Indice del numero 6

Calendario delle attivita' di KainosArchivio dei numeri di KainosDisvelamentiIndice completo del numero 6Per iscriversi alla MailingList di KainosLa redazione di KainosEditorialeNon-luogo di transitoRecensioniRicerchePercorsiForumEmergenze



Rosi Braidotti, Madri mostri e macchine


Manifestolibri Roma,, 2005, Euro 14,00, ISBN 88-7285-404-0



I saggi contenuti in Madri mostri e macchine (Teratologie cyber; Madri, mostri e macchine; Segni di prodigio e tracce di dubbio) nascono dalla necessità di interrogarsi sulle modalità «d’iscrizione del corpo femminile nell’orizzonte fluido, a volte confuso, della discorsività postmoderna» (p.9). L’analisi che porta il femminismo ad assumere una visione della corporeità ‘scardinata e disordinata’ rischierebbe di macchiarsi di autorefenzialismo, se non si aprisse all’analisi di altri discorsi della modernità, se non guardasse a realtà altre dal femminismo, che sottolineano le diverse visioni delle differenze – si pensi ai discorsi sulle differenze di razze, di colore della pelle etc.
Ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza di quei corpi dalla normalità: il loro essere stati visti da sempre come mostruosi, come deformi rispetto alla norma che rappresenta «il grado zero della mostruosità» (p.10). Essi rappresentano «giochi di rimando e spesso specchi - anche deformanti - che formano, appoggiandosi l’uno sull’altro, i parametri di ciò che è accettabile. La norma che ne emerge appaga le aspettative del regime fallocentrico, che punta tutto su un corpo docile, riproduttivo, bianco, eterosessuale e normalmente costituito» (p.11)
La studiosa introduce la sua opera schierandosi contro quella che definisce come ‘inflazione discorsiva intorno alla materia corporea’ (p.7), sottolineando cioè il rischio che non ci sia un «momento di rottura decisiva nel pensare il rapporto corpo-mente» (p.8). Una via per arginare il pericolo che non ci sia una tale rottura è legata all’utilizzo della psicoanalisi, infatti «l’accento sulle radici corporee dell’inconscio da una parte, e la temeraria affermazione dell’intelligenza e del sapere dell’incoscio dall’altra, fanno della psicoanalisi un discorso nuovo e radicalmente opposto all’umanesimo». (p.8)
E ancora sull’inconscio: «in chiave più filosofica che strettamente psicoanalitica, definisco l’inconscio come l’ipotesi della non coincidenza del soggetto con la coscienza razionale e me ne servo come punto d’appoggio per scardinare altre certezze metafisiche sulla soggettività, specialmente quella femminile» (p.8).
Dunque la psicoanalisi va usata come uno degli strumenti in grado di rigiocare il corpo in modo da liberarlo dal dualismo che lo ha ingabbiato per secoli. Rigiocare il corpo è infatti la possibilità che il femminismo è stata in grado di darsi nel momento stesso in cui si è posto come ‘pratica sovversiva di saperi e di forme di conoscenza’, in altre parole come ‘discorso alternativo sulla corporeità in generale, non solo quella femminile’ (p.10).
Non bisogna guardare a questo sapere sessuato come ad un qualcosa privo di ‘una portata epistemica e politica d’ordine generale’: questo è il grande «paradosso di una differenza incarnata e sessuata che però si trasforma in leva capace di sollevare altre differenze che operano su altri registri e altri livelli sociali» (p.10).
Questa possibilità reale di comunicazione tra differenze deriva dall’aver pensato il corpo in una maniera fortemente politica: «il corpo come teatro politico, come scena di saperi alternativi, come segno indiscutibile di una sovversione sociale e simbolica tuttora in atto. Il corpo come traccia di un possibile divenire soggetto delle donne» (p.10).
Una visione del corpo, così come è stata formulata dal femminismo, che se da un lato libera i corpi da quella che Rosi Braidotti definisce la logica lineare aristotelica, dall’altro non rinuncia ad un certo rigore, il rigore di un progetto che enfatizza la necessaria interconnessione - cioè le connessioni tra teorico e politico - , che insiste nel mettere l’esperienza della vita reale prima e innanzitutto come un criterio per la convalida della verità. È il rigore dell’appassionato investimento in un progetto e nella ricerca dei mezzi discorsivi per realizzarlo.
La Braidotti critica quel processo del «divenire donna» che per Deleuze è caratterizzato da un movimento potenziale che, sia per le donne sia per gli uomini, permette di sottrarsi ai discorsi dominanti, rende possibile il rendersi impercettibili e non riconoscibili come identità costituite socialmente. Nella prospettiva di Deleuze, il divenire donna è semplicemente il divenire altro, non riguarda le donne in carne ed ossa, ed è solo il segno di trasformazioni in atto. In questo modo Deleuze suggerisce una simmetria tra i sessi: per entrambi vi sarebbero gli stessi itinerari psichici, concettuali e d’esperienza. Rosi Braidotti si riappropria del pensiero della differenza: la asimmetria tra i sessi indica che c’è una radicale differenza tra donne e uomini sia per quanto riguarda il pensare, la scrittura, sia per l’atteggiamento nei confronti della storia e della politica. Ed è proprio nella politica che il pensiero della differenza sessuale mostra l’importanza di tenere in circolo lotte concrete e determinate, orientate dalla condizione storica delle donne, con il piano di un divenire aperto ad ogni modificazione che va oltre le identità e apre a metamorfosi impreviste. La forza viene dalla circolarità tra un piano e l’altro.
Ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza di quei corpi dalla normalità: il loro essere stati visti da sempre come mostruosi, come deformi rispetto alla norma che rappresenta ‘il grado zero della mostruosità’ (p.11).
La Braidotti adotta un’impostazione “nomadica e flessibile”, pratica non sconosciuta all’autrice che in Soggetto Nomade (Donzelli, Roma 1995) sottolinea quanto il nomadismo sia un invito a disidentificarsi dal sedentario monologismo fallologocentrico del pensiero filosofico, e a cominciare a coltivare quell’arte della slealtà verso la civiltà o, piuttosto, quella capacità di esercitare una sana irriverenza verso le convenzioni accademiche e intellettuali inaugurata e portata avanti dalla seconda fase del femminismo.
La slealtà, di cui Rosi Braidotti parla, vuole essere una pratica che sia in grado di superare quella forma di fissità intellettuale che impedisce di ‘esercitare una sana irriverenza verso le convenzioni accademiche’, impedendo un’apertura che determini una mobilità transdisciplinare. Questo non vuol dire brancolare tra i saperi: il nomadismo parte da una collocazione ben precisa; esso aggiunge a questa la forte e netta consapevolezza della non fissità dei confini del proprio sapere: ha iscritto nel suo bagaglio il desiderio di sconfinare.
«Un nuovo patto - dichiara Rosi Braidotti nell’introduzione - si è stretto tra i corpi post-moderni, l’immaginario grottesco e le tecnologie. La marcia dei nuovi soggetti mostruosi è inevitabile».

Ci si propone, dunque, di scandagliare l’immaginario sociale teratologico delle società postindustriali.
L’importanza e la forza della mostruosità sta nella sua capacità di essere ‘il Medesimo e l’Altro’ (p.118); essa ci restituisce la forza e l’infiltrabilità della differenza. La donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo. È a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi «al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene» (p.13). Creare un legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscire vincitrici da questa sfida, anche se «il gioco ormai è ben avviato e la marcia dei nuovi soggetti mostruosi mi pare inesorabile e soprattutto allegra, nel suo desiderio prorompente di uscire dall’immaginario putrefatto del vecchio patriarcato: un immaginario che la bellezza del corpo mostruoso non l’aveva proprio concepita» ( p.13).
I mostri sono esseri umani nati con malformazioni congenite dell’organismo corporeo. Essi rappresentano anche l’intermedio, l’ibrido, l’ambivalente, come si evince dall’antica radice greca della parola ‘mostro’: teras, che significa allo stesso tempo orribile e meraviglioso, oggetto di aberrazione e adorazione.
La filosofia naturalista ha avuto delle difficoltà ad affrontare questi oggetti di abiezione. La costituzione della teratologia come scienza ci offre un esempio paradigmatico dei modi in cui la razionalità scientifica ha trattato le differenze di tipo corporeo. Il discorso sui mostri come oggetto di studi evidenzia una questione di grande importanza: lo statuto della differenza all’interno del pensiero razionale.
Il mostro è l’incarnazione della differenza dalla norma dell’umano-base: è un deviante, un a-normale, un’anomalia, è abnorme (p.81). Il mostro è un processo senza un oggetto stabile: è un agente di conoscenza per il fatto stesso che la sua figurazione è in circuito, a volte nella forma del più irrazionale non-oggetto.
Esso è tanto sfuggente da aver fatto innervosire gli Enciclopedisti; eppure, l’Altro mostruoso, continua a emergere sulla scena discorsiva. Per queste sue caratteristiche esso continua a infestare non solo la nostra immaginazione, ma anche la nostra pretesa conoscenza scientifica.
Assumendo l’analisi della ratio filosofica – scrive la Braidotti – elaborata da Derrida e da altri filosofi francesi contemporanei, si può sostenere che il pensiero occidentale ha una logica di opposizioni binarie che considera la differenza come qualcosa che è «altro da» la norma accettata (p.81).

Il mostro, figura della differenza per antonomasia, e figura centrale e inabbordabile della conoscenza scientifica, ha cercato, e trovato, l’amicizia delle donne. Esse dimorano nella differenza da tempi remoti e in essa diventando esse stesse paradigmi di mostruosità da quando vige il topos della donna come significante dell’anomalia e insieme della differenza come marchio di inferiorità.
«Il femminismo fa parte a pieno titolo di questa cultura. L’attuale cultura femminista è appassionatamente coinvolta, in modo parodico e paradossale, nell’universo cyber-mostruoso, come e quanto ogni altro movimento sociale o pratica culturale e politica nelle società tardo post-industriali. Il femminismo condivide pienamente, e contribuisce attivamente, al tecno-immaginario teratologico della nostra cultura, attraverso la sua enfasi sulle identità ibride e mutanti e i corpi transessuali» (p.31).
Si declina l’idea di un corpo secondo una traiettoria di deformazione/deformabilità, in cui si mescolano mostri e corpi femminili che sono eccentrici e mutanti perché - con o senza l’aiuto della tecnologia - protagonisti di maternità.
«L’alterità rappresentata nella fantascienza con figure di mostri identificati al femminile esprime innanzitutto la paura del soggetto-Maggioranza che considera queste rappresentazioni come una minaccia al Suo stesso potere patriarcale. L’immaginario in questione è quello degli uomini europei in un tempo storico di crisi» (p.54).
Il corpo mostruoso, quindi, come residuo indomato e affascinante che letteratura, cinema e, agli antipodi, la teratologia scientifica, continuano a perpetuare seducendo e creando immaginario.
La questione dei corpi mostruosi, deformi, è ritornata molto alla ribalta negli ultimi vent,anni ma soprattutto dopo Chernobyl, con la presa d'atto di cambiamenti avvenuti nel codice genetico come effetto non desiderato e neanche anticipato delle scienze moderne. C’è dunque una storia di discontinuità ma anche di grande permanenza di questo “corpo deforme”, una fobia che ha tremila anni di vita ininterrotta e che oggi si riscontra in maniera netta nella cultura popolare, nel grottesco, nella rivincita di un immaginario teratologico che segna di sé tutta la cultura.
Il corpo materno è un luogo di alta tensione in tutte queste discussioni, perché è ciò che c’è di più naturale e normale, necessario e specularmente connesso - nel quadro dell’eterosessualità - al corpo maschile, e al tempo stesso è qualcosa di sfuggente, di liminale, di irriducibile a ciò che il simbolico patriarcale vorrebbe che esso fosse. È qualcosa di molto inquietante che è sempre, al margine, al limite appunto, ed è abbietto. Il materno è un punto di transizione, un crocevia in cui si incrociano molte forze contrapposte (p.85).
Ed è proprio sul corpo materno che si gioca l’innesto tra la macchina e il corpo. I recenti sviluppi delle bio-tecnologie, con particolare riferimento alle nuove tecniche di procreazione artificiale, hanno esteso il ‘potere della scienza sul corpo riproduttivo femminile’. «È ormai a portata di mano la possibilità di meccanizzare la funzione materna; la manipolazione della vita attraverso differenti combinazioni di ingegneria genetica ha creato le condizioni per la creazione di nuovi mostri artificiali» (p.82).
Bisogna domandarsi come queste donne, le amiche del Mostro, siano riuscite a fare della relazione con il loro amico un’avventura di conoscenza, che partecipa dell’aldiquà e dell’aldilà insieme (o del familiare e dello straniero) senza soluzione di continuità.
Bisogna sottolineare che nel pensiero femminile del Mostro il percorso prende impulso dalle vicissitudini di un’avventura amorosa, dalla relazione che si instaura fin dal primo momento con un altro da sé, e si sviluppa con il dispiego di invenzioni e di pratiche il cui rigore non è inferiore a quello della logica e anzi lo supera: essendoci di mezzo il desiderio, ingannatore formidabile ma, anche, irrinunciabile alleato in ogni avventura superiore alle forze umane.
È, a ben vedere, l’esplosione dei concetti, che ha luogo dal primo momento, dal primo “sì” al richiamo dell’amico; è l’arrivare a pensare il Mostro senza concetti e operazioni logiche, con la stessa immediatezza che ha il sentire. È , infatti, un’esperienza di relazione, e di relazione amorosa, che rende in fondo superflua la nozione di Mostro; è una maniera di pensiero non tradizionale e non istituzionale, ma ricca di inventive e di strategie, e più vicina all’intellectus amoris di dantesca memoria che non all’intellettualismo razionalista che dopo Dante ha regnato in Occidente. È un sapere che sta tutto nelle pratiche e nel linguaggio, anche se la forza del pensiero non viene meno per questo. È, per una volta, il primato dell’esperienza sulla logica, ed è una voce che, sotto le parvenze di un testo letterario, osa ergersi in una battaglia impari, ma condotta con tenacia, contro l’intellettualismo scientifico.
L’esser-donna baratta la propria mostruosità con l’impensabilità?
Perchè solo la non-concettualizzazione dell’essere umano donna permette la non identificazione della donna con il mostro.
Oltre l’umano’ – per ricongiungersi al tema portante dell’attuale numero di Kainos – si situa lo stupore della Braidotti nell’accertare quanto la cultura occidentale stigmatizzi come segno di negatività la fondamentale differenza corporea tra uomo e donna. «La donna/madre è mostruosa per eccesso: trascende le norme stabilite e oltrepassa i confini» (p.88). Donna è l’anomalia che conferma la positività della norma.
Non sottolineando gli eccessi femministi dell’autrice e la discutibilità del concetto di norma (ed il suo contrario o contradditorio), resta indiscussa la validità del tema di fondo di questo lavoro: nel mostro (in tutte le sue declinazioni, compreso l’esser-donna) risiede la paura del diverso, dell’altro, dell’anomalo e quindi del non-umano.


(Sara Matetich)















webmaster: andrea bonavoglia 2006