NON-LUOGO DI TRANSITO

 



Edgardo Castro, El vocabolario de Michel Foucault. Un recorrido alfabético por temas, conceptos y autores
Universidad Nacional de Quilmes Editorial (en coedición con Prometeo), Buenos Aires, 2004, ISBN: 9875580252 e ISBN: 9509217697

Il pensiero foucaultiano sfugge, per costituzione, ad una sistematizzazione. Del resto lo stesso Foucault ha spesso ribadito, nelle sue interviste, quanto la filosofia debba abbandonare ogni pretesa di sintetizzare e sistematizzare il reale e debba essere piuttosto una ontologia del nostro presente. Con questo termine intendeva definire l’ubi consistam della sua pratica filosofica, cioè tracciare delle genealogie dei nostri modi di vita e di pensiero, alla ricerca per esempio di come nasce la categoria medico-psichiatrica di malattia mentale, o del posto che occupa la follia nella cultura occidentale, o del modo in cui la nostra vita diventa oggetto di un governo sottile e invasivo. Il suo pensiero è, dunque, policentrico nelle tematiche e pluralista nel metodo. Accostarsi ad esso ed entrare nelle sue pieghe non è sempre agevole.

Il vocabolario di Castro è uno strumento utile sotto diversi punti di vista. Offre al lettore la possibilità di addentrarsi nel lessico foucaultiano attraverso un insieme di voci che comprendono non solo concetti e termini chiave, come per esempio Episteme, Biopotere, Sessualità, ma anche autori che risultano rilevanti per la comprensione del suo pensiero, per esempio Nietzsche e Canguilhem, Kant ed Hegel. Ciascuna voce offre un’analisi dettagliata dell’uso del termine o del contesto in cui è citato l’autore in questione, ma anche e soprattutto un rimando bibliografico che comprende non solo i Dits et Ecrits, ma anche le maggiori opere di Foucault, dove il concetto è utilizzato o l’autore è chiamato in causa. Così per esempio scorrendo la voce Episteme si trova non solo la sua definizione come ‘campo di analisi dell’archologica’, secondo la definizione data in Le parole e le cose e nell’Archeologia del sapere, ma anche le successive ricorrenze del termine in numerose interviste negli anni ‘60. Troviamo inoltre anche un rimando alla voce Kant, in riferimento al fatto che il termine episteme ha un uso completamente differente da quello kantiano. A completare la struttura della voce si trovano una serie di termini collegati come Archivio, Archeologia, Dispositivo, Formazione discorsiva, Pratica. In questo modo è possibile seguire l’utilizzo e le trasformazioni di un termine o di un concetto, o la ricorrenza di un autore, con grande facilità.

Nel caso in questione, il chiarimento dell’uso metodologico del termine Episteme permette di comprendere il criterio in base a cui Foucault differenzia l’età classica e l’età moderna. Dunque, per esempio, lo scarto nel modo di pensare e classificare gli esseri viventi – il passaggio dalla nozione tassonomica, propria dell’età classica, a quella sintetica di vita, propria dell’età moderna, – appare chiaramente come conseguenza di una trasformazione nella soglia epistemica. I passaggi presentati in Le parole e le cose, che conducono alla nascita delle scienze umane e all’emergenza della figura dell’uomo come essere che parla, vive e lavoro, appaiono dunque come prodotti di un cambiamento di soglia, che non è una soglia di percezione ma un campo di positività.

Invece, andando alla voce Potere, si può notare ancora una volta come il modo in cui sono strutturate le voci, tende a privilegiare il chiarimento dell’aspetto metodologico per poi soffermarsi sul livello diagnostico. Per esempio, del potere non viene subito enunciata la tesi secondo la quale esso è un fascio di relazioni, ma le esigenze di metodo che sono alla base delle tesi di Foucault. Dunque, prima di tutto la critica ad una analisi politica che utilizza concetti e categorie e che è centrata sulla sovranità, a cui viene contrapposta una filosofia analitica della politica, centrata sul potere non come categoria ma come prodotto di una serie di relazioni tra saperi e pratiche politiche. Si apre così un vasto panorama delle declinazioni del potere, nel suo rapporto antitetico con la sovranità, nel suo aspetto repressivo, in ciò che lo differenzia dal governo e nelle figure che assume nella storia della governamentalità, cioè come potere pastorale e potere statale. Il termine potere, dunque, non viene solo definito in rapporto alle analisi degli anni ’70, ma nei suoi utilizzi successivi, in modo da costruire una mappa di rimandi centrifuga. In questo modo, il lettore non solo viene facilitato nell’accesso al pensiero di Foucault, da una serie di riferimenti bibliografici che gli permettono di orientarsi con molta facilità nella ricca produzione del filosofo francese. Ciascuna voce, riproducendo l’effetto mobilitante del pensiero foucaultiano, colloca il lettore nel vivo di questo movimento, mettendolo in condizione di utilizzare a vari livelli la sua ‘cassetta di attrezzi’.

In una intervista del 1968, Foucault, soffermandosi sul metodo archeologico, sottolinea che tra le operazioni critiche intraprese contro il monopolio della storia delle idee e dei concetti, vi è quella di cancellare la denegazione. Con questo termine intendeva il sistematico disconoscimento delle condizioni di esistenza e di possibilità di un discorso. L’archeologia restituisce al discorso il suo dove e il suo quando: il luogo della sua emergenza e le condizioni in cui è stato possibile dirlo. Ed invece a dispetto della continua insistenza di Foucault sulla questione della topologia, del luogo e del modo in cui i discorsi emergono, spesso si assiste ad un uso indiscriminato dei concetti e dei termini foucaultiani, come se fosse indifferente il contesto in cui vengono usati. Questo vocabolario, restituendo ad ogni termine il suo luogo, con estrema precisione, riporta Foucault alla domanda che sottende ogni sua ricostruzione: da dove sto parlando?



Antonella Cutro