indice del numero 4

 

 

 

Waste: quel che resta dell'arte

di Andrea Bonavoglia

Indice:
A) Scarti
B) Provocazioni
C) Giochi
D) Contrasti
E) Tendenze
Note

A) Scarti

La lingua inglese possiede un sostantivo-aggettivo, waste, la cui completa traduzione in italiano richiederebbe un piccolo manuale; significa infatti sperpero, spreco, rifiuto, scarto, spazzatura, detriti, escrementi, deperimento, deserto, e ancora residuo, rimasto, superfluo, avanzato, arido, desolato, sterile, improduttivo... Si ricorderà che Thomas Eliot intitolò The Waste Land il suo celebre poema, tradotto ormai storicamente in italiano con un forse riduttivo "La terra desolata". Waste, in definitiva, richiama ed esplicita lo scarto, qualcosa che viene espulso ed escluso.

E' evidente tuttavia che gli scarti, nella loro necessaria quantificazione, rientrano alla stessa stregua degli interi nella vita degli uomini: chi produce cerca da sempre di recuperare i resti dovuti al lavoro stesso di produzione. Gli innumerevoli modi di conservare gli alimenti non consumati o non immediatamente consumabili rappresentano una testimonianza importante di tradizioni diffuse nella cultura dei popoli, e molti altri possono essere gli esempi, dalla tradizionale lavorazione dei tronchi d'albero, per cui una parte del legno si trasforma in tavole e un'altra in segatura e trucioli che verranno in seguito recuperati, alla moderna trasformazione dei residui organici, che consente la produzione di gas utili, una tecnica assimilabile al tradizionale riutilizzo in forma di letame delle deiezioni animali.

Nella storia dell'arte il riuso dei materiali relativi alla produzione artistica è molto più frequente di quanto non si creda: in pittura è stato sistematico il riciclaggio di tavole, di cornici e di tele, per non parlare di intere pareti rifatte e/o ridipinte, al punto da creare opere ibride, molteplici, contenute o sostenute da un unico supporto; in scultura i materiali più preziosi sono stati oggetto di continue trasformazioni e riutilizzi (celebre il saccheggio del bronzo del Pantheon per costruire il baldacchino di San Pietro, ma non si dimentichi che, tra mille possibili esempi, anche il David di Michelangelo nacque da un blocco di marmo già intaccato da un altro scultore); in architettura i detriti, in qualità di materiale inerte, fanno parte integrante della storia delle costruzioni, ma anche le rovine del passato sfruttate come sostegno per nuovi edifici rientrano in un discorso affine (a Roma le arcate del Teatro di Marcello superfetate dal Palazzo Savelli ne sono un clamoroso esempio, insieme al Mausoleo di Adriano divenuto Castel Sant'Angelo e alla michelangiolesca basilica di Santa Maria degli Angeli, costruita utilizzando il tepidarium e altri spazi delle Terme di Diocleziano) ed esiste un termine ad hoc, spoglio, per indicare quei pezzi di costruzioni antiche presi e rimessi in opera per costruzioni nuove (come le colonne di templi diruti ricollocate nelle chiese cristiane).

Il teatro di Marcello in Roma
La facciata di Santa Maria degli Angeli in Roma (XVI sec.)
Il Teatro di Marcello in Roma, trasformato in Palazzo Savelli
L'attuale facciata della basilica di Santa Maria degli Angeli, ricavata nella struttura delle Terme di Diocleziano in Roma

 

Il concetto di scarto sembra quindi aver bisogno di una classificazione:
lo scarto originale è il pezzo nuovo che avanza per un qualunque motivo e che viene rimesso in circolo;
lo scarto di produzione è il residuo, ad esempio il vetro frantumato o il ritaglio di lamiera, che può essere riciclato attraverso un diverso processo di trasformazione;
lo scarto d'uso è il pezzo già utilizzato o imperfetto, che viene sostituito o tolto e resta a disposizione.

L'incredibile aumento dei rifiuti nel mondo moderno è un dato di fatto ed è indubbio che l'abbondanza dello spreco nell'attuale civiltà occidentale abbia portato a riflessioni etiche, politiche ed economiche di estrema rilevanza; inevitabilmente tali considerazioni sono entrate a far parte anche della cultura artistica.


B) Provocazioni

Si è già sottolineato come il riciclaggio degli avanzi sia cosa antica, ma è solo nell'arte moderna che lo scarto diventa protagonista; Kurt Schwitters innalza con il Merzbau (dal 1923) un vero e proprio monumento alla spazzatura, Pablo Picasso, che sin dai tempi del Cubismo aveva incollato pezzi di giornale e carte da gioco sulle sue tele, trasforma un manubrio e un sellino in una testa di toro (Testa di toro, 1943), Piero Manzoni giunge a mettere in scatola i propri escrementi (Merda d'artista, 1961).

Nelle avanguardie pittoriche del Novecento e soprattutto nel Dada, la provocazione artistica era divenuta etica e politica e l'Arte, intesa come bellezza e "produzione", dichiarata estinta, distrutta. Ne restano le macerie, ulteriore indizio di totale inutilità: uno sgabello che non può essere usato per sedere e una ruota di bicicletta che non può rotolare sulla strada montati insieme sono l'icastica immagine duchampiana dell'Arte in sé (Ruota di bicicletta, 1913), qualcosa che per definizione non serve a nulla e non deve servire a nulla. Cos'altro potrebbe simboleggiare con eguale efficacia la morte di un'estetica trimillenaria?

Duchamp uccide l'arte del passato con un gesto, un ready-made che dura un attimo nell'esecuzione e per sempre nel significato, mentre Schwitters dedica a quest'assassinio l'intera sua vita d'artista, in tre diverse epoche e luoghi (Germania, Norvegia e Gran Bretagna), accumulando all'infinito materiali di risulta in una scultura-architettura priva di limiti nello spazio e nel tempo, il Merzbau. In Schwitters e nei suoi innumerevoli epigoni, la lucidità e l'estro dell'artista s'intersecano, l'arte in quanto istinto creativo si manifesta nell'aggiungere scarto a scarto senza una forma, senza un progetto, ma l'arte in quanto espressione di un pensiero si manifesta in quella forma, in quel progetto. La tridimensionalità di questa operazione è quasi implicita e impone la scultura, o un qualcosa di simile alla scultura, come arte di riferimento.

Lo scarto è diventato protagonista allora, ma il modo di elaborazione varia: assemblaggio è la sua utilizzazione come elemento materico da comporre secondo schemi astratti o naturalistici, inserzione il suo collegamento ad altri materiali secondo libere scelte dell'artista, camuffamento e/o trasformazione il suo uso nascosto per non apparire ciò che è, e infine riproduzione la sua stessa rappresentazione come oggetto di una diversa operazione creativa. Nel corso del Novecento tutte queste operazioni sono state sperimentate, rivelando da un lato negli artisti l'amore privo di pregiudizi per la forma in sé, per cui è bello anche il detrito o il lacerto, il rudere o il relitto, dall'altro la riflessione sull'immoralità dello spreco e la sua denuncia, esplicitata dal riciclaggio e dall'esibizione. Waste dicono gli anglofoni, e intendono spreco e rifiuto insieme.

 

 

 

Schwitters, Merzbau (1913)
Il Merzbau
(Kurt Schwitters, 1923)

Picasso, Testa di toro (1943)
Testa di toro
(Pablo Picasso, 1943)

Manzoni, Merda d'artista (1961) Merda d'artista
(Piero Manzoni, 1961)

Duchamp, Ruota di bicicletta (1913)
Ruota di bicicletta
(Marcel Duchamp, 1913)

 

C) Giochi

Dopo il parziale ritorno all'ordine del primo dopoguerra, il New Dada e la Pop Art negli anni Cinquanta riprendono temi dissacranti e dirompenti; posto Dada come punto zero, si rinasce, se si rinasce, su quelle scandalose ceneri. Innumerevoli sono gli artisti che hanno costruito arte sul paradosso della non-arte e hanno sfruttato materiali e oggetti già esistenti per creare composizioni insolite, stranianti, difficilmente catalogabili e sempre discusse. In questo senso, è il Surrealismo, inteso non solo come gruppo storico ma anche come atteggiamento artistico sotteso a molti movimenti moderni, a dare una base concettuale al recupero formale dei resti, degli avanzi, dei rifiuti.

 

David Smith, Tanktotem VI (1957)
Munari, Macchina inutile (1934)
Tanktotem VI
(David Smith, 1957)
Macchina inutile
(Bruno Munari, 1934)


David Smith, l'autodidatta che era stato vicino a Calder e ai surrealisti negli anni Trenta costruendo oggetti filiformi e colonne assemblate con i più disparati frammenti, nel clima rovente del secondo dopoguerra si dedica a monumentali serie tra cui i Tanktotem basati su serbatoi metallici e le Sentinel strutturate su rottami di automobile (Tanktotem VI, 1957). Smith possiede ironia e buon gusto e, anche in opere dimensionalmente importanti, sa usare una sorta di leggerezza, un innato sottotono. Non molto lontane da Smith sono state le ricerche di Bruno Munari (Macchina inutile, 1934), di Jean Tinguely (Baluba, 1962), celebre per le sue giocose fontane meccaniche, irrispettose e divertenti e di Daniel Spoerri, l'autore dei cosiddetti Tableaux-Pièges, quadri-trappola, in cui, ad esempio (Repas hongrois, 1963), i generatori della composizione artistica sono i resti di un pasto, nei bicchieri e nei piatti, insieme a tovaglie, posate e bottiglie. In anni più recenti Spoerri ha tenuto viva la tradizione ludica di Tinguely, ricollegandosi formalmente anche alla levità e al disincanto di Calder e di Mirò (Senza titolo, 1984).

Tinguely, Baluba (1962)
Spoerri, Repas hongrois (1963)
Spoerri, Untitled (1984)
Baluba
(Jean Tinguely, 1962)
Repas hongrois
(Daniel Spoerri, 1963)
Senza Titolo
(Daniel Spoerri, 1984)

 

L'assemblaggio di scarti d'uso in somiglianza di oggetti reali fu sperimentato dallo scozzese Eduardo Paolozzi nel primo dopoguerra; le sue forme sono ispirate da residui e rottami metallici, osservati e raccolti casualmente, che egli riproduce e riplasma, attraverso l'impiego di materiali nobili come il bronzo, per poi ricomporli estrosamente, creando figure stlizzate, primitive, cubiste (Paris Bird, 1949).

Sono analoghe le ricerche di Pino Pascali con la serie delle Armi (Armi, 1960), fantasiose e provvisorie imitazioni di fucili e mitragliatrici ottenute con pezzi di metallo, barattoli, tubi, sottratti alla rottamazione, e da Ettore Colla che rivolse la sua creatività verso lamiere, infissi, piastre metalliche corrose o logorate, rivisitando modelli antichi e riducendoli a scheletri materici (Genesi, 1955 e Trittico, 1960).

Colla, Genesi (1955)
Pascali, Armi (1960)
Paris Bird
(Eduardo Paolozzi, 1949)
Genesi
(Ettore Colla, 1955)
Armi
(Pino Pascali, 1960)

In America, Robert Rauschenberg più di ogni altro è parso sensibile a un discorso tanto etico e civile quanto ironico e ludico; il suo fare arte è un'inserzione continua e sorprendente di materiali tradizionali e non tradizionali, le cui radici formali risalgono certamente a Man Ray, a Schwitters, a Arp e a Duchamp, ma che oltrepassano la dimensione di accumulo per diventare appunto un fare, uno scegliere, un creare.

Rauschenberg nella sua lunghissima e ancora non conclusa carriera (splendidamente riassunta in una grande antologica organizzata a Ferrara nella prima metà del 2004), dagli anni Cinquanta al 2000, ha utilizzato di tutto, lamiere, corde, scatole, rottami presi dalla strada, inserendoli in opere di collage, metà scultura metà pittura (Dylaby, 1962), e giungendo al punto estremo, paradosso nel paradosso, di riprodurre perfettamente in ceramica i frammenti di un imballaggio di cartone spiegazzato dall'uso (Tampa Clay Piece 3, 1973).

Colla, Trittico (1960)
Rauschenberg, Dylaby (1962)
Rauschenberg, Tampa Clay Piece 3 (1973)
Trittico
(Ettore Colla, 1960)
Dylaby
(Robert Rauschenberg, 1962)
Tampa Clay Piece 3
(Robert Rauschenberg, 1973)

 

 

D) Contrasti

Con e dopo il Surrealismo, con e dopo la Pop Art allora, l'occhio dell'artista , ormai esperto e avvezzo a forme non usuali, cade su oggetti prodotti a scopo meramente pratico e con intenzioni nient'affatto figurative, e scopre in linee, colori e materiali l'improvviso manifestarsi di una forza, di un'emozione, di un sentimento, se non di una intrinseca bellezza. Qualunque oggetto può essere sottoposto a questa sorta di trasformazione estetica, come teorizzava Max Ernst; la creazione e l'intuizione artistica allora non stanno esaurendosi o cedendo il passo, stanno solamente mutando, come sempre hanno mutato, i tempi e gli spazi del loro farsi e del loro divenire.

In Italia Alberto Burri, nel contesto di quella che fu battezzata l'arte povera, realizzò alcune serie di opere usando materiali non tradizionali e rese celebri, per la straordinaria inventiva e capacità compositiva, i sacchi di tela grezza e gli scarti di tappezzeria sovrapposti al quadro, collage materico colorato a volte da vernice o da bruciature (Sacco e rosso, 1954). Il pittore sembra restare fedele alla bidimensionalità e ad un gusto astratto ormai consolidato in Europa e negli USA dagli anni Venti; l'uso dei brandelli di sacco appare una scelta formale estrema sì, ma dettata da un'esigenza compositiva ed etica né scandalosa né provocatoria.

Basata invece sul contrasto tra arte e non-arte, o forse meglio tra finzione e realtà, è l'opera di Michelangelo Pistoletto; nella sua Venere degli Stracci (1967) contrappone una montagna di stracci alla candida copia di una statua classica posta di spalle, in uno stridore cromatico e formale che ancor oggi lascia interdetti. Nello stesso contesto l'opera più discussa di Piero Manzoni, la già citata produzione in scatola di escrementi (Merda d'artista, 1961), porta al grado massimo di intensità e provocazione la riflessione sul valore storico, morale, economico, nonché estetico, dell'opera d'arte in sé. L'idea stupefacente del residuo organico che diventa protagonista (anche se probabilmente le scatole sono delle matrioske senza altro contenuto che se stesse), si abbina a quella ancor più scandalosa della sua conservazione in un barattolo di latta, contenitore moderno e supporto di immagine pubblicitaria già glorificato da Warhol.

Forse soltanto il tedesco Joseph Beuys, erede dichiarato di Duchamp e spesso accostato a Warhol, ha suscitato indignazione simile a quella provocata da Manzoni. Sedie, tavoli, pianoforti coperti o modificati, singolari elettrificazioni generate o partecipi di oggetti comuni, enormi installazioni metalliche, misteriosi cantieri, macigni di basalto deposti sul pavimento, appena toccati dallo scalpello dell'artefice, riempiono le sale espositive dapprima delle gallerie, poi dei musei; Beuys fa dell'assemblaggio di materiali di risulta, anche organici o viventi, un'arte sottile nelle scelte, ma massiccia e pesante nei risultati formali, con accostamenti e toni che spesso sconfinano nella dimensione del macabro. Due flaconi già usati per la conservazione del plasma, vuoti, posati su blocchetti di legno, nel mezzo un altro pezzo di legno, verticale, una croce rossa in alto: tale nella visione dissacrante di Beuys la crocifissione di Cristo con San Giovanni e Maria ai piedi della croce (Crocifissione, 1963)

Ancora negli anni Sessanta, ma in uno spirito diverso, lavorano invece César Baldaccini (Compression Ricard, 1962) e Arman (Accumulazione di brocche, 1961), all'interno di quel Nuovo Realismo svizzero-francese che li accomuna tra gli altri a Tinguely e a Spoerri; i loro frammenti della realtà sono oggetto non di assemblaggio, ma di trasformazione e camuffamento. César schiaccia i rottami di un'automobile fino a ridurli a un blocco policromo e polimaterico, Arman forza letteralmente lo spazio incastrando e stringendo tra loro numerose caraffe di metallo disfatte dall'uso, ma per entrambi l'operazione non è brutale o violenta, quanto piuttosto critica, fredda, scientifica.

 

 

 

Burri, Sacco e rosso (1954)
Sacco e rosso
(Alberto Burri, 1954)

Pistoletto, Venere degli stracci (1967)
Venere degli stracci
(Michelangelo Pistoletto, 1967)

Beuys, Crocifissione (1963)
Crocifissione
(Joseph Beuys, 1963)

César, Compression Ricard (1962)
Compression Ricard
(César, 1962)

Arman, Accumulazione di brocche (1961)
Accumulazione di brocche
(Arman, 1961)

E) Tendenze

Negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo il termine Trash Art è stato usato per definire movimenti ed opere che utilizzavano spazzatura (trash, appunto), o comunque scarti d'uso, per creare oggetti ironicamente artistici. Niente di nuovo, come s'è visto, ma è rilevante che la definizione e in qualche modo la consacrazione del riutilizzo in forma d'arte abbiano reso meno stravaganti alcune scelte successive, ed è ancor più rilevante che la matrice etica ed ecologica di denuncia dello spreco risulti con maggiore evidenza. Di Trash Art in definitiva si parla non nel senso cristallizzante di un gruppo o di un movimento, ma piuttosto nel senso elastico e aperto di una tendenza. Un problema di confusione linguistica si sta poi verificando da alcuni anni, con la sempre maggior popolarità del senso spregiativo di Trash, rivolto a spettacoli o eventi di basso livello e di infimo contenuto, soprattutto in campo televisivo.

Tra gli artisti viventi in età ancora pienamente produttiva, sia nella ricerca pittorica che in quella plastica, il più maturo e affascinante è probabilmente Anselm Kiefer: le sue biblioteche di volumi metallici sono sicuramente indimenticabili per impatto visivo ed emotivo, come molte delle sue numerose opere di pittura. Kiefer, legittimo erede di Beuys, nel 2001 ha costruito qualcosa che Pascali avrebbe sicuramente apprezzato, un carro armato composto di brandelli sovrapposti di scalini in cemento armato (Sefer Hechalot, 2001) e di libri di piombo in luogo della torretta. Non è un'arma giocattolo tuttavia, ma qualcosa di duro ed aggressivo, che finisce, come sempre nell'opera dell'artista tedesco, per condurre lo spettatore verso inquietanti riflessioni.

L'inglese di origini africane Chris Ofili ha utilizzato sterco di elefante essiccato per alcune opere (Holy Virgin Mary, 1996), forse rivendicando l'autenticità selvatica del materiale, del quale l'artista, senza probabilmente pensare di essere creduto, afferma di apprezzare le qualità visive.

La dimensione giocosa è invece ancora presente nell'opera di John Bock, che usa per le sue grandi ed enigmatiche opere (Foetus Gott, 2002) gli scarti e i materiali meno prevedibili, compresi quelli deperibili come vegetali e piccoli animali (rane e tartarughe ad esempio); nelle sue evanescenti composizioni interviene lui stesso, muovendosi all'interno dei variopinti e labirintici spazi creati.

Agli antipodi di Bock nello spirito, ma a lui complementare nell'interesse per i materiali organici, il medico Gunther von Hagens (Cadavere, 2000) negli ultimi anni ha portato in giro per il mondo, con imprevisto ampio successo, i resti autentici di esseri umani, le loro spoglie ridotte a moderne mummie plastinate, esposte in pose di discutibile realismo. Si potrebbe forse assimilare quest'ultima tendenza all'operato in scena di performer o di gruppi teatrali: con strabordanti rappresentazioni, ad esempio, la compagnia spagnola Fura dels Baus (in catalano, la Faina dell'Immondezza) ha scatenato, a partire dagli anni Ottanta , reazioni indignate nel pubblico lanciando in scena e in platea sangue e interiora di animali appena macellati e distruggendo con particolare violenza, sul palco, oggetti e macchinari di consumo (tra cui numerosissime automobili, ma con effetti ben diversi da César).

Nonostante l'evidente impossibilità di elencare, distinguere e catalogare gli artisti contemporanei, un ultimo personaggio merita tuttavia una citazione nell'ambito della nostra ricerca, l'americana Mierle Laderman Ukeles che si fregia del curioso titolo di "Artista ufficiale del New York City Department of Sanitation" (come dire l'azienda comunale per l'igiene, ovvero per la nettezza urbana). L'opera di Ukeles, ancora difficilmente inseribile in un contesto di somiglianze o parentele, sta a metà tra performance, land-art e prassi politica. Come e dove inserire infatti in un testo di storia o di cronaca d'arte un'opera come Touch Sanitation del 1980? Un'opera della durata di 11 mesi, durante i quali l'artista ha salutato e stretto la mano, uno per uno, a tutti gli 8.500 operatori del N.Y.D.S. ripetendo a ciascuno "Grazie, tu mantieni viva New York".

 

Kiefer, Sefer Hechalot (2001)
Sefer Hechalot
(Anselm Kiefer, 2001)

 

Bock, Foetus Gott (2002)
Foetus Gott
(John Bock, 2002)

 

von Hagens, Cadavere (2000)
Cadavere femminile
(Gunther von Hagens, 2000)


Ofili, Holy Virgin Mary (1996)
Holy Virgin Mary
(Chris Ofili, 1996)

N. d. A.: una prima versione di questo articolo è stata pubblicata dalla rivista European Art Magazine , edizione 106 del 6 luglio 2004, nella sezione Focus On

 

Nota bibliografica di riferimento

Ave Appiano, Estetica del rottame, Meltemi 1999

Zygmunt Bauman, La società sotto assedio, Laterza 2003

Alberto Boatto, Pop Art, Laterza 2003

Andrè Breton, Entretiens. Storia del Surrealismo 1919-1945, Massari 1991

Elizabeth Burns Gamard, Kurt Schwitters' Merzbau: The Cathedral of erotic misery, Princeton Architectural Press 2000

Cristina Morozzi, Oggetti risorti. Quando i rifiuti prendono forma, Costa & Nolan 1998

Francesco Poli, Minimalismo, arte povera, arte concettuale, Laterza 2002

Michel Ragon, Cinquante ans d'art vivant, Fayard 2001

Marta Ragozzino, Dada e Surrealismo, Giunti 2001

Pop Art e oggetto. Artisti italiani degli anni Sessanta. Catalogo della mostra (Cortina d'Ampezzo, 1996), Mazzotta 1996

 

Internet: Mostre

Mutant Materials in Contemporary Design (esposizione al Museum of Modern Art di New York, 1995)

L'arte che avanza (esposizione a Trento, 1997), di Maria Pace Ottieri

Il riuso dell'antico (esposizione a Roma, 2004)

Pino Pascali (esposizione a Napoli, 2004), di Simone Pallotta,

Raccolta differenziata (esposizione a Vittorio Veneto, 2004), di Edoardo Di Mauro

Internet: Correnti e artisti

Nouveau Réalisme (Tinguely, Klein, Deschamps, Raysse, Hains, César, Dufrene, Rotella, Spoerri, Arman, Christo, ...)

Luisa Bortolotti, Tra un tempo che si sfalda e uno che nasce (intervista a Riccarda Turrina)

Guido Faggion, Anselm Kiefer - Stelle cadenti

Giulio Ferroni, Che cos'è il trash?

Sandro Montalto, La riscossa dell'escremento

Stefania Pirani, Silenzio richiesto e necessità di parola (su Alberto Burri)

Giorgio Verzotti, Note sulla presenza dell'oggetto d'uso nell'arte contemporanea

 

 

 

 

 


copertina e archivio dei numeri di Kainosmailing-listin calendarioredazioneeditorialenon-luogo di transitorecensioniricerchepercorsiforumemergenzedisvelamenti