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Come siamo diventati postumani

Corpi virtuali nella cibernetica, nella letteratura e nell'informatica



di N. Katherine Hayles


Katherine Hayles è una delle più note teoriche del post-human. Traduciamo qui, per gentile concessione, le pp. XI-XIV del suo volume How We Became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics, University of Chicago Press, ©1999.

(cfr. testo originale inglese)

Prologo (pp. XI-XIV)


Siete soli nella stanza, se si eccettuano due terminali di computer baluginanti nella penombra. State usando i terminali per comunicare con due entità che si trovano in un'altra stanza e che non potete vedere. Con l'unico riferimento delle risposte alle vostre domande, dovete decidere chi dei due è l'uomo e chi la donna. Ovvero, secondo un'altra versione del celebre gioco di simulazione proposto da Alan Turing nel suo saggio "Computer Machinery and Intelligence" del 1950, ormai un classico, voi usate le risposte per decidere chi è umano e chi la macchina (1). Una delle entità vuole aiutarvi a indovinare. La miglior strategia di lui/lei/esso, suggeriva Turing, è probabilmente di rispondere alle vostre domande con sincerità. L'altra entità vuole ingannarvi. Lui/lei/esso cercherà di riprodurre, attraverso le parole che appaiono sul vostro terminale, le caratteristiche dell'altra entità. Il vostro compito è di porre domande che consentano di distinguere tra una performance verbale e una realtà corporea (*). Se non riuscite a distinguere la macchina intelligente dall'essere umano intelligente, il vostro fallimento prova, riteneva Turing, che la macchina è in grado di pensare.


Ora che si apre l'era dei computer, l'eliminazione della corporeità (*) è stata realizzata, così che l'"intelligenza" diventa una proprietà della manipolazione formale di simboli, piuttosto che una capacità di far parte (**) del mondo degli uomini. Il Test di Turing creò l’agenda di lavoro sull'intelligenza artificiale per le successive tre decadi. Nello sforzo di ottenere macchine in grado di pensare, i ricercatori hanno realizzato ripetutamente quell'eliminazione della corporeità (*) che sta al cuore del test di Turing. Null'altro importava se non la generazione formale e la manipolazione di modelli informativi. A sostegno di questo processo stava la definizione di informazione formalizzata da Claude Shannon e da Norbert Wiener, che concettualizzava l'informazione come un'entità distinta dai substrati stessi cui si appoggia. Partendo da questa formulazione, non c'era da compiere che un piccolo passo per pensare all'informazione come a una specie di fluido incorporeo, che può scorrere in mezzo a differenti substrati senza perdita di significato o di forma. Scrivendo circa quarant'anni dopo Turing, Hans Moravec propose che l'identità umana consistesse in un modello informativo, piuttosto che in un’azione corporea (**). L’asserto può essere dimostrato, suggeriva, trasferendo la coscienza umana in un computer, ed egli immaginò uno scenario atto a mostrare che ciò era possibile in linea di principio. Il test di Moravec, se posso chiamarlo così, è il logico successore del test di Turing. Se il test di Turing era stato progettato per mostrare che le macchine possono conquistare l'atto di pensare, prima considerato esclusiva capacità della mente umana, il test di Moravec fu progettato per mostrare che le macchine possono diventare il ricettacolo della coscienza umana, cioè che le macchine possono diventare esseri umani per ogni scopo pratico. Voi siete il cyborg, e il cyborg è voi.


Nel percorso progressivo da Turing a Moravec, la parte del test di Turing su cui si è focalizzata l'attenzione è stata la distinzione tra l'umano pensante e la macchina pensante. Spesso dimenticato è il primo esempio offerto da Turing sulla distinzione tra uomo e donna. Se il vostro fallimento nel distinguere correttamente tra uomo e macchina prova che la macchina è in grado di pensare, che cosa prova il fatto che avete fallito nel distinguere tra donna e uomo? Come mai compare il genere, in questa scena primaria di umani che incontrano i loro successori nell'evoluzione, le macchine intelligenti? Che cosa hanno a che fare i corpi sessuati con l'eliminazione della corporeità (*) e il conseguente mescolamento dell'intelligenza di uomini e macchine nella figura del cyborg?


Nella sua calibrata e penetrante biografia intellettuale di Turing, Andrew Hodges suggerisce che Turing prediligesse avere rapporti con il mondo come se esso fosse un puzzle formale (2). Dice Hodges che in buona misura Turing era cieco davanti alla distinzione tra dire e fare. Fondamentalmente, Turing non capiva che "le domande relative al sesso, alla società, alla politica o ai segreti dimostrerebbero come ciò che si può dire possa essere limitato non da un'intelligenza in grado di risolvere puzzle, ma dalle restrizioni su ciò che si può fare" (pp. 423-424). Con bella perspicacia, Hodges suggerisce che "la macchina a stati discreti che comunica con una stampante, rappresentava [per Turing] l’ideale della sua stessa vita, secondo il quale egli avrebbe voluto essere lasciato da solo in una stanza, in relazione con il mondo esterno esclusivamente tramite argomentazioni razionali. Era la personificazione di un perfetto liberale, alla J. S. Mill, concentrato sul libero arbitrio e sulla libertà di parola dell'individuo" (p. 425). Il successivo pasticcio di Turing con la polizia e con la giustizia in merito alla sua omosessualità mise in luce, in una chiave diversa, i presupposti incorporati nel test di Turing. La sua condanna e i trattamenti ormonali per l'omosessualità ordinati dalla giustizia, dimostrarono tragicamente il predominio del fare sul dire nell'ordine coercitivo di una società omofobica, che ha il potere di imporre la propria volontà sopra la persona suoi cittadini.


A prescindere dalla perspicacia della sua biografia, Hodges fornisce una curiosa interpretazione dell'inclusione del genere nel gioco di simulazione. Il genere, secondo Hodges, "era infatti una falsa pista e uno dei pochi passaggi del testo non espressi con perfetta lucidità. Il senso del gioco era che una simulazione riuscita delle risposte di una donna da parte di un uomo non proverebbe alcunchè. Il genere dipendeva da fatti non riducibili a sequenze di simboli" (p. 415). Nel testo stesso, tuttavia, Turing non afferma mai che il genere debba essere inteso come un controesempio, anzi, egli pone retoricamente in parallelo i due casi, indicando che, se non altro per simmetria, il genere e gli esempi umano/macchina finiscono per provare la stessa cosa. Ciò, come ritiene Hodges, è dovuto solo a un'imprecisione nel testo, a un'incapacità di esprimere un'opposizione tra la costruzione del genere e la costruzione del pensiero? Oppure, al contrario, il testo esprime un parallelismo troppo esplosivo e sovversivo per la comprensione di Hodges?


Se è così, abbiamo adesso due misteri invece di uno. Perché mai Turing include il genere, e perché mai Hodges vuole leggere questa inclusione come segno che, quando si parla di genere, la performance verbale non può essere messa sullo stesso piano della realtà in carne e ossa? Un modo per circoscrivere questi misteri è di vederli rispettivamente come tentativi di consolidare i confini del soggetto, o di uscirne. Includendo il genere, Turing implicava che rinegoziare il limite tra umano e macchina comporta qualcosa di più che trasformare la domanda "chi è in grado di pensare?" in "che cosa è in grado di pensare?". Ciò metterebbe necessariamente in questione anche altre caratteristiche dell'individuo liberale, perché fa la mossa cruciale di distinguere tra la persona effettiva, presente in carne e ossa da una parte dello schermo del computer, e la persona rappresentata, prodotta da marcatori semiotici e verbali che la costituiscono in un ambiente elettronico. Tale costruzione rende necessariamente il soggetto un cyborg, perché le persone effettive e quelle rappresentate sono messe in congiunzione dalla tecnologia che le collega. Se siete in grado correttamente di distinguere chi è l'uomo e chi la donna, voi in effetti riunite le persone effettive e quelle rappresentate in un'unica identità di genere. Nella sua essenza, tuttavia, il test implica che potete anche fare la scelta sbagliata. Perciò il test funziona per creare la possibilità di una disgiunzione tra le persone effettive e quelle rappresentate, senza riguardo alla vostra scelta. Ciò che il test di Turing "prova" è che la sovrapposizione tra le persone effettive e quelle rappresentate non è più una naturale inevitabilità, ma una produzione contingente, mediata da una tecnologia che è diventata così intrecciata con la produzione dell'identità da non poter più essere significativamente separata dal soggetto umano. Porre la domanda di "che cosa è in grado di pensare" cambia quindi inevitabilmente, in un anello continuo, i termini di "chi è in grado di pensare".


Sotto questo punto di vista, l'interpretazione di Hodges del test sul genere come insignificante rispetto all'identità, può essere vista come un tentativo di salvaguardare i confini del soggetto proprio da questo tipo di trasformazione, e di tornare ad affermare che l'esistenza di macchine pensanti non influenzerà necessariamente il significato di essere umani. Che l'interpretazione di Hodges sia un'interpretazione scorretta, dimostra che egli vuole praticare violenza sul testo per togliere bruscamente senso alla direzione cui il test di Turing punta, tornando indietro, verso terre più sicure, dove la corporeità garantisce il genere in maniera univoca. Ritengo che egli sia in errore a proposito della corporeità come garanzia tanto dell'univocità del genere quanto dell'identità umana, ma che sia nel giusto a proposito dell'importanza di rimettere a posto la corporeità. Ciò che la corporeità assicura non è la distinzione tra maschio e femmina, o tra umani in grado di pensare e macchine che non. Piuttosto, la corporeità (*) spiega come il pensiero sia una funzione cognitiva molto più vasta, dipendente per le sue specificità dalla forma corporea (*) che la rende effettiva. Con tutte le relative implicazioni, tale riconoscimento è così vasto nei suoi effetti e così profondo nelle sue conseguenze, che sta trasformando il soggetto liberale, considerato sin dall'Illuminismo come modello dell'umano, nel postumano.


Considerate il test di Turing come un trucco magico. Come tutti i trucchi magici, il test dipende dalla vostra accettazione, in fase preliminare, di affermazioni che determineranno come voi interpreterete ciò che vedrete in seguito. Il procedimento importante viene non quando cercate di determinare chi è l'uomo, chi la donna, o chi la macchina. L'intervento importante viene invece molto prima, quando il test vi pone in un circuito cibernetico che congiunge la vostra volontà, il desiderio e la percezione in un sistema cognitivo distribuito, nel quale i corpi rappresentati sono uniti con i corpi effettivi tramite interfacce di macchine mutanti e flessibili. Quando fissate i descrittori baluginanti che si muovono sugli schermi del computer, non importa davvero come identificate le entità personificate che non potete vedere, voi siete già diventati postumani.


(traduzione di Andrea Bonavoglia)


Note:

1) Alan M. Turing, "Computing Machinery and Intelligence", Mind 54, 1950 (ed. italiana: Alan M. Turing, Intelligenza meccanica, Bollati Boringhieri Torino, 1994).

2) Andrew Hodges, Alan Turing. The enigma of Intelligence, Londra, 1985 (ed. italiana: Andrew Hodges, Storia di un enigma. Vita di Alan Turing (1912-1954) , Bollati Boringhieri Torino, 1991). Sono in debito con Carol Wald per le sue intuizioni in merito alla relazione tra genere e intelligenza artificiale, argomento della sua tesi, e con altri suoi scritti su questo soggetto. Devo anche ringraziarla per avermi fatto notare che, nella sua analisi del saggio di Turing, Andrew Hodegs considera l'uso del genere da parte di Turing una debolezza logica.


(*) (**) Note alla traduzione:

Ricorrono, in questo breve estratto dal prologo di N. K. Hayles al suo "How We Became Posthuman", alcuni termini la cui traduzione richiede un chiarimento. Ho reso embodiment e embodied (*) con corporeità e corporeo, nonostante il significato primario di incarnazione e incarnato, per una evidente scelta di aderenza all'etimologia (body, corpo) e anche per evitare una connotazione mistica che nell'inglese non c'è; ho poi reso (**) enaction, letteralmente rappresentazione, con capacità di far parte in un'occasione, e con azione in un'altra, per motivi strettamente contestuali. Proprio su questi punti delicati della traduzione desidero ringraziare Vincenzo Cuomo per i suoi preziosi suggerimenti.



N. Katherine Hayles,

How We Became Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics.

University of Chicago Press. ©1999

Copyright notice:

Excerpted from pages xi-xiv of How We Became Posthuman by N. Katherine Hayles, published by the University of Chicago Press. ©1999 by the University of Chicago. All rights reserved. This text may be used and shared in accordance with the fair-use provisions of U.S. copyright law, and it may be archived and redistributed in electronic form, provided that this entire notice, including copyright information, is carried and provided that the University of Chicago Press is notified and no fee is charged for access. Archiving, redistribution, or republication of this text on other terms, in any medium, requires the consent of the University of Chicago Press.



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