NON-LUOGO DI TRANSITO

 


L’evoluzione del linguaggio alla luce dell’evoluzione dell’alfabetizzazione


di Eva Jablonka e Geva Rechav




Introduzione

L’evoluzione del linguaggio è stata soggetta ad accesi dibattiti negli ultimi anni, nel corso dei quali numerosi articoli e saggi hanno suggerito diversi scenari. Le proposte differiscono rispetto alle assunzioni di base: cos’è il linguaggio, qual è la sua funzione principale (comunicativa, emozionale o cognitiva), quando si è affacciato nell’evoluzione dell’ominide (presto o tardi), e con che modalità si è espresso per la prima volta (gestuale o vocale)? – sebbene ci sia anche molta concorrenza. Questa disparità tra le differenti prospettive riflette largamente il divario essenziale, che ne concerne la natura.

Tutti gli studiosi del linguaggio accettano che il linguaggio umano abbia una struttura speciale, che ai sistemi di comunicazione delle altre specie sembra mancare. Inoltre, componenti importanti del linguaggio, come la sua comprensione e la produzione, hanno localizzazioni craniche caratteristiche, nonostante siano evidenti le sostanziali variazioni morfologiche e funzionali tra gli individui. La facilità con cui i bambini apprendono questa meravigliosa e complessa abilità suggerisce una componente innata: l’apprendere è sufficiente a giustificare il linguaggio di un bimbo di quattro anni. È accertato che tutti gli uomini sani hanno la capacità di acquisire il linguaggio e che non ci sono variazioni tra le popolazioni in questo senso. Sembra anche, dagli studi sui casi patologici, che l’abilità di produrre un linguaggio umano standard sia dissociabile dalla intelligenza generale misurata dal test Q.I. Al di là del consenso generale, comunque, è molto meno chiaro ciò che dobbiamo concludere sulla natura del linguaggio e sulla sua evoluzione.

I Formalisti dichiarano che fino a quando non appare la sintassi non possiamo parlare di “linguaggio”, ma solo di “comunicazione” e di “segni”. L’evoluzione del linguaggio è per loro l’evoluzione di un algoritmo cognitivo chiamato grammatica universale che è una meta-struttura di tutte le grammatiche. L’esigenza di questo algoritmo è intesa come conseguenza di alcune mutazioni o graduali evoluzioni genetiche. L’evoluzione del linguaggio e della sintassi si suppone siano identiche, e l’evoluzione della sintassi si pensa sia recente, così come quella del linguaggio. La sintassi è, secondo la prospettiva formalista, una modalità indipendente, e il suo ruolo primario è di organizzare le rappresentazioni mentali; la comunicazione è solo una funzione secondaria. I Formalisti sostengono l’esistenza di un universale “linguaggio del pensiero”, conosciuto come Mentalese(1), dove le particolari coppie dell’attività neuronale stanno per concetti così come le regole delle loro combinazioni. Si congettura che il Mentalese sia innato: si ritiene che sia presente in persone che non hanno mai imparato a parlare e – in una versione semplice – nei neonati. Quel che la nozione di Mentalese aggiunge alle nozioni di grammatica universale è il concetto universale e innato. Non ci sono date solo le nude ossa del linguaggio, ma anche la carne e il sangue.

I Funzionalisti mantengono lo iato assunto dai Formalisti tra linguaggio pre-sintattico e sintattico, come artificiale; asseriscono che la sintassi non è la caratteristica definitiva del “linguaggio”, che l’evoluzione del linguaggio non può essere identificata con l’evoluzione della sintassi e che l’evoluzione è stata lunga e graduale. I Funzionalisti enfatizzano, distanti dai Formalisti, il ruolo dell’intelligenza generale e dell’apprendimento nell’ontogenesi ed evoluzione del linguaggio; alcuni vedono anche la sintassi come una proprietà emergente di un sistema di comunicazione semanticamente ricco e intenzionale. Sostengono che il significato della produzione del linguaggio il suono, non possano essere separati nella reale evoluzione dal prodotto, il normale linguaggio vocale, e quindi che l’evoluzione del linguaggio (sebbene non il prodotto finale) sia stata una modalità dipendente. Per essi la distinzione tra aspetti cognitivi e comunicativi del linguaggio è virtualmente impossibile e la comunicazione è centrale tanto quanto la cognizione, fino ad esserne la funzione primaria. Non identificando il linguaggio con la sintassi, la loro definizione di linguaggio è generale e vaga e tende a confluire in una generale definizione di comunicazione. I concetti sarebbero costruiti durante l’acquisizione del linguaggio e sono parte di una particolare cultura e di un particolare linguaggio. Un innato “Mentalese” viene rifiutato nell’assumere l’universalità dei concetti (se realmente esiste) quale prodotto di comuni vincoli ecologici e di evoluzioni culturali.

Nonostante i due punti di vista sembrino radicalmente diversi crediamo che una prospettiva evoluzionista potrebbe in buona misura conciliarli. È molto improbabile che una singola funzione e un singolo sistema ereditario giochino un ruolo esclusivo nell’evoluzione di un complesso comportamento sociale come il linguaggio, e dunque che solo l’evoluzione genetica o solo l’evoluzione culturale siano state le sue forze propulsive. La prospettiva evoluzionistica sviluppata è basata sulle assunzioni del senso comune che l’evoluzione del linguaggio coinvolse la co-evoluzione di geni e culture. Pensiamo che il maturo linguaggio sintattico sia il prodotto di entrambi le evoluzioni, genetica e culturale, e che i due siano proceduti in maniera “autopoietica”(2) per produrre il linguaggio umano. Comunque, prima di imbarcarci nella spiegazione evoluzionistica è importante che sia chiaro cosa esattamente venga selezionato: dato il nostro punto di vista sul linguaggio come parte di un largo sistema sociale e cognitivo, è veramente azzardato fare una distinzione tra pre-adattamenti e specifici linguaggi adattativi dall’altra, specialmente nei primi stadi dell’evoluzione. Per evidenziare questo punto cominciamo col discutere l’evoluzione del linguaggio alla luce di quel che conosciamo sui pre-adattamenti e l’evoluzione culturale dell’alfabetizzazione. Mostreremo che i pre-adattamenti possono spesso essere interpretati come diretti adattamenti e risultare così fuorvianti nella ricostruzione della storia dell’evoluzione, fino a suggerire una confusione che potrebbe circondare le ricostruzioni evoluzionistiche sul linguaggio.


Lezioni dall’evoluzione culturale dell’alfabetizzazione

Immagina che il mondo tra 5000 anni sia ancora intatto, e che tutte le persone che vi abitano siano alfabetizzate. L’ambiente è strutturato in modo che un bimbo venga esposto sin dalla nascita ad un costante flusso visuale e/o tattile di simboli che stanno per cose, parole e idee udibili, e che sia capace a leggere con o senza minima istruzione formale, intorno ai 4 anni. L’abilità a scrivere viene acquisita con la minima istruzione formale uno o due anni più tardi, quando il sistema motorio è completamente maturo.

Un visitatore da un altro pianeta viene in questo mondo alfabetizzato ed è molto interessato all’evoluzione degli umani che vi abitano. Uno dei caratteri [behaviour] che interessa l’alieno è l’universale alfabetizzazione mostrata da tutti gli umani. Prima che consulti la storia di questo carattere così come viene raccontata dagli stessi umani, l’alieno si chiederà alcune questioni basilari: è un carattere universale? sono addette alcune regioni del cervello per questo carattere o alcune particolari operazioni neurali lo generano? È spiegabile come il prodotto di un apprendimento oppure ha forti componenti innate? C’è la prova di un’ereditarietà delle menomazioni dell’alfabetizzazione [literacy impairments] e c’è la prova che l’ imperfezione di un determinato gene possa essere responsabile di questo? L’abilità a leggere e a scrivere può essere dissociata dall’intelligenza generale? Questo carattere è espressione di una facoltà degli umani di usare il linguaggio (dato che viene soprattutto da un’oggettivazione del discorso), oppure è, nelle funzioni originarie e primarie, una capacità indipendente che si connette al linguaggio con le successive evoluzioni? L’alieno sente che le risposte a queste questioni potrebbero dargli degli indizi preliminari importanti.

L’alieno scopre che tutte le persone sane, nell’anno 7000, sono certamente alfabetizzate e non ci sono differenze tra le popolazioni nell’abilità a leggere e a scrivere. Ci sono simboli molto diversi nelle società e molteplici forme di interpretazione. Scopre lingue come l’ebraico e l’inglese basate sulla rappresentazione di suoni, e gli ideogrammi cinesi basati su concetti. Prima che la lettura matura si manifesti, i bambini esercitano i caratteri proto-letterari [proto-literate behaviour] assegnando spontaneamente significati agli oggetti, e analizzando l’ambiente per contrassegnarlo con oggetti o segni grezzi.

L’alieno capisce che, negli individui normali, i caratteri letterari [literate behaviours(3)] coinvolgono l’attività di determinate regioni cerebrali. Ci sono variazioni individuali sia morfologiche sia funzionali in quelle stesse aree. Alcuni individui – i dislessici – hanno problemi col carattere letterario che si rivelano solo nel linguaggio e non nelle altre azioni. Inoltre, appare una significante variazione tra gli individui. Senza contare che quelli specificamente menomati [impaired] nel comportamento letterario, nell’intelligenza generale, con difficoltà linguistiche, con problemi di percezione visuale o tattile e di analisi dei simboli, sono difettosi [deficient] nel comportamento letterario.

L’ereditarietà e i dati genetici presentano questo quadro. Ci sono difetti di particolari geni che predispongono alla dislessia: solitamente il difetto è poligenico e sensibile alle condizioni ambientali, specialmente alle intense perdite psicologiche. Diverse combinazioni di geni possono portare allo stesso fenotipo dislessico. I maggiori geni che ostacolano il carattere letterario hanno effetti sulla produzione e acquisizione linguistica, e sulle altre abilità cognitive. L’ereditarietà, secondo stime di studi accoppiati e analisi di alberi genealogici, è molto alta, vicina al 50 per cento. L’incidenza delle variazioni genetiche che sono alla base delle variazioni del carattere letterario è perciò molto alta.

Persino l’argomento della povertà degli stimoli supporta l’ipotesi di una forte componente innata nel carattere letterario. I bambini sono esposti all’alfabetizzazione: è parte integrante della loro vita giovanile così come di quella adulta. Le istruzioni formali sono relativamente meno importanti, e generalmente acquisiscono l’abilità a leggere all’incirca nello stesso periodo, o poco più tardi, in cui apprendono a parlare in maniera scorrevole. Leggere e scrivere sono compiti molto difficili. Si sviluppano in sequenza, con azioni organizzate gerarchicamente che ricorrono in combinazioni infinite. È necessario integrare simboli stabili con differente modalità e farlo velocemente con un grande potere discriminatorio. Simboli simili ma con significati completamente differenti e la decodificazione di un simbolo può cambiare secondo la sequenza in cui appare. I bambini possono fare alcuni errori anche dopo aver compreso a fondo la lettura. L’alieno trova che nella scrittura ebraica ci sono sistemi distinti di segni per vocali, e i bambini cominciano a leggere con piena comprensione senza i segni vocali circa un anno dopo la conoscenza piena del sistema. Questa lettura, basata su consonanti isolate, che è normale per tutti i nativi ebrei alfabetizzati (in realtà causa più problemi agli stranieri) non è stata formalizzata. È altamente improbabile che i bambini e i loro insegnanti siano consci della complessità delle operazioni che eseguono.

L’alieno adesso verifica i suoi dati con condizioni anomale. Trova che in condizioni di acuta perdita psicologica e sociale siano riscontrabili deficienze nel carattere letterario. Altre volte invece i bambini ne soffrono per impossibilità: non posso usare il linguaggio perché non vi sono esposti dalla nascita. La loro intelligenza è normale, ma le loro capacità linguistiche sono compromesse per sempre. In altre insolite, ma meno drastiche circostanze, si possono trovare bambini e adulti che parlano ma non riescono a leggere e scrivere. È possibile pensare delle persone con una gran quantità di istruzioni, ma che non riescono a definirsi lettori competenti. In media la loro lettura è più lenta di quella dei normali bambini, simile ad una seconda lingua con differenti sistemi di segni. La variazione è, comunque, sostanziale. La loro intelligenza è normale.

La prova dell’esistenza di un periodo particolare per l’acquisizione di una piena abilità letteraria è controversa. I bambini la acquisiscono durante la pubertà. Dopo la pubertà l’abilità di apprendere questo carattere diminuisce ed è comparabile all’acquisizione post-puberale di una seconda lingua. Rispetto alla lingua, acquistare un carattere letterario è un’operazione più lenta, e lascia più abilità residuali nella maturità.

Cosa potrebbe concludere l’alieno da questo? È più o meno allo stesso livello dei linguisti d’oggi ed è in possesso degli stessi dati. L’ipotesi più semplice è che il carattere letterario nasca da una evoluzione genetica. C’è una componente innata per l’alfabetizzazione e ci sono precisi adattamenti per quel carattere. La complessità funzionale del carattere suggerisce un’evoluzione per selezione naturale delle variazioni genetiche basilari – e non un’irragionevole ipotesi alla luce dei dati. L’alieno non ha ancora studiato le ricerche archeologiche e sociologiche che gli mostrerebbero il carattere letterario come il prodotto di un’evoluzione culturale. Dopo questi importanti dati dovrebbe rigettare l’ipotesi genetica e la sua forma semplice. Ma esattamente cosa deve rigettare, e quale alternativa ipotesi potrebbe considerare?

Sono disponibili due vie per la re-interpretazione delle sue precedenti scoperte. Può riguardare la componente innata del carattere letterario come un sottoprodotto di una componente genetica influenzata dall’abilità di apprendere un linguaggio. In questo modo può vedere l’alfabetizzazione come l’espressione di un linguaggio in una modalità differente. Questa espressione dipende dalla cultura – può apparire solo in certi contesti culturali, in una società. Deve ovviamente mostrare come questa nuova espressione linguistica nasce. La seconda ipotesi è che, nonostante il moderno carattere letterario sia il prodotto di un’evoluzione culturale, c’era un’evoluzione genetica dei caratteri proto-letterari. Per suffragare questa ipotesi deve studiare la vastissima letteratura antropologica e archeologica sull’argomento, e rivedere tutto in una prospettiva più ampia. Il moderno carattere letterario che sta osservando nelle popolazioni ancora esistenti è chiaramente un’elaborata tecnologia per esprimere il linguaggio naturale con dei mezzi permanenti e un prodotto dell’evoluzione culturale. In realtà, c’è la prova convincente dell’invenzione indipendente di diversi sistemi di scrittura e di un’espansione culturale del moderno alfabetismo da quelle antiche origini. Ma esistono caratteri universali, innati che anticipano la moderna alfabetizzazione? Qual era la funzione di questo linguaggio indipendente preliminare?

Queste questioni non sono facili da risolvere. I dati archeologici suggeriscono che molti tipi di attività come i segni numerici, le pitture nelle caverne, l’incisione di rocce e ossa, disegni di mappe, e altri caratteri proto-letterari sono apparsi in abbondanza nelle società umane del paleolitico superiore, circa 40.000 anni fa. Questo tipo di segnatura ambientale comunicativa e intenzionale potrebbe essere considerata il precursore del moderno carattere letterario. La relazioni di questa predisposizione linguistica non sembrano chiare; potremmo maggiormente correlarla con la fabbricazione di oggetti, e potrebbe aver preceduto il maturo linguaggio sintattico. Ci sono alcune strutture logiche, gerarchiche nella sequenza e organizzazione delle attività letterarie che sono simili per certi aspetti alle organizzazioni delle attività più semplici dei bambini.

Le indicazioni per una significativa componente innata nel moderno carattere letterario necessitano re-interpretazioni alla luce di questa intelaiatura. C’è, infatti, un’importante componente innata, ma non per la moderna alfabetizzazione. Sin dai nostri antichi predecessori c’erano le pre-condizioni per l’invenzione culturale e l’evoluzione culturale del nostro moderno carattere e le sue manifestazioni. Questi pre-adattamenti includono il vivere in un gruppi sociali larghi e complessi, un controllo motorio volontario, specialmente delle mani, un controllo neurologico volontario sulla visione, percezione di dati visuali discreti come una storia visuale, un’abilità di classificare e categorizzare, modalità indipendenti di concettualizzazione, una memoria narrativa per l’autoreferenzialismo, sofisticata intelligenza sociale, e un sistema di comunicazione basato su un lessico di segni, su coinvolgimento intenzionale e su una teoria della mente (la teoria della mente è l’attribuzione di pensieri alle altre persone). Un’abilità cognitiva di comunicare intenzionalmente e assegnare pensieri agli altri, combinata col controllo volontario di mani e viso, è un sistema verosimile di comunicazione preliminare già molto ricco.

Chiaramente tutti questi adattamenti non erano sviluppati nelle manipolazioni degli antichi ominidi. C’era la co-evoluzione di un carattere letterario pre-moderno, il sistema di comunicazione intenzionale vocale e non-verbale, e gli altri tratti cognitivi e sociali degli umani. Questa co-evoluzione fu probabilmente sia genetica sia culturale.

Qualsiasi ipotesi l’alieno abbia scelto, uno cosa è chiara: la prima e più semplice ipotesi di una selezione prettamente genetica del moderno alfabetismo deve essere abbandonata. È necessario prendere in considerazione i pre-adattamenti di vari precursori del carattere e incorporare le evoluzioni culturali oppure vedere l’alfabetizzazione come un aspetto crescente e specializzato del linguaggio.


Proto-linguaggi

Improbabile che le fonti dell’alieno documentino l’origine culturale della moderna alfabetizzazione, perché il linguista non ha i dati concernenti l’emergenza di un linguaggio umano moderno. Quel che i dati archeologici mostrano è un grande e repentino fiorire di rappresentazioni simboliche nella forma di utensili e dipinti di 40.000 anni fa, e una quantità di innovazioni tecnologiche in aumento. È stato appurato che qualcosa di importante è avvenuto durante il paleolitico superiore. Si è pensato ad una maggiore mutazione nell’avanzamento della sintassi e ad un’organizzazione delle rappresentazioni mentali verso un’evoluzione del linguaggio maturo. Una proposta più ragionevole sembra essere quella di Hurford secondo cui in questo periodo occorse un’invenzione culturale, o una serie di invenzioni (costruite, sicuramente, su fondamenti biologici e culturali diversi); queste invenzioni, sebbene non particolarmente spettacolari individualmente, si sono accumulate ed evolute attraverso l’evoluzione culturale e hanno permesso l’organizzazione e la comunicazione di complesse rappresentazioni. La proposta di Hurford circa la possibilità che alcune importanti componenti linguistiche d’oggi siano un’invenzione culturale meriterebbe una discussione più dettagliata. Invero, potrebbe non esserci stato un singolo proto-linguaggio ma un’intera serie che si sia organizzata secondo la complessità dei concetti e della grammatica, e che abbia seguito una storia decadente nel processo evoluzionistico delle popolazioni umane.

Esempi di un proto-linguaggio ce li fornisce Bickerton. Egli ci mostra che i bambini sotto i 2 anni, gli adulti privati dell’esposizione al linguaggio durante il periodo critico (come un sordo-mutismo erroneamente diagnosticato), grandi scimmie istruite al linguaggio, e adulti comunicanti privati di un linguaggio comune (che parlano quel che definiamo un “linguaggio semplificato” [pidgin](4)), esibiscono un forma relativamente semplice di linguaggio verbale – un proto-linguaggio. Con questa forma di comunicazione cose e azioni sono etichettate, e c’è comprensione -- e qualche volta produzione -- di un ordine di parole. Tuttavia, non ci sono proposizioni caratteristiche, o termini grammaticali per la continuità, la congiunzione, la possibilità e così via, e, certamente, non ci sono frasi gerarchicamente complesse, come: “Anna dice che Giulia ricorda che Marco riteneva la teoria errata”.

Ci sono differenze tra i differenti modi di comunicazione nei differenti gruppi che mostrano proto-linguaggi, e possiamo ordinarli rispetto alle loro sofisticatezze grammaticali così che possano essere immaginate in una sequenza di rappresentazioni? Non possiamo qui addentrarci in una classificazione comparativa dei differenti proto-linguaggi, ma una superficiale impressione sembra rivelare che il linguaggio delle scimmie istruite è sostanzialmente più povero di quello degli individui menomati, e quest’ultimo è più povero del linguaggio semplificato. Non è molto difficile pensare ad una progressiva sequenza evoluzionistica di questi linguaggi secondo le sofisticatezze grammaticali e concettuali. Inoltre non è difficile inventare linguaggi immaginari che siano più semplici in struttura e concetti di quelli di oggi. Per esempio, Premack avanza l’ipotesi di un linguaggio nel quale ci siano solo dirette applicazioni di parole alle azioni (e quindi senza voci passive), così che si possa dire “Adam ha mangiato la mela”, ma non “La mela è stata mangiata da Adam”. Altri esempi ipotetici di linguaggio pre-moderno, includente alcune estensioni grammaticali e concettuali del proto-linguaggio, sono state suggerite da Maynard Smith e Szathmary.

Sicuramente tutti questi linguaggi sono propri degli umani. Nonostante che anche le scimmie adulte istruite al linguaggio possano acquisire proto-linguaggi attraverso istruzioni, ed anche spontaneamente se esposte presto, tuttavia non sembrano comunicare così nella foresta (questa è piuttosto una nostra irresponsabile asserzione alla luce della nostra attuale ignoranza sui modi con cui le scimmie adulte comunicano in condizioni naturali). La questione è dunque: come evolve il proto-linguaggio dalle altre comunicazioni e dagli altri sistemi cognitivi? L’altra questione è la speciale, o non speciale, evoluzione della sintassi.

Pre-adattamenti simili a quelli enumerati per l’evoluzione del carattere proto-letterario sono probabilmente anche pre-adattamenti per il proto-linguaggio. Non è necessario ora discuterne nel dettaglio. Differenti autori enfatizzano le pre-condizioni e i pre-adattamenti per i proto-linguaggi; alcuni marcano il ruolo del controllo motorio volontario, alcuni l’intelligenza sociale e l’attribuzione di pensieri ad altri, ed altri la pressante selezione per una memoria migliore in una società consistente di molti individui e di complesse interazioni sociali.

Come si evolsero i primi ominidi? Fu un sistema di comunicazione convenzionale e altamente rigido, semplificato da sempre maggiori mutazioni, o si evolse gradualmente? Come i Darwiniani ci è un po’ difficile (e anche intellettualmente scoraggiante) credere in una miracolosa mutazione della sintassi, e pensare che l’evoluzione del linguaggio, come l’evoluzione degli adattamenti più funzionali, sia stata cumulativa, graduale e indiretta. L’aderenza al gradualismo non significa che sotto un punto di vista critico non possano emergere nuove dinamiche critiche: il linguaggio potrebbe essere un epifenomeno. Tuttavia, conclusioni così affrettate possono non essere esplicative. Se il linguaggio fosse un epifenomeno sarebbe necessario specificare ciò che è epifenomenico, e descrivere le leggi dinamiche che lo regolano. Quali pre-adattamenti furono selezionati ed eventualmente usati per il linguaggio, e in quale patrimonio frammentario si sono formati?


Autopoiesi nell’evoluzione del linguaggio

Crediamo che quel che venne selezionato era un assortimento di molte caratteristiche, tra le quali avremmo enfatizzato i ragionamenti proposizionali, i metodi di comunicazione che esprimono un’intelligenza sociale (in particolare l’intenzionalità e la teoria della mente), e un crescente lessico di simboli. Queste caratteristiche, abbinate alla pratica di costruire utensili, portano ad un migliore controllo volontario degli stati emozionali (inizialmente appresi), delle vocalizzazioni, ed espressioni manuali e facciali. Un’innovazione culturale spesso è sottoposta ad un processo di evoluzione culturale. Una serie di miglioramenti cumulativi, culturali (es. nella tecnica di costruzione degli utensili) potrebbe aver portato ad un’innovazione quale le affascinanti lastre di pietra per produrre utensili da taglio efficienti, costruite nel paleolitico. Le innovazioni culturali, inventate dagli adulti con difficoltà e non di frequente, vennero rapidamente adottate ed assorbite dai giovani ragazzi del gruppo (che erano in grado di assorbire le innovazioni senza sforzo), per farle diventare delle norme comportamentali della generazione successiva.

Come i geni co-evolvono con la cultura? Un significato plausibile per la graduale, genetica evoluzione del linguaggio è un processo conosciuto come “effetto Baldwin” o “assimilazione genetica”. I termini si riferiscono ad un processo evoluzionistico risultante, nei casi estremi, dalla trasformazione di un impulso appreso (o fisiologicamente indotto) da un impulso innato – indipendente dall’apprendimento o da un’evoluzione ambientale. C.H. Waddington, l’eminente genetista ed embriologo sperimentalmente mostrò questo processo a lavoro; una breve descrizione di uno degli esperimenti di Waddington potrebbe chiarificare il tutto.

Waddington stimolò uno strano fenotipo nel piccolo insetto da frutta Drosophila melanogaster: trattando le loro uova fertilizzate con etere, cambiò lo sviluppo di alcuni insetti che diventarono adulti con quattro ali invece che due. In seguito tra la popolazione adulta scelse quelli con quattro ali, li fece accoppiare, trattando le loro uova fertilizzate con etere, selezionando ancora, e così via. Inoltre egli studiò ogni generazione per vedere se gli insetti potevano sviluppare quattro ali senza trattare le loro uova. Durante le prime 20 generazioni questo non accadde. Ma dopo 20 generazioni di selezioni sistematiche, gli insetti adulti con 4 ali cominciarono ad apparire anche senza trattamento. Questo sviluppo caratteristico fu, all’inizio dipendente da induzioni esterne prodotte dall’etere montato geneticamente, ma in seguito indipendente.

Come avviene questo processo? Waddington ha dimostrato che la selezione di geni in molti loci differenti porta alla crescita nell’efficienza delle nuove reazioni di sviluppo. Il riassetto dei geni durante la formazione delle cellule sessuali, e la loro accidentale unione nella fertilizzazione, porta a molte combinazioni di geni. Selezionando la combinazione che ha prodotto un fenotipo 4-ali indotto con etere più facilemente, è stata superata un limite, ed è stata selezionata una particolare combinazione di geni che permette al fenotipo di apparire senza bisogno di uno stimolo esterno.

Un modello semplice può illustrare questo processo. Dobbiamo immaginare che vi siano due loci responsabili per lo sviluppo delle ali, e ci sono due differenti alleli in ogni loco: A e a nel primo, B e b nel secondo. Supponiamo inoltre che gli alleli a e gli alleli b siano relativamente rari, presentandosi con una percentuale del 5% all’interno della gruppo di insetti da laboratorio. Se il fenotipo 4-ali da laboratorio è stato prodotto spontaneamente (senza induzioni di etere) dal genotipo aabb, solo 1/160.000 (1/20x 1/20x 1/20x 1/20) tra gli insetti del gruppo avrà quattro ali, e ci sarebbe impossibile trovare questi individui nel nostro comune laboratorio. Se l’insetto con 4 con una combinazione AaBb di geni può rispondere al trattamento con etere sviluppando 4 ali, circa l’1% degli insetti che tratteremo con etere mostrerà 4 ali. Se prendiamo 1.000 uova fertilizzate e le trattiamo con etere, dovremo trovare 10 individui. Selezionando solo loro, adesso abbiamo insetti che sono AaBb, così nella prossima generazione la frequenza di alleli a e b sarà del 50%. Quando incrociamo gli insetti AaBb, c’è una possibilità su 16 che la combinazione aabb venga prodotta, e così sicuramente li vedremo! Quel che facciamo selezionando per induzione gli insetti con 4 ali è di accrescere le possibilità che la rara combinazione di geni, (aabb) facendo apparire il carattere senza etere, diventi più comune. Attraverso la selezione, l’ambiente esterno è divenuto, in un certo senso, ‘interiorizzato’[internalised], è stato preso, o assimilato, dal sistema genetico.

J.B.S. Haldane indirizzò l’idea di Waddington sull’evoluzione dell’istinto.

Egli suggerisce che la stimolo innato dei cuccioli di cane da pastore all’odore delle pecore potrebbe essere il risultato di assimilazioni genetiche di uno stimolo inizialmente appreso. Selezionando i cani più altamente motivati a sorvegliare le pecore, i pastori sembravano scegliere le combinazioni di geni che influenzavano il sistema nervoso stimolandolo all’odore delle pecore. In questo caso, una risposta che inizialmente si imparava attraverso il giudizio e l’errore, e che probabilmente richiedeva ricompense e punizioni secondo le capacità del cane, divenne per lo più una risposta automatica. Hinton e Nowlan hanno modellato un processo di assimilazione genetica e hanno mostrato che l’insegnamento può condurre ad un’assimilazione genetica di una risposta appresa. Il processo potrebbe non portare necessariamente ad assimilazioni genetiche complesse – ma può portare rapidamente ad una risposta che dipende da meno processi di apprendimento del dovuto.

Un processo di assimilazione genetica potrebbe essere rilevante nell’evoluzione delle componenti innate del linguaggio e particolarmente nell’evoluzione della grammatica universale. Un modello acquisito e trasmesso di pensiero e/o comunicazione potrebbe essere parzialmente assimilato, così che alcune componenti diventino innate. Se alcune delle sequenze possono diventare semi-automatiche senza compromettere le prestazioni future, potrebbe esserci la selezione di caratteristiche del sistema nervoso che permettono un apprendimento più automatico, dipendente da un numero minore di processi. L’assimilazione genetica di strutture cognitive che potrebbe essere organizzata come una grammatica universale è particolarmente plausibile perché di certo non ridurrebbe la duttilità dell’apprendimento. Al contrario, l’assimilazione di algoritmi accrescerebbe l’organizzazione logica delle rappresentazioni aumentando enormemente le abilità, facendo diminuire nel frattempo il periodo necessario all’apprendimento.

Le invenzioni culturali e la loro trasmissione attraverso gli insegnamenti sociali fu probabilmente l’evento iniziale dell’evoluzione del linguaggio. Alcune invenzioni, come l’organizzazione migliore delle parole, sono state assimilate geneticamente. L’evoluzione del linguaggio è andata avanti in maniera autopoietica: un’invenzione culturale, trasmessa dall’apprendimento sociale ed elaborata dall’evoluzione culturale, porta a nuove pressioni selettive per caratteri sempre più efficienti. Queste pressioni selettive portano alla scelta di geni che influenzano le caratteristiche del sistema nervoso facilitando il carattere. Per esempio, perfezionato il controllo del moto, vengono selezionate variazioni anatomiche e psicologiche nell’apparato vocale e cambiamenti nell’organizzazione del cervello (oppure altre combinazioni di caratteri rilevanti). L’evoluzione di queste caratteristiche può eventualmente avvenire nella costruzione di strutture cognitive con alcuni livelli di specificità funzionale, localizzazione e autonomia.

L’incorporazione di evoluzioni e patrimoni culturali permette di risolvere il problema di come migliorare geneticamente le abilità linguistiche di base, che potrebbe essere di vantaggio per un individuo ‘mutante’ in una popolazione che non ha ancora acquisito gli stessi vantaggi genetici. Per comunicare ciascuno ha bisogno di un partner che capisca. La maggior parte degli individui nella popolazione può acquisire un proto-linguaggio, sebbene più lentamente e con maggior sforzo dell’individuo ‘mutante’. La loro abilità a parlare e comprendere fornisce al ‘mutante’ un vantaggio selettivo, perché può fare le stesse cose in maniera migliore e più efficiente. Le innovazioni culturali e la duttilità fenotipica ha esteso la capacità di apprendimento ai suoi limiti. L’assimilazione genetica di una parte della sequenza d’apprendimento ora può far assimilare più facilmente e completare con anticipo alcuni processi. Non solo, questo permette l’allungamento delle sequenze di apprendimento: se alcuni passi verso l’apprendimento vengono assimilati geneticamente, ma la capacità totale di imparare rimane invariata, il carattere può diventare più complesso, perché include una maggiore sequenza di azioni. Il contesto culturale forma perciò lo stabile ambiente selettivo per gli adattamenti genetici che vanno in quella stessa direzione.

La co-evoluzione di geni e cultura è probabilmente importante nell’evoluzione di molti comportamenti umani. Torniamo ora al rivoluzionario evento di 40.000 anni fa che ha alterato il destino dell’Homo sapiens. Le nostre assunzioni sulla graduale evoluzione del linguaggio ci portano a credere che le popolazioni ancestrali avessero tutti i requisiti pre-adattativi per il linguaggio maturo. È possibile che sia stato superato un limite (e fa poca differenza se il limite sia stato superato da un cambiamento genetico minore o da un cambiamento nelle condizioni ambientali), che permetteva l’organizzazione di questi pre-adattamenti attraverso leggi dinamiche di auto-organizzazione dentro strutture complesse – la matura grammatica universale. Un’altra possibilità è che le popolazioni del paleolitico superiore potessero già parlare. Avevano un lignaggio che era abbastanza elaborato e complesso, col quale esprimevano intenzioni e pensieri, e potevano comunicare le proprio teorie sui pensieri degli altri. Questo linguaggio si è evoluto per lungo tempo tramite i geni e la cultura ed era probabilmente provvisto di una sintassi. Se non era identico al nostro linguaggio per complessità, non gli era nemmeno troppo lontano.

Se quel che affermiamo è corretto, allora ci sono due modi per spiegare la rivoluzione del paleolitico superiore: primo, l’innovazione che ha innescato questo cambiamento culturale non aveva nulla a che fare col linguaggio, e i nostri presenti linguaggi hanno avuto una lunga evoluzione culturale da un sistema di linguaggi abbastanza complesso; secondo, i pre-adattamenti, sia genetici che culturali, erano così vincolati all’evoluzione del linguaggio da essere sufficienti per permettere l’avvio della stessa organizzazione nella sintassi matura in molte condizioni, così che l’evoluzione parallela in molte società è stata inevitabile. Le due possibilità sono supportate dalla stima secondo cui un popolo giunto in Australia 50.000 anni fa o giù di lì, molto prima della ‘rivoluzione’, e le popolazioni australiane oggi hanno un linguaggio moderno estremamente complesso. Come esempio di un cambiamento non-genetico che produce una catena di cambiamenti nella cultura e nel linguaggio possiamo immaginare che durante il paleolitico, e prima di migrazioni umane in Australia, si svilupparono importanti innovazioni non-linguistiche (come il controllo del fuoco, l’invenzione della cottura e conservazione dei cibi). Queste invenzioni ebbero un grande vantaggio selettivo, alterarono l’organizzazione sociale e imposero una grande pressione selettiva per un’evoluzione sempre più complessa del linguaggio. L’invenzione linguistica rinforzò le precedenti conquiste tecnologiche, e avviò una sfilza di innovazioni culturali. Nel pieno spirito di Hurford, possiamo pensare che questo abbia potuto condurre ad invenzioni successive, con la convergenza dell’adattamento dei linguaggi tra le popolazioni, e queste invenzioni diventino parte di tutti i linguaggi, passando attraverso le generazioni dei bambini. Secondo tutte queste possibilità, quel che deve essere studiato per capire l’emergenza della sintassi sono le possibili pre-condizioni iniziali e le dinamiche che permettono la comparsa di questi organi cognitivi complessi.


(trad.it. Luca Viglialoro)




tit. orig.
“The evolution of language in light of the evolution of literacy”
Estratto da Jurgen Trabant (ed.) Origins of language, Collegium Budapest Workshop No.2 (1996), 70-88



 
 
 
 



Note con rimando automatico al testo

1) Così nel testo originale(ndT)

2) Ho deciso di tradurre “bootstrapping” con “autopoiesi” - “to bootstrap” significa anche “farcela da sé” – per mantenere l’idea del “processo di adattamento” evoluzionista (ndT).

3) Da qui tradurrò “literate behaviour” con “carattere letterario”, come insieme dei tratti fisici (o naturali) e comportamentali (o culturali) che stanno alla base della capacità di leggere e scrivere (ndT).

4) Traduco “pidgin” con “linguaggio semplificato”, anche se, solitamente, si adopera per descrivere una lingua molto essenziale nata dall’incontro con due linguaggi (ndT).