homepagesezionisommarioeditorialeredazione e  comitato scientificoin calendariomailing listricerche

 

Fede e menzogna nel mito dell'individualismo moderno

di Roberto Caracci

 

IL MITO DELL’INDIVISIBILITA’ E IRRIDUCIBILITA’ DELL’IO

Partiamo da una provocazione etimologica: l’individuo è ciò che è in-diviso, che non può essere ulteriormente diviso, sacro e inviolabile nella sua indivisibilità, praticamente irriducibile. Tutto potrà essere diviso e suddiviso ma quel nocciolo duro, quella pietra ‘scabra ed essenziale’ (per parafrasare Montale) che è l’individuo, no. Noi ci consideriamo così, in-dividui non ulteriormente divisibili e dunque irriducibili. La nostra ‘individualità’ resiste alla divisibilità dell’universo, della materia, dello spirito stesso. Se penso a me stesso, al mio io più profondo, mi penso così, come ciò che non potrà mai essere scomposto in due, in tre, in indeterminati ed a loro volta divisibili ‘io’.

Questa indivisibilità dell’io assume portata ontologica ed etica: ontologica, perché qui abbiamo a che fare con un ente che ha la struttura del ‘tutto’ autosufficiente, del sinolo, della sostanza non scomponibile; etica, perché è su questa irriducibilità dell’io individuale che si fondano la sacralità e l’inviolabilità della persona, ciò che impedisce ad esempio ad ogni legge morale o civile di trattare il me come se io fossi l’altro, o di considerarmi in qualche modo interscambiabile.

L’ANIMA, LA SCATOLA NERA

Ciascuno di noi tiene alla propria individualità e la difende a denti stretti quando essa è in pericolo. Vi è un orgoglio dell’io, una dignità dell’io, che balzano in primo piano in casi di allarme, di invadenza del mondo o dell’altro (‘L’inferno sono gli altri’, diceva Sartre, e che cos’è l’infernalità degli altri se non la loro capacità di invadere e violare l’unità dell’io individuale?) E’ nel segno dell’unità irriducibile dell’io che il concetto di anima assume una portata decisiva, quando neanche la coscienza di cartesiana memoria né tanto meno il corpo garantiscono l’indivisibilità: tutto mi potete strappare, dice il martire davanti al supplizio, brandelli del corpo o ciò che resta della mia stessa coscienza, ma non potrete mai strapparmi l’anima. Si può giungere all’estremo del pensare che ci si può rubare la coscienza ma non l’anima, quando non basta dire che ci si può rubare il corpo ma non la coscienza. E tutto ciò perché perduto il nocciolo duro, la scatola nera, che sta alla base della nostra unità di esseri in-dividuali, sembra non rimanere per noi altro che il naufragio nell’indistinto. L’individuo moderno ha paura della divisibilità della sua unità irriducibile come l’aristotelismo aborriva il concetto di infinito, in quanto esso si identificava col naufragio del sacro concetto di limite.

L’INDIVIDUO E’ DI PER SE’ STESSO GIA’ DIVISO

Eppure, dialetticamente, se siamo indivisibili come individui, vuol dire che siamo ‘divisibili’ rispetto a qualcosa che potrebbe dividerci, che si suppone minacci di dividerci senza peraltro riuscirci. Io come individuo resto indivisibile rispetto al nocciolo duro della mia anima, legato coriacemente ad esso con tutte le mie forze, ma questa coesione ha senso solo se mi permette di rimanere ‘diviso’ rispetto all’esterno, il mondo e l’inferno degli altri, diviso da ciò che non sono e mi circonda. In un universo divisibile io resto indivisibile.

La forza che mi permette di rimanere indivisibile come individuo rispetto all’esterno non è una forza d’azione, ma di re-azione. Al fondo dell’unità coriacea dell’invididuo moderno vi è un impulso reazionario. Mi contrappongo alla divisibilità dell’universo con la mia irrudicibilità di individuo a-tomico. L’essenza dell’individualità moderna è la contrapposizione rispetto al non individuale che circonda l’individuale.

Nella visione individualistica moderna, io non sono dividuus perché non sono ‘dividendus’, non sono cioè un dividendo che può essere diviso. Dal punto di vista cristiano, ad esempio, il corpo è un dividendo destinato dopo la morte a scomporsi, mentre l’anima è un non dividendo, in quanto permane eterna e non scomponibile. L’anima è per il cristiano (ma non solo per lui) ciò che più in-dividuale vi è nell’uomo. La finale resurrezione dei corpi sarà il ritorno di ciascuna anima individuale con ciascun corpo individuale: anche nell’al di là, nessuno potrà essere con-fuso con altri, rimarremo più che mai individui, anime inconfondibili e in-divise, cioè individuali.

 

IL TIMORE DEL DIVIDENTE CHE DIVIDE (E RICOMPONE)

Il timore di essere un dividendo, scongiurato dalla fede nella permanenza dell’irriducibile individuus in noi, si spiega però solo in rapporto alla fede in un ‘dividente’ che continuamente minaccia l’indivisibilità dell’io, in cui appunto l’io potrebbe perdere la sua irriducibilità e naufragare. Che cos’è questo dividente che sta a ridosso dell’individuo a da cui l’individuo è destinato a guardarsi e a difendersi fino alla morte e magari anche oltre?

C’è qualcosa rispetto alla quale noi ci sentiamo indotti a difendere lo spazio della nostra irriducibilità. Se noi siamo gli in-dividui, quel qualcosa avrà a che fare col Dividere, col Separare, con lo Scomporre. Ma- e questo è il passaggio più acrobatico- avrà a che fare anche con il Riunire, col Congiungere e col Ricomporre, perché tende a eliminare l’essenza dell’individualità consistente nella contrapposizione tra l’individuo e la divisibilità dell’universo che lo circonda.

In altre parole, da una parte l’individuo opponendosi al Dividente resta congiunto a se stesso e alla cosiddetta scatola nera del suo nucleo profondo, dall’altra proprio nella sua individualità di indivisibile resta un Diviso rispetto al Dividente da cui si difende. Nel momento stesso in cui l’individuo moderno rivendica la propria indivisibilità, riconosce di doversi difendere reattivamente da qualcosa che è esterno rispetto a lui o addirittura che è dividente e disomogeneo dentro di lui, dunque riconosce di essere un individuo fondamentalmente ‘diviso’, sia rispetto al mondo e agli altri, sia – come vedremo- anche dentro se stesso.

Da questo punto di vista, il mito della indivisibile irriducibilità dell’io (come soggetto, come coscienza o come anima) appare come il frutto di una radicale de-cisione di supportare l’unità atomica dell’io con le forze della volontà e della fede: una eroica chiamata alle armi contro un nemico esterno e interno potenzialmente ritenuto capace di dissipare la coesione egemonica dell’io come individuo separato.

 

IL DIVIDENTE E LE SUE FORME

Ma, ancora una volta, che cos’è quel Dividente? Possiamo innanzitutto dire che il dividente ‘divide’ l’individuo rispetto alla sua forma specifica e irriducibile, ossia rispetto alla Forma non-divisa che lui si è dato. In qualche modo lo strappa da se stesso e lo getta altrove, fuori-di-sé. Più che s-formarlo, lo di-sin-forma: lo fa fluttuare fuori dalla scatola nera della sua forma. In altri termini, potremmo dire forzando il concetto, lo strappa alla sua anima.

D’altra parte, il dividente dal quale l’individuo si difende per tutelare la sua irriducibilità indivisibile, tende a gettarlo in nuove Forme non individuali, che si avvicendano a quelle in cui egli tuttavia giace da sempre e rispetto alle quali sviluppava il suo antagonismo di ente irriducibile: la di-sin-formazione in cui l’io di volta in volta viene a trovarsi, e che egli vive come continua minaccia alla sua irriducibilità individuale, si può interpretare come un appello alla trans-formazione, ossia alla disponibilità da parte dell’io a calarsi in forme non solo radicate nel suo passato extra-individuale, ma anche trasmutanti nel tempo, e dunque futuribili.

A questo punto possiamo retrospettivamente chiarire che ciò a cui l’individuo resisteva erano le forme non individuali –radicate nel tempo- in cui la forma della sua individualità era e sarebbe stata gettata Le forme extraindividuali del Dividente, se da una parte separano l’individuo dal nucleo della sua individualità, lo ricongiungono proprio a ciò a cui come individuo si contrapponeva, la Divisibilità dell’universo. Il timore della divisibilità, che sta alla base del pilastro ‘metafisico’ dell’individualità, si può leggere allora come il timore della consapevolezza di fare parte di Forme trans-individuali, letali per la forma-sostanza in cui l’io si sente strutturato.

Possiamo dunque parlare delle Forme del Dividente, in cui l’individuo che si difende dalla divisibilità è suo malgrado gettato. Il dividente permea l’individuo, proprio nel momento in cui ha ‘fede’ della propria indivisibilità e per essa lotta. Del resto la contrapposizione vissuta dall’individuo nei confronti di ciò che lo rende meno ‘individuo’ di quanto non creda o voglia credere, si trasforma in ‘guerra’, uno stato di bellicosità non solo diretto contro il transindividuale di cui non vorrebbe far parte, ma anche inevitabilmente contro se stesso e la parte ‘divisa’ di sé.

L’INDIVIDUO E’ UN DIVIDENDO

Noi ancor più che individui, siamo dei Dividendi. Ma in che senso il Dividente, con le sue Forme, permea la nostra individualità e la divide? In che senso il dividente ci trasforma in dividendi? Se siamo dei dividendi, vuol dire che siamo fatti di Parti. E le parti di cui noi siamo fatti ‘non’ sono individuali, non sono esclusivo patrimonio nostro. Con queste parti, noi ‘parte-cipiamo’ a qualcosa che trascende la nostra particolarità, e siamo in essa gettati. Come individui noi siamo già ‘formati’ e dunque divisi, permeati e attraversati da forme transividuali che fanno di noi dei ‘dividui’ e dei dividendi. Ciò che temiamo, il naufragio nel flusso dell’indistinto, non è altro che il naufragio nel flusso delle Forme del Dividente, forme che crediamo di non poter controllare perché non sottoponibili direttamente al controllo egemonico della nostra soggettività. A quelle forme corrispondono le parti ‘divise’ della nostra soggettività, che proprio perché consegnate a una logica transindividuale ci sembrano violare il nocciolo duro della nostra individualità, la scatola nera che solo a noi Dio ha affidato.

L’INDIVIDUO MODERNO, PERSONA SENZA VOLTO E SENZA VOCE (SUA)

L’accentuazione dell’individualismo nell’epoca moderna, conseguente anche ai processi sociopolitici di democratizzazione e liberalizzazione della società, porta alle estreme conseguenze la contrapposizione dell’individuo, con la sua fede nell’irriducibilità dell’io, rispetto alle forme (del Dividente-Ricomponente) che lo permeano e insieme lo trascendono.

E quanto più l’uomo tende a difendere a denti stretti lo zoccolo duro della propria soggettività, tanto più palese appare l’artificio della sua personalità. Dell’individuo è sempre meno facile riconoscere il ‘volto’, ricoperto dalla maschera di legno della sua ‘persona’, e la ‘voce’ vera, amplificata e deformata dal diaframma della maschera.Noi vediamo un volto che non è il suo e udiamo una voce che non è la sua, mentre egli paradossalmente tende a rivendicare tenacemente l’irriducibilità inconfondibile del suo volto individuale e della sua voce individuale. Chi è colui che noi vediamo e udiamo? E’ un individuo o un uomo? Nel suo volto vediamo il nocciolo inconfondibile della maschera-persona che resiste al mondo, agli altri e alle trasformazioni dell’io nel tempo, o un orizzonte abitato dalla complessità stessa della vita, del mondo, dell’universo e dalla loro divisibilità? E nella sua voce udiamo il gracidio metallico della maschera, che per-sonat attraverso uno schermo, ma che sola è sua, oppure la limpida voce di un uomo in cui filtra il suono stesso delle cose, del mondo, della natura?

L’individualismo moderno spinge l’uomo a offrirsi al mondo con il suo volto di maschera e la sua voce in falsetto, col proposito apparentemente nobile di assicurarne l’unicità, eppure è proprio quando l’uomo è meno se stesso, ossia meno arroccato sulle posizioni difensive e reazionarie della irriducibilità dell’io, che in fondo è più Se stesso. Nell’abisso di quel Sé naufraga ogni fede nella roccaforte dell’io atomico e ogni menzognera o teatrale separazione della nostra presunta individualità rispetto alle Forme della natura e della storia.