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Louis Bolk, Il problema dell’ominazione,
A cura di Rossella Bonito Oliva

DeriveApprodi, Roma 2006, € 12,00, ISBN 88-88738-93-2




Il problema dell’ominazione, ossia della prima insorgenza della forma umana, è al centro di questo rivoluzionario lavoro di Louis Bolk, l’anatomista-filosofo autore di una teoria che avrebbe sostanziato buona parte dell’antropologia filosofica novecentesca, e che si può sintetizzare nella suggestiva definizione di Gould: “Il bambino è il padre dell’uomo”.

Presentato nel 1926 alla XXV Assemblea della Società di Anatomia di Friburgo, Das Problem der Menschwerdung anticipa già nel titolo la dimensione processuale e dinamica a partire dalla quale l’autore intende far emergere, endogeneticamente, la forma umana. “La questione dell’ominazione è di duplice natura: il problema della parentela tra l’uomo e gli altri primati è diverso da quello del divenire della forma dell’uomo. Nell’ambito della ricerca della discendenza mettiamo il punto interrogativo davanti alla forma attuale dell’uomo, quanto alla dottrina dell’evoluzione della forma mettiamo il punto interrogativo dietro la nostra figura attuale” (p. 91).

Se l’ipotesi evoluzionistica di Darwin aveva incentivato gli studi di anatomia comparata e la somiglianza morfologica era stata considerata un indispensabile metro di valutazione delle affinità esistenti tra i primati, con Bolk l’approccio al problema cambia diametralmente. Dalla filogenesi l’attenzione si sposta sull’ontogenesi, e quindi sulle cause interne di sviluppo dell’organismo e conseguentemente della sua forma.

Questa la tesi centrale: “L’essenziale (das Essentielle) del morphon è solo un sintomo dell’essenza (das Wesentliche) del bios umano” (p.49).

Pur considerando l’importanza dell’elemento fenomenico, ossia appunto del dato anatomico o morfologico, Bolk ritiene infatti di doverne indagare le cause a un livello profondo, passando dal visibile all’invisibile, dalla forma all’essenza che la genera, secondo una direttrice che, come fa notare Rossella Bonito Oliva, rimanda alla morfologia goethiana. Dalla forma, intesa come immagine di singoli aspetti anatomici, si deve passare quindi alla figura (Gestalt), come insieme organizzato di parti.

Ciò che viene sostanzialmente negato è che l’adattamento all’ambiente possa spiegare l’origine dei caratteri primari dell’uomo, che invece sarebbero l’effetto di cause endogene, interne all’organismo. La fisiologia diventa pertanto l’ambito maggiormente indagato, al fine di pervenire al principio determinante dell’ominazione.

Contrario alla tesi secondo cui la postura eretta avrebbe causato i caratteri specifici dell’uomo, Bolk si interroga piuttosto sui motivi dell’andatura eretta, intesa come fenomeno solo secondario. E la risposta è individuata nei caratteri

primari oggetto della sua ricerca, tra i quali l’ortognatismo, la mancanza di peluria, la persistenza delle suture craniche. Tali elementi, considerati alla luce dell’ontogenesi dei primati, portano a una conclusione assolutamente sorprendente: “Le caratteristiche e le condizioni della forma che nel feto degli altri primati sono transitorie, nell’uomo si sono stabilizzate” (p. 51), per cui si può concludere che “ciò che nel processo evolutivo delle scimmie era uno stadio di passaggio, nell’uomo è diventato lo stadio finale della forma” (p. 52).

E’ questa la celebre ipotesi della fetalizzazione, che spiega l’essenza della forma umana come esito di un ritardo dello sviluppo, che nell’uomo, a differenza della scimmia, sarebbe di tipo conservativo. Bolk spiega così la lentezza della crescita e della maturazione piena dell’essere umano, privo delle determinazioni che caratterizzano invece i primati, il cui sviluppo è definito invece propulsivo.

Ma quale è la causa di un simile ritardo? “Collegando il ritardo come fenomeno alla secrezione interna come momento causale, il problema dell’ominazione diventa un problema puramente fisiologico, quale in fondo è sempre stato” (p. 58). Dunque è il sistema endocrino il responsabile del ritardo di sviluppo dell’uomo: gli ormoni avrebbero inibito la crescita giungendo inoltre a impedire la comparsa di alcuni caratteri presenti nelle scimmie.

Bolk si sofferma con numerosi esempi ad illustrare i caratteri “ritardati” tipici dell’uomo, a partire dalla consistente durata della vita intrauterina, per poi passare all’aumento di massa corporea degli ominidi, attribuibile a un rallentamento dell’ossificazione, o all’assenza di peluria, dovuta all’inibizione della crescita di origine ormonale.

Estremamente interessante è inoltre il tentativo di spiegare la stessa origine della famiglia, primo nucleo della società umana, a partire proprio da questa condizione naturale, che obbliga i genitori a prendersi cura del bambino per molti anni, a differenza di quanto accade in natura.

Resta da spiegare il motivo di una simile azione ritardante del sistema endocrino: ma su questo Bolk avanza solo una timida ipotesi, collegando l’ominazione al cambiamento di alimentazione, ossia al passaggio da un organismo frugivoro a uno onnivoro, per poi chiedersi: “Non è possibile che l’antropofagia abbia avuto un ruolo significativo, che essa sia stata uno stimolo per un più elevato sviluppo dell’umanità? […] Non costatiamo gli inizi di una cultura superiore proprio nelle razze cacciatrici dei tempi antichi?” (p. 88).

La teoria bolkiana non è priva di aspetti anche controversi, laddove si tematizza la differenza razziale e si afferma che “il ritardo del corso della vita di un uomo nero non ha raggiunto ancora l’alto grado della razza nordica” (p. 85), anche se poi la prospettiva futura resta tragica per tutti, perché “più l’umanità progredisce verso l’umanizzazione, più si avvicina al fatale punto in cui andare avanti significa annientamento” (p. 91). “Andrai in rovina per le tue virtù” recita Nietzsche, unico filosofo citato da Bolk a questo proposito.

Se infatti lo sviluppo conservativo umano va dalla determinazione dei caratteri dei primati alla loro progressiva inibizione e scomparsa, si può ipotizzare un processo di graduale indeterminazione, il cui esito finale sarà l’implosione e quindi la scomparsa stessa della forma umana.

Per comprendere appieno l’origine e l’impatto dell’ipotesi di Bolk su un’intera epoca, risulta particolarmente preziosa l’introduzione della Bonito Oliva, che definisce la riflessione bolkiana “fedele alla coniugazione di matrice tedesca di vitalismo ed evoluzionismo” (p. 22).

La fine dell’uomo, come esito della progressiva indeterminazione in Bolk, sembra evocare gli scenari prefigurati da Spengler nella sua riflessione sul tramonto dell’Occidente, anche se in questo caso siamo di fronte all’esaurimento e non all’implosione della forma; la messa a distanza dell’ambiente attuata dall’uomo, con il prolungamento della fase di giovinezza, che allontana l’impatto con la natura mediante la protezione offerta dalla famiglia, determina un destino umano in opposizione alla dimensione naturale, ossia quella che già Th. Lessing definì una vera e propria maledizione della civiltà; Scheler tematizza invece l’eccentricità dell’uomo, rispetto al mondo animale, proprio a partire dalla sua capacità di emancipazione dagli istinti e quindi di negazione; Gehlen riprende l’ipotesi di Bolk nel tratteggiare l’immagine di uomo difettivo, perché inibito nella crescita e pertanto costretto a compensare la sua strutturale fragilità con artifici sociali e culturali, che costituiscono lo specifico umano; lavorando sul comportamento animale, Lorenz verificherà il portato dell’ipotesi bolkiana in ambito etologico, soffermandosi sulla curiosità e sulla propensione al gioco del bambino come dell’uomo, quale conseguenza della sua immaturità; Plessner porrà l’accento sulla lenta emancipazione dell’uomo dalle figure parentali, utilizzando quindi il concetto di “ritardo” come causa dell’instabilità della condizione umana; Portmann valorizzerà invece l’aspetto positivo dell’immaturità tipicamente umana, ponendo al centro della sua riflessione la creatività, come sfera indipendente da quella meramente utilitaristica e tale da consentire un rapporto spirituale col mondo.

Anche la psicanalisi sembrerà dare ragione a Bolk. Che la pulsione sia originata dall’organismo in reazione a forze perturbatrici esterne, alle quali esso si opporrebbe per ripristinare una stasi originaria, è quanto sostiene Freud, che ipotizza in tal modo una dimensione dell’uomo inizialmente chiusa al mondo, i cui stimoli sarebbero pertanto causa di tensione. Lacan infine stabilirà un nesso tra l’ipotesi bolkiana della fetalizzazione e la teoria freudiana, evidenziando l’affinità del concetto di inibizione con quello di rinuncia, conseguenza della negazione, che si presenta come messa in forma dell’eccesso pulsionale nel bambino.



(Stefania Astarita)














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