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Helmuth Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo


trad. it. e cura di Vallori Rasini, Torino, Bollati Boringhieri, 2006,
€. 30, ISBN 88-339-1669-3.




Di Helmuth Plessner, antropologo e filosofo tedesco, allievo del biologo Driesch, di Windelband e di Husserl, in Italia (visti gli scarsi studi e le poche traduzioni delle sue opere) si sa ancora poco. Nel 2006, due importanti eventi (un convegno internazionale a Firenze e la pubblicazione di un libro, Potere e natura umana, Manifestolibri, 2006) ancora non rendono giustizia ad un pensatore che la vulgata corrente vuole, accanto a Max Scheler e a Arnold Gehlen, come il co-fondatore dell’antropologia filosofica novecentesca, almeno a partire dagli anni Venti.

In quella temperie filosofica e culturale che attraversa i difficili anni della Repubblica di Weimar, il nome di Plessner era già abbastanza noto per gli studi su Kant, le ricerche biologiche e fenomenologiche, gli scritti politici e sociologici, cioè studi a tutto campo che rivelavano l’intuito e le costanti della sua attività filosofica. Nel 1925, Plesssner fondava un’importante rivista a Colonia dal titolo «Philosophischer Anzeiger» che potenziava un asse interdisciplinare nella ricerca teorica, come il significativo sottotitolo metteva bene in evidenza: «Rivista per la collaborazione della filosofia e delle scienze». Tra i primi collaboratori personalità come Heidegger, Hartmann e persino il nostro Croce. Tra il 1932 e il 1933 Plessner è costretto ad emigrare in Turchia e poi in Olanda per la sua origine ebraica. Ritorna, infine, in Germania nel 1951 per riprendere il suo insegnamento e la sua intensa attività accademica. Morirà a Göttingen nel 1985 all’età di 92 anni.

Die Stufen des Organischen und der Mensch (I gradi dell’organico e l’uomo) è l’opera sua più importante, pubblicata nel 1928, un anno dopo Sein und Zeit di Heidegger, e che solo ora vede la luce, in un’ottima traduzione in italiano, per merito della casa editrice Bollati Boringhieri e della sua curatrice Vallori Rasini. Un’opera che sin dal sottotitolo, modificato per esplicita richiesta di Max Scheler da «fondazione dell’antropologia filosofica» in una più asettica «introduzione all’antropologia filosofica», ha conosciuto non poche resistenze e incomprensioni nel mondo accademico tedesco. L’intento di Plessner è esplicitamente dichiarato all’inizio del libro quando afferma di voler rimettere in discussione i fondamenti antropologici della scienza dell’uomo «che non può e non deve limitarsi all’uomo come persona, come soggetto dell’agire spirituale, come soggetto di responsabilità morale e di abnegazione religiosa, ma anzi deve comprendere l’intero circuito dell’esistenza e della natura, che giace sullo stesso piano della vita personale e sta con essa in una correlazione essenziale» (p. 51); un intento, come si vede, ambizioso e in controtendenza rispetto all’epoca che, nello stabilire i termini di una correlazione essenziale tra esistenza e natura, demoliva vecchie concezioni filosofiche e antropologiche che si attardavano a concepire la natura umana sdoppiata e divisa tra anima e corpo, tra res cogitans e res extensa, tra fisico e psichico. Plessner prende così le distanze dalla tradizione filosofica moderna evidenziando come l’errore fondamentale di Descartes sia stato quello di concepire le proprietà dei corpi come quantità meccanicamente misurabili o come puri rapporti di estensione quando invece la sfera della corporeità non è riducibile alla quantità né può costituire una dimensione oggettivante e separante rispetto alle altre sfere della natura umana. La critica plessneriana al dualismo cartesiano si estende a tutto campo anche nel territorio di quelle scienze come la fisiologia o la psicologia che hanno sempre smarrito il punto di vista unitario del comportamento umano perché «l’uomo in sé e per sé non esiste come corpo[…], non come anima e flusso di coscienza[…], non come quel soggetto astratto per cui valgono le leggi della logica, le norme dell’etica e dell’estetica; ma come unità vitale psicofisicamente indifferente, o neutrale» (p. 55). Questa visione dell’umano rappresenta la sfida, ancor prima che nei contenuti nel metodo, che il giovane Plessner lancia all’analitica esistenziale di Heidegger con il suo sovversivo richiamo alla filosofia della natura e alla dimensione naturale dell’esistenza. Che una nuova antropologia filosofica fosse possibile solo sulla base di una revisione/contaminazione dei saperi per comprendere «l’intero ambito dell’esistenza e della natura» senza che questa potesse avere il sopravvento sull’altra, era l’acuta e precoce intuizione del giovane Plessner che perimetrava quest’ipotesi attraverso un serrato confronto con Georg Misch, filosofo di scuola diltheyana, e con Hans Driesch, il più importante biologo dell'epoca weimariana, sostenitore di una complessa teoria dell'organismo vivente come un sistema equipotenziale di parti cioè di organi.

Plessner, prima di tutto, distingue il mondo organico da quello inorganico evidenziando che lo specifico della vita consiste nel suo carattere di posizionalità; «con questo concetto si deve intendere quel fondamento della sua essenza, che rende un corpo posto nel proprio essere […] sollevato nel passaggio del limite, divenendo in tal modo ponibile» (p. 156).

Per comprendere il concetto spaziale di posizionalità si deve rinviare alla nozione di limite o di confine, perché il corpo vivente intrattiene con il limite un doppio rapporto sia nel modo di essere oltre di sé sia nel modo dell’essere rivolto verso se stesso: nel primo caso - spiega Plessner - il limite «è solo quel virtuale ‘in mezzo’ tra il corpo e il medium che incontra, il ‘dove’ esso inizia o (finisce) non appena qualcos’altro finisce (o inizia) in esso» (p. 130) e quindi il limite non appartiene né solo al corpo né solo al medium adiacente, ma ad entrambi nel momento in cui il finire dell’uno è l’iniziare dell’altro; nel secondo caso, il limite appartiene realmente al corpo, lo realizza nella sua delimitazione e diventa quindi esistente. Grazie al suo limite, il corpo ha posizionalità, cioè si apre e si posiziona rispetto al mondo circostante e lo stesso concetto di vita viene rivisitato in funzione del suo rapporto con l’ambiente, al punto che l’uomo, lungi dall’essere separato dalla natura e dai vari gradi dell’organico, ne è parte inseparabile, unità mediata di fisico e psichico ma non per questo egli è riducibile alle sue determinanti biologiche. Infatti, i gradi (Stufen) dell’organico sono le diverse possibilità di inserimento dei viventi nello specifico ambiente di vita e si distinguono a seconda che prevalga la chiusura o l’apertura; qui Plessner ricorre al metodo fenomenologico che aveva ereditato da Scheler e dalla frequentazione di Husserl per descrivere la struttura delle varie forme di vita secondo la specifica posizione di ciascuna nel mondo circostante. Più che parlare di animali e vegetali, l’Autore parla di forme chiuse e di forme aperte liberando la nozione di forma dagli influssi delle più accreditate correnti vitalistico-irrazionalistiche dominanti, allora, nella cultura tedesca.

Ma cos’è propriamente una forma? «Essa indica qui l’idea di organizzazione […] secondo la quale il corpo vivente concilia la sua indipendenza cosale con la sua dipendenza vitale» (p. 243). Senza entrare troppo nei dettagli, è sufficiente ricordare che l’uso dei concetti «forma aperta» e «forma chiusa» risale a Driesch: la forma aperta è inserita immediatamente nel mondo circostante e la si può vedere dal fatto che le funzioni vitali dei vegetali o delle piante si svolgono in superficie come nel caso della riproduzione e dell’assimilazione, mentre la forma chiusa è quella forma che è inserita in modo mediato nel suo ambiente di vita e la si può osservare con l’animale che reagisce all’ambiente secondo i propri impulsi, istinti e sensazioni. In altri termini, la pianta è una forma aperta perché si trova direttamente inserita nel proprio ambiente, interagente col ciclo vitale ad essa corrispondente, inglobata nell’area di cui fa parte senza potersi distinguere da essa, mentre l’animale appartiene ad una forma chiusa perché è un vivente dotato di coscienza, in quanto è in grado di distinguersi dall’ambiente conservando «una vera indipendenza, vale a dire una vera collocazione in se stesso, la quale, al contempo, ha il valore di una nuova base esistenziale» (p. 251).

Nel sesto capitolo, “La sfera dell’animale”, Plessner delinea le caratteristiche specifiche dell’organismo animale quando chiarisce che esso vive in un doppio aspetto: ha un corpo come oggetto (Körper) ed è corpo vivente (Leib): non solo è il suo corpo ma è nel corpo ed è l’assoluto punto di riferimento del suo spazio di vita. La sua posizionalità nel mondo circostante è per questo concentrica cioè tende ad occupare una posizione nello spazio che non è altro che il suo centro.

L’animale è «il portatore della propria esistenza e tuttavia la sua esistenza non gli è data, non è per lui osservabile» (p. 263), quindi non è in grado di oggettivare sé e il proprio mondo circostante perché non dispone di un punto privilegiato da cui riesca a rappresentare il suo intero essere.

Se questo è il limite della riflessività animale, l’animale umano esprime invece il livello più alto della posizionalità che Plessner chiama ‘eccentrica’, perché l’uomo vive in maniera consapevole come centro e periferia del proprio campo posizionale in quanto sa prendere distanza dal suo corpo e dal suo ambiente, mettendosi letteralmente fuori dal centro che pure occupa.

L’uomo è se stesso e ha se stesso, è in grado di rapportarsi sia alla sua fisicità sia alla sua psichicità poiché egli «…sta nel centro del suo essere. Forma il punto della mediazione tra se stesso e il campo circostante ed è posto in questo punto, sta in esso» (p. 348).

A sostegno della tesi dell’eccentricità, Plessner individua tre “leggi antropologiche fondamentali” (1. l’artificiosità naturale; 2. l’immediatezza mediata; 3. la posizione utopica) per mezzo delle quali l’uomo può trovare un giusto equilibrio tra la sua eccentricità e la sua naturalità e superare nel contempo il suo momento organico, di avere, oltre che di essere un corpo.

Più che leggi, cioè costanti regolari della natura umana, parrebbero essere modalità rivelative dell’essere dell’uomo nel mondo. L’artificiosità naturale segna la differenza specifica tra l’animale e l’uomo, perché il primo vive senza conoscersi e senza riflettere sul mondo-ambiente di cui fa parte mentre il secondo perde, con il sapere, ‘la propria immediatezza”, attingendo, per dirla con Hannah Arendt, all’opera delle sue mani per fabbricare l’infinità varietà delle cose artificiali, necessarie per vivere. L’immediatezza mediata consente all’uomo di aprirsi alla sua dimensione simbolica e culturale perché egli, se da un lato non può rinunciare all’immediatezza del suo essere una realtà biologica, dall’altro deve, però, valorizzare la sua espressività e creatività fino a caratterizzarsi per il linguaggio e per il pensiero astratto come se fosse una specie di sua ‘seconda nascita’.

La posizione utopica, infine, riferisce una dimensione problematica in cui l’uomo si dibatte tra il suo bisogno di stabilità per mezzo dell’Assoluto o di Dio, data l’assoluta casualità e contingenza della sua esistenza, e il desiderio di sapere quale sia il luogo della verità cioè della vita e della morte: «La coscienza dell’individualità del proprio essere e del mondo e la coscienza della contingenza di questa realtà complessiva sono necessariamente date insieme e reciprocamente si esigono» (p. 367).

Come risulta da questa sommaria analisi del capitolo settimo dell’opera dedicato, appunto, alla ‘sfera dell’uomo’, Plessner con la nozione di eccentricità respinge del tutto una filosofia della ‘natura’ dell’uomo concepita in senso metafisico, oltre i tradizionali e pervasivi steccati tra umanità e animalità, mettendo a frutto le ricerche zoo-biologiche di Jakob von Uexküll sulla fenomenologia del comportamento vivente a partire dalla descrizione del mondo ambiente (Umwelt), che, come è noto, andranno ad occupare il celebre corso del 1929-30 di Martin Heidegger Die Grundbegriffe der Metaphysik.

Le descrizioni, le analisi e le domande che attraversano in lungo e in largo il libro di Plessner danno conto di una radicale messa in crisi della presunta assolutezza del carattere simbolico e culturale della “natura umana” e quindi dei fondamenti dell’antropologia filosofica novecentesca, ancora contaminata di retaggi umanistico-metafisici. Coniugando antropologia e filosofia della natura, l’Autore si allontana in maniera radicale dagli inquietanti e cupi fermenti di marca razzistica che incubano alla fine dagli anni ’20 in Germania, quando le ricerche incrociate sul tema del bios come ‘nuda vita’ spianano la via alla biopolitica nazista che negò, come è noto, la filosofia a favore della biologia.

Plessner contesta, infatti, sia l’immagine sostanzialistica dell’uomo, sia la gerarchia ontologica tra i gradi dell’organico per sviluppare un’interrogazione radicale sull’uomo, secondo la quale questi non è più sorretto da un superiore destino ma è inserito in una trama di casualità e di indeterminatezza ontologica.

Osserva giustamente Vallori Rasini nell’introduzione che l’opera di Plessner «tentava di rispondere alla domanda sulle condizioni di possibilità dell’essere umano segnando un nuovo inizio per l’antropologia filosofica attraverso un’impostazione dell’indagine che, facendo leva sul rapporto del corpo con il proprio limite, offriva all’organismo in generale e a quello umano in particolare lo statuto della totalità» per restituire l’uomo, vivente tra i viventi, né subiectum né sostanza, al regno della vita, cioè alla sua contingenza.

(Aldo Meccariello)


Indice

La natura organica e l’uomo nel pensiero di Plessner, di Vallori Rasini

Cronologia

Avvertenza

I gradi dell’organico e l’uomo

Premessa alla prima edizione

Premessa alla seconda edizione

1. Scopo e oggetto della ricerca

2. L’obiezione cartesiana e l’impostazione del problema

3. La tesi

4. Le modalità di esistenza della vitalità

5. Le modalità di organizzazione dell’esistenza vivente. Pianta e animale

6. La sfera dell’animale

7. La sfera dell’uomo

Appendice

«De homine». Percorsi dell’antropologia filosofica novecentesca, di Ubaldo Fadini

Glossario

Indice analitico

Indice dei nomi










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