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Mariapaola Fimiani, Vanna Gessa Kurotschka, Elena Pulcini (a cura di),
Umano, post-umano. Potere, sapere, etica nell’età globale

Editori Riuniti, 2004 (Saggi/filosofia), Euro 18,00 , ISBN 88-359-5575-0 

In che misura il cosiddetto ‘post-umano’, come presa d’atto categoriale di una deformazione del soggetto, è ancora compatibile con una indagine critica, etica e politica? Che cosa significa ripensare l’umano di fronte alle sfide imposte dalle nuove tecnologie manipolatrici, dalla globalizzazione omologante, dall’esigenza di libertà e di emancipazione che continua a scontrarsi con progetti di sottomissione distruttivi? Sarà possibile farlo senza cedere a nostalgie romanticheggianti, ma difendendo il soggetto incarnato come possibile punto di resistenza alla strumentalizzazione e all’assoggettamento? Sono le questioni poste sul campo fin dall’inizio dalle curatrici del volume, nel sottolineare che si tratta di un mosaico di prospettive caratterizzato dalla provvisorietà dei lavori in corso, nonostante l’architettura sia ben delineata già nella tripartizione dei contributi.

Innanzitutto si affronta infatti l’aspetto esplicitamente politico della questione. Elena Pulcini parte da Günther Anders e dalla sua critica alla hybris prometeica di un homo creator che in un delirio di onnipotenza autopoietica mira al superamento sprezzante dell’umano e del vivente, ed esorta invece alla conservazione e cura del mondo per scongiurarne il rischio della perdita, spettralmente evocato dall’azione nichilista della distruzione nucleare o dal degrado ambientale, laddove il potere tecnico-scientifico si capovolge nell’impotenza della catastrofe apocalittica. Per Denis Duclos il post-umano è di per sé impossibile e inaccessibile all’umano, ma seducente, perciò occorre opporsi alla sua costruzione chimerica; di contro, l’inumano e il disumano sono sempre dati in enormi quantità e legati all’ideale di un potere egemonico e dominante che addomestica e rende passiva la sua vittima. Tra comunità e immunità esiste, secondo Roberto Esposito, un rapporto insieme di contrasto e indissolubilità: comune è originariamente ciò che non è proprio, perciò più che un’appartenenza esprime un’espropriazione possibile da parte di altri; immune è d’altro canto chi è esonerato dal tributo e quindi interrompe il circuito sociale della donazione reciproca. La questione immunitaria, risvolto dell’ossessione comunitaria, sembra essere sempre di più al centro dell’immaginario collettivo, virus e contagi, non solo intesi in senso medico, sono infatti le metafore di tutte le nostre paure, anche se del resto un eccesso di protezione è sempre in contrasto con la vita stessa, a questo proposito la gravidanza e la nascita possono essere considerate come esperienze originarie in cui immunità e comunità coincidono. Di fronte alla colonizzazione del vivente prefigurata dalle tecniche più recenti Rosi Braidotti propone infine una riflessione sull’etica della sostenibilità – tratteggiata nel confronto con il pensiero nomade di Deleuze – in vista e in funzione di una soggettività incarnata e relazionale, consapevole dei propri limiti, resistente sia rispetto alle logiche consumistiche della globalizzazione, sia nei confronti della deriva nichilista che conduce all’autodistruzione: dire allora che la vita che attraversiamo è post-umana significa affermare che con la nostra fragilità lavoriamo alla preistoria di un futuro sostenibile.

Si occupano dei nuovi saperi invece i contributi della seconda parte. Si tratta di quei saperi del vivente di cui tratta Vanna Gessa Korotschka e che ormai sono affrontati dalla genetica, dalle scienze cognitive, dalle neuroscienze, dalla filosofia della mente, dagli studi sul cervello, saperi che trasformano radicalmente le condizioni della riflessione antropologica e che richiedono una ridefinizione dei compiti dell’etica, anche se non per questo rendono obsoleta, per esempio, la riflessione kantiana. Alberto Oliverio riporta, da neuroscienziato, alcuni dei più significativi esperimenti contemporanei su reti che vanno a comporre organismi ibridati con circuiti artificiali, riflettendo in particolare sul cervello e sulla sua plasticità, così come sulle sofisticate strutturazioni della coscienza. Si occupa di automatismi e procedure, condizionamenti e stimoli, strutture e funzioni Silvano Tagliagambe nel problematizzare il rapporto tra mente e cervello anche alla luce del modello di interazione che offre la comunicazione: la mente è realtà di confine e organo di adattamento che consente di connettere mondi diversi tra loro, agendo come interfaccia tra mondo fisico e mondo della conoscenza. Con il contributo di Hans Peter Krüger, centrato sui nessi tra cervello, condotta e coscienza e ispirato soprattutto a Plessner, si conclude la seconda parte. L’eccentricità dell’uomo si gioca a suo parere soprattutto rispetto ai mondi congiuntivi che sarebbero, potrebbero o dovrebbero essere secondo altre prospettive, che non sono quelle centrate in cui altrimenti ci si trova in quanto parti della natura vivente, ma è proprio in questa seconda natura che tradizionalmente si è sviluppato quell’ordine che classicamente è stato detto spirito o cultura, caratterizzati dall’autoreferenzialità e dalla storicità del propriamente umano.

La terza parte, di argomento esplicitamente etico, dimostra in tutti i suoi contributi come le diverse strategie di riappropriazione dell’antico debbano essere intese nel doppio senso per cui sia il presente torna indietro a cercare linfe vitali, sia il passato, in una sorprendente accelerazione, pervade il presente e ne addita gli sviluppi futuri. Così nell’etica dell’ultimo Foucault il ritorno all’antico esprime, per Mariapaola Fimiani, il bisogno di ripensare il soggetto moderno, le pratiche di assoggettamento e la soggettivazione alla luce della cura di sé e della terapia come esperienze di libertà, di resistenza e di rivolta. L’antichità soprattutto etica a cui si riferisce Foucault è peraltro ben diversa da quella a forte connotazione ontologica evocata da Heidegger, anche se Nietzsche risulta il comune riferimento e il possibile mediatore, come mette in rilievo Barbara Cassin attivando il concetto deleuziano di piega e misurando affinità e differenze nella lettura di Platone. Con Platone e la sua ragione ideale si confronta anche la riflessione di Michel Meyer sulle passioni e la natura umana: la passione è, nella coscienza, quell’altro che le sfugge, perciò mette in movimento una dialettica di identità e differenza in cui agisce come operatore retorico di alterazione, risposta su un problema, figura dell’umano. Mario Perniola distingue innanzitutto dal neoclassicismo universalistico il cosiddetto neoantico, tipico del pensiero del Novecento, per poi sottolinearne il carattere di radicale critica ad una esaltazione dell’origine, evidenziandone la connotazione avanguardistica vicina alla ricerca delle arti, oltre che il gusto per la contingenza analogo alle più recenti posizioni del New Historicism. Conclude la terza parte il saggio di Mario Vegetti, che passa in rassegna alcuni modelli etici antici. Se l’etica stoica, con la sua esaltazione dell’autonomia e della paradossale arte di ben morire, resta sullo sfondo del pensiero di Foucault e se il modello aristotelico, assimilato ad una sorta di naturalismo etico o ad una fenomenologia della morale, è diventato il rimando obbligato del pensiero liberal-democratico americano, la prospettiva platonica – in linea di principio contro natura e parà to ethos in vista di una riconfigurazione educativa dell’anima e della città – è stata piuttosto oggetto di rimozione nella discussione etica contemporanea, anche se attualissimo risulta l’invito alla riprogettazione di un’umanità possibile nell’orizzonte della giustizia.

Significativi risultano alcuni tratti che accomunano i vari contributi al di là delle diversità di approccio, per esempio il ripetuto rimando ad autori quali Foucault o Deleuze, l’attenzione pensante per le nuove tecnologie e le loro sfide, il richiamo a un’antichità avanguardisticamente anticipatrice di futuri che potranno anche dirsi ‘postmoderni’. I nuovi saperi del vivente, iterati dalle astuzie della scienza che coniuga in reti ibridanti e in interfacce comunicanti l’umano e il suo altro, in fondo non fanno che confermare lo stupore e la meraviglia provocati dai mondi possibili già sempre attivati da una conoscenza costitutivamente orientata al superamento del dato e perciò indirizzata oltre a sé. Più che contro il post-umano sarà allora da corazzarsi contro la barbarie del disumano in perenne agguato, affinché si possa aver cura, nel presente, di un futuro che continuerà a sorprenderci, affinché si possano continuare a porre filosoficamente gli antichi problemi della verità, del bene, del mondo condiviso.


Indice:

Premessa

I. Politiche del post-umano

L’«homo creator» e la perdita del mondo di Elena Pulcini

La vocazione suicida del potere collettivo: culmine dell’umano, eterno focolaio dell’inumano di Denis Duclos

Il dono della vita tra «communitas» e «immunitas» di Roberto Esposito

Meta(l)morfosi di Rosi Braidotti

II. I saperi del vivente

I saperi del vivente e la filosofia di Vanna Gessa Kurotschka

Miti e realtà delle neuroscienze di Alberto Oliverio

Mente e cervello: un rapporto problematico di Silvano Tagliagambe

Cervello e condotta: il loro reciproco condizionamento dal punto di vista dell’antropologia filosofica di Hans Peter Krüger

III. La differenziazione etica

Il neoantico e la terapia della vita umana di Mariapaola Fimiani

Foucault, Heidegger e l’antichità di Barbara Cassin

Passioni e identità personale di Michel Meyer

I filosofi antichi e l’avanguardia moderna di Mario Perniola

L’umano fra natura, norma e progetto nelle antropologie antiche di Mario Vegetti

Indice dei nomi

Gli autori

(Gabriella Baptist)









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