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Io, tu, noi, in Luce Irigaray

di Margarete Durst

 

Luce Irigaray, la ormai notissima psiconalisita e filosofa femminista che ha trovato in Italia una ricezione che sembra almeno a tutt’oggi ignorare cedimenti, ha centrato tutta la sua riflessione critica sul rapporto d’alterità, per prima cosa mettendo in luce come sia per la filosofia che per la psicoanalisi, partorite da menti maschili e rimaste ancorate ad una cultura segnatamente maschile e fallocentrica, si debba parlare di ‘mancata esperienza dell’altro’, in quanto l’alterità di cui si tratta non è altro che proiezione del medesimo, cioè dell’uno posto a soggetto della relazione, del pensiero e del discorso; uno nella cui maschilità apparentemente neutra è annullata la differenza che rende unico e unica ogni uomo e ogni donna realmente esistenti. Secondo Irigaray l’esigenza di contenimento, di interezza, di totalità che pervade tanto la filosofia che la psicoanalisi - esigenza che in modi più o meno camuffati riemerge in autori contemporanei che si sarebbero lasciati alle spalle la modernità - estromette ciascun individuo dall’effettiva situazione relazionale in cui egli-ella vive, a partire dalla nascita, situazione la cui matrice di alterità è inscritta nel corpo in quanto irriducibile all’uno che si propone come medesimo (1). Questo azzeramento della differenza primaria, differenza implicante una relazione con un corpo altro che è sempre corpo sessuato, inficia alla radice la possibilità di un rapporto interumano imperniato sul rispetto, appunto perché ciò che si nega è condizione di relazionalità e dunque di un’effettiva esperienza dell’altro (2). Ma il corpo nella sua immediata concretezza di corpo sessuato è quanto filosofia e psicoanalisi, ciascuna a proprio modo, non sanno pensare se non per via di negazione, ponendo in sua vece un’immagine archetipa di corpo modellata sul corpo maschile. Nel caso della psicoanalisi questa riduzione del differente all’uguale avviene attraverso l’assolutizzazione della sessualità maschile che assurge a prototipo dell’intera vita sessuale con la conseguente cancellazione dell’identità sessuale delle donne in quanto autenticamente differente e quindi non leggibile in termini di specularità rispetto a quella maschile (3). La psicoanalisi ha la responsabilità di avere teorizzato ipostatizzandola in termini scientifici questa negazione della differenza, ratificando con la negazione della sessualità femminile, sistematicamente ignorata nella sua alterità, la marginalizzazione e più di frequente l’esclusione delle donne dalla cultura, almeno da quella meno direttamente riconducibile alla natura; noto è infatti che nell’ottica psiconalitica la cultura è espressione sublimata di pulsioni sessuali, pulsioni che, come si è visto, vengono lette tutte in chiave maschile. Questa dimenticanza dell’altra metà del mondo non trova nella filosofia un supporto teorico così sistematico, ma, a ben guardare, e Irigaray si sofferma con grande attenzione anche su questo settore, il sapere filosofico sia come summa che come vertice di una molteplicità di saperi si è sviluppato proprio a partire dalla negazione della differenza e dall’assolutizzazione dell’uno quale identico e medesimo che riporta a sé ogni dimensione d’alterità; uno in cui la sessualità non compare come oggetto di conoscenza essendo stata rimossa, e con essa il corpo, per legittimare la purezza dell’attività conoscitiva. Ma, come insegna la psicoanalisi, il rimosso è destinato a ripresentarsi sotto forma di sintomo e nella filosofia il corpo sessuato compare attraverso la riproposta continua dell’uno camuffato da altro e viceversa dell’altro camuffato da uno: logos, pensiero, idea, ragione, concetto, soggetto (tutti termini che andrebbero scritti con la maiuscola) che con l’univocità, più o meno sottilmente e subdolamente imposta, fronteggia la paura della differenza. Nella psicoanalisi, che pure vorrebbe demistificare le ipostasi ideologiche di ogni tipo mettendone in luce le matrici pulsionali specificatamente sessuali, si manifesta di fatto una rimozione del tributo pagato alla filosofia attraverso l’omologazione della differenza sessuale al sesso maschile che finisce così per risultare implicitamente o esplicitamente modello di identità umana (4).

La ricorrente omologazione del diverso all’uguale che caratterizza la cultura sia filosofica che psiconalitica novecentesca, cioè di due forme di sapere che tendono a presentarsi come costitutivamente critiche, s’innesca, secondo Irigaray, in un vizio d’origine del pensiero filosofico che la riflessione contemporanea ha solo scalfito, vizio legato all’incapacità di guardare, e conseguentemente di pensare, la differenza primaria dell’altro sesso, che è il sesso da cui non si può prescindere: quello della donna che concepisce, partorisce e nutre il figlio; sesso che rappresenta l’origine impensata e sempre riproposta attraverso rappresentazioni negatrici della sua effettiva alterità. L’invidia maschile, dunque il desiderio con la sua componente di attrazione/paura, della potenza materna interdice alla donna di vivere la funzione materna senza rinunciare alla sua sessualità, ma nello stesso tempo interdice all’uomo la relazione come esperienza di sé nell’incontro con l’altra/altro (5).

L’Altro con la maiuscola che Lacan barra per negare che possa mai effettivamente darsi un’esperienza con un’alterità non proiettiva, non quindi impregnata e frammista di un Io che a sua volta non si conosce mai a prescindere dai continui, reiterati, ‘alter-ego’ che in una specie di parossistico gioco di specchi gli prospettano i tanti aspetti di sé che volta per volta è in grado di vedere, deve dunque, nella prospettiva femminista di Irigaray, essere tolto di mezzo dal discorso innanzitutto filosofico che mantiene il suo ruolo di matrice rispetto agli altri discorsi culturali (6); ma quest’abbattimento più che avere intenti distruttivi serve a lasciare posto all’emergenza di un’alterità con la minuscola, necessariamente declinata al plurale come ‘le altre’, ‘gli altri’, cioè come quella proliferazione di differenze non omologabili all’uguale in cui si manifesta la costitutiva relazionalità degli esseri umani, uomini e donne; relazionalità, sintetizzata nei più recenti testi di Irigaray in forma di "io tu noi", su cui si fonda la potenzialità dialogica di discorsi che non ricadano nella ripetizione (7).

L’esperienza dell’altro, che i testi contemporanei ci prospettano in termini di estraneità (lo straniero, il diverso-impensato) e di famigliarità (il prossimo, l’atteso), legandola sia alla diversità che all’uguaglianza (simile-dissimile), acquista negli scritti di Irigaray un’incisività particolare nel momento in cui, paradossalmente, si stempera, perdendo il suo alone aulico e, frammischiandosi al tessuto della vita quotidiana, ai vissuti elementari della sfera privata che attraverso la messa a fuoco della differenza si riscattano dall’anonimia e assumono la loro rilevanza politica. La persona, con la molteplicità della sue istanze radicate nel corpo quale significante primario, chiede di essere riconosciuta nella differenza che la rende unica e irripetibile, in quella differenza che è immediato segno di relazione con altre donne, altri uomini ciascuno un io che chiede un tu e un noi. Su questa relazione "io tu noi" si è concentrato lo sguardo critico di chi, paventando una messa in ombra dell’individualità, dell’individuo concretamente esistente, ha visto una propensione a stemperare l’incisività della relazione interpersonale <io tu> in un noi adombrante l’anonomia di una pluralità omologata (8). A mio avviso la dimensione del noi è stata sempre molto presente nei testi di Irigaray, non quindi solo in quelli dell’ultimo periodo in cui la proposta di una nuova politica dei rapporti donna-uomo è avanzata in termini soprattutto poetici e letterari, ma anche nei cosidetti testi storici quali Speculum e Etica della differenza sessuale, come anche in Sessi e genealogie. Infatti la denuncia dell’occultamento della differenza perpetrato dalla cultura "logo-fallo-centrica" e l’avvio del conseguentemente dissotterramento di una realtà sommersa, oltre a ripercuotersi sulle donne come sugli uomini, coinvolge entrambi e richiede ad entrambi un’attività che implica collaborazione. Ciò non significa però che la dimensione del "noi", proprio perché così interna al pensiero di Irigaray, possa considerarsi in certo modo esorbitante rispetto a quella dell’<io tu>, innanzitutto perché una riflessione così centrata sul corpo e così strutturata sul discorso psicoanalitico, come è quella della nostra autrice, non può lasciare sullo sfondo, o addirittura dimenticare, l’individualità che è appunto corporea e sessuata, e con essa la relazione primaria che è con il corpo dell’altra donna, la madre, e dell’altro, l’uomo in quanto corpo diverso da quello della madre. "L’ordine sociale, la nostra cultura, la stessa psicoanalisi, vogliono che sia proprio così:la madre deve restare interdetta, esclusa. Il padre interdice il corpo a corpo con la madre" (9), cioè la relazione "con la sicurezza della prima ora": la placenta quale prima casa rappresentabile in forma incruenta. Il legame vivente con la madre, con la potenza creatrice femminile, diventa veicolo mortifero perché ri-introduce nel buio, nella notte, nell’immobilità, nell’assenza, in tutto ciò che è rappresentato nella caverna platonica.

Concludo queste annotazioni sottolineando come a mio parere l’incisività del discorso di Irigaray, provata anche dalla sua tenuta nel tempo, è dovuta molto alla pratica psicoanalitica, intendo in particolare alla conoscenza e direi alla padronanza della problematica freudiana almeno sulla questione donna e sulla sessualità femminile; padronanza che le ha permesso di mettere in luce anche le spie nei testi di Freud di una presa di coscienza dei sentimenti di invidia e rivalità che il maschio, bambino, prova rispetto alla femmina, bambina, allorché scopre che è uguale per sesso alla madre il cui corpo è per lui oggetto d’amore primario (10). Spunti che secondo Irigaray Freud non ha saputo sviuppare ma che una psiconalisita donna, Melanie Klein, ha approfondito e elaborato in maniera geniale, laddove la nostra autrice affronta in maniera a mio avviso molto tranchante la teoria delle varie fasi della relazione del neonato con il corpo materno e degli oggetti parziali (11). Tutto da riconsiderare in una prospettiva femminista sarebbe, dal mio punto di vista, il pensiero di Melanie Klein, cui Kristeva ha dedicato il terzo volume della sua trilogia sul genio femminile di cui sono usciti in francese, che io sappia, ancora solo i primi due volumi dedicati ad Arendt e Colette.

Aggiungo che mi sembra che Irigaray abbia dato prova della sua profonda disponibilità all’esperienza dell’altro anche nel capillare confronto con i testi freudiani che ha condotto in Speculum, non solo decostruendo lo scritto di Freud per intessere con esso il proprio discorso in maniera né meramente assimilativa né utilitarisitica, quanto invece creativa, ma anche mettendosi effettivamente a confronto con quanto dice Freud e avviando così un cimento dialogico in cui entra in gioco l’io-tu-noi; cimento analogo a quello che intraprende con i maestri filosofi, Platone e Aristotele, ovviamente sempre sulla differenza ignorata o meglio rimossa: il corpo sessuato dell’altra non ridotto al Medesimo.

 

Note

(1) Nel definire "la differenza sessuale in funzioni dell’apriori del medesimo" la psicoanalisi fa affiorare il suo nucleo filosofico rimosso, cioè la rimozione perpetrata dalla filosofia classica del desiderio dell’origine che di per sé implicherebbe un’eterogeneità altra (la sessualità della donna), rimozione che condiziona per intero la rappresentazione dell’identità sessuale, come con felice sintesi ci fa capire già il titolo della prima parte di Speculum L’altra donna (tr.it., Feltrinelli, Milano, 1979, IV ed.): Il luogo cieco di un’antica simmetria.

(2) "Se l’uomo resta fissato al suo primo oggetto amoroso, alla madre, durante tutta la vita [come vorrebbe l psicoanalisi freudiana], che funzione avrà la donna nella sua economia sessuale? Ci sarà mai un qualche rapporto fra i sessi? e il desiderio potrà mai svincolarsi da una pura e semplice coazione?" (Speculum, cit., p.26).

(3)La donna, e con lei la differenza che è condizione dell’alterità, ha quindi bisogno di "rimettersi al mondo" facendo emergere "una rappresentazione autonoma e positiva della sua sessualità" (L.Irigaray, sessi e genealogie, tr.it., La Tartaruga, 1989, p.28).

(4) "La castrazione, in fondo, non è stata altro che la (de)negazione dell’altro della differenza sessuale che dalla propria rimozione ritorna in forma di schemi, di prigioni, di barriere o stasi nei rapporti. Questo ovviamente anche nel discorso" (Speculum, cit., p.217). A partire da Freud - "lui stesso prigioniero d’una certa economia del logos, di una certa logica, in particolare del <desiderio>, di cui disconosce il legame che con la filosofia classica" (Ivi, p.23), il discorso psicoanalitico si costruisce su quanto è "richiesto da tutte le figure dell’ontologia, l’apriori del medesimo" conservato "a prezzo di un espatrio, d’una espropriazione, di tipo teo-logico" (Ibidem).

(5) "Ma dove si trova, per noi, l’immaginario e la simbolica della vita intrauterina e del primo corpo a corpo con la madre? In quale notte, in quale follia vengono lasciati? […] E chi crederebbe, d’altronde, all’innocenza di questo legame con la madre, dal momento che, a chi tenta di ricollegarsi con lei, ritorna in primo luogo il delitto che è stato commesso e perpetuato contro di lei?" (Sessi e genealogie, cit., p.25, nel cap. da cui si cita, intitolato Il corpo a corpo con la madre e in origine Le donne e la pazzia, sono centrali i temi dell’"annullare il debito" contratto con la madre e del "dimenticare la potenza" della madre, con i relativi effetti sull’uomo e sulla donna).

(6) L.Irigaray, Speculum, cit., p.215: "(La/una) donna può dunque essere a rigore un significante – posto eventualmente sotto la sbarra – nel sistema logico delle rappresentazioni o dei rappresentanti rappresentativi del "soggetto"; la curatrice (L.Muraro) in nota evidenzia il richiamo alla grande A (l’Altro) sbarrata usata dia Lacan.

(7) L.Irigaray, Io Tu Noi. Per una cultura della differenza, tr.it., Bollati Boringhieri, Torino, 1992. "Ciò che pensavamo di scoprire come mistero nei paesi lontani, si rivela mistero molto vicino a noi, in noi: mistero di noi in quanto due generi. […] i generi non sono opposti né in contraddizione […] la loro differenza necessita un nuovo pensiero, un nuovo discorso" (Sessi e genealogie, cit., p.158).

(8) Mi riferisco a A.Cavarero, Corpi in figure, Feltrinelli, Milano, 2000.

(9) L.Irigaray, Sessi e genealogie,cit., p.25.

(10) Cfr. L .Irigaray, Speculum, cit.

(11) Cfr. L.Irigaray, Sessi e genealogie, cit.