e quale estetica saranno appropriate ad esse?
        La seconda 
          piccola nota di lettura “a margine” riguarda, invece, la 
          differenza tra il mondo info-artificiale della rete e la specifica realtà 
          dei corpi virtuali studiata nel libro. Ritengo, per una serie di ragioni 
          che qui non potrei riassumere, che sarebbe utile l’elaborazione 
          di quel che potremmo definire, parafrasando Einstein, una “teoria 
          generale” della virtualità della rete (del web) da affiancare 
          alla “teoria ristretta” del corpo virtuale interattivo qui 
          esposta. A tal proposito alcune notazioni interessanti sono rintracciabili 
          nel testo. Nell’ultimo capitolo, parlando delle specifiche differenze 
          tra l’ipertesto off line e quello on line, a proposito di quest’ultimo 
          Diodato rileva come la rete non sia una totalità, non 
          sia un tutto, poiché non si dà uno sguardo esterno ad 
          essa che possa “dominarla” – come avviene, invece, 
          e in modo “forte”, riguardo all’ipertesto off-line. 
          Ora, se interpretiamo bene, egli vuol giustamente dire che, mentre l’individuo 
          corpo-immagine virtuale è riconducibile ad un algoritmo di cui 
          è una delle possibili attualizzazioni fenomeniche, per la rete 
          – che non è un individuo – non è possibile 
          individuare un algoritmo degli algoritmi di cui quella sarebbe fenomeno.
         Ma ciò 
          complica il discorso, e lo riapre.
        
        
         Vincenzo 
          Cuomo
        
        
        Indice
        
          - 
            Estetica 
              del corpo virtuale 
          - 
            Il mio 
              corpo nell’ambiente virtuale 
              -  
                “Presenza” 
                  in questione 
-  
                Quel 
                  che insegnano i sogni 
 
          - 
            Forme 
              dell’espressione 
              - 
                Mimesis? 
- 
                Rappresentazione? 
- 
                Simulacro? 
 
          - 
            Verso 
              l’immagine 
              - 
                Corpo-immagine 
                  come espressione 
- 
                Oltre 
                  la coscienza d’immagine 
- 
                L’eccedenza 
                  virtuale 
 
          - 
            Metaforica 
              del virtuale 
              - 
                Nota 
                  sullo spazio 
- 
                Parentesi: 
                  la comunità 
- 
                Interazione 
                  percettiva 
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                Nota 
                  sul tempo  
 
          - 
            Il concetto 
              di virtuale 
          - 
            L’attore-spettatore 
              virtuale 
          - 
            Per un’estetica 
              dell’ipertesto 
 
          Nota bibliografica
         
          Indice dei nomi