numero 7
KAINOS
Ricerche
2007

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fame / sazietà



RICERCHE
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Fame, sazietà e angoscia

di Massimo Recalcati


1. Il godimento della monade

Dal punto di vista della psicoanalisi uno dei tratti fondamentali della contemporaneità consiste in un allentamento generalizzato del legame con l’Altro. Il soggetto contemporaneo appare come sganciato dall’Altro, alla deriva, privo di riferimenti ideali e simbolici capaci di esercitare una funzione orientativa, condizionato dall’offerta illimitata di oggetti di godimento, partner inumani, a portata di mano e di bocca, sempre a disposizione, i quali hanno rimpiazzato la contingenza imprevedibile che caratterizza invece l’incontro con l’Altro sesso. Come molti hanno notato, la potenza simbolica del grande Altro si è irreversibilmente fragilizzata e il nostro tempo è il tempo, come scriveva già Adorno in Minima Moralia, del godimento monadico, ovvero di una esasperazione autistica dell’individuo che esclude la dimensione transindividuale del soggetto. Seguendo Lacan, dobbiamo infatti mantenere distinti individuo e soggetto. Innanzitutto perchè il soggetto è strutturalmente diviso in quanto implica nel suo più intimo la presenza dell’Altro (del desiderio e dell’alterità di cui è strutturalmente costituito) e, di conseguenza, non può essere assimilato all’individuo che, invece, nel suo stesso etimo, significa un ente “senza divisione”, un’identità che consisterebbe di se stessa.

Il godimento della monade è, in questo senso, un’alternativa contemporanea all’esperienza soggettiva del desiderio come apertura verso l’alterità dell’Altro. Nel nostro tempo, l’egemonia del discorso del capitalista tende ad imporre una nuova illusione rispetto a quelle della religione e della ragione positivista: l’illusione dell’oggetto del desiderio come incarnato nell’oggetto di godimento, ovvero l’illusione che sia possibile, attraverso il consumo dell’oggetto di godimento, sanare la lesione che attraversa la realtà umana e che la rende strutturalmente precaria e mancante, dunque assoggettata alla potenza enigmatica del desiderio.

La produzione elettrizzata della girandola degli oggetti-gadgets avvolge il soggetto ipermoderno in un’atmosfera di maniacalità collettiva. Il legame con l’Altro e la dimensione dello scambio erotico-amoroso che esso implica lascia il posto alla relazione unilaterale con una serie illimitata di partner-inumani (droga, cibo, alcool, psicofarmaco, immagine feticizzata del proprio corpo, realtà virtuali, ecc).

2. Una sazietà impossibile

Da questo punto di vista molto generale, considero l’anoressia e la bulimia come due declinazioni esemplari di questa sostituzione e di questa nuova (e post-umana) versione (monadica) del legame sociale. Per l’anoressica il partner fondamentale diventa la propria immagine idealizzata; il mondo si riduce alla superficie liscia e asettica dello specchio. La sua passione è una passione di consistenza: farsi essere identica alla sua immagine ideale, coincidere con ciò che per struttura è impossibile coincidere, ovvero con il proprio io-ideale, con il riflesso narcisistico che l’immagine speculare riproduce. La sua impresa è un’impresa di padronanza: governare il corpo, esercitare su di esso un dominio della volontà, un controllo dei suoi appetiti caotici. In realtà in questa impresa è in gioco un rovesciamento che caratterizza metapsicologicamente quella figura oscena e spietata denominata da Freud Super-io (Über-ich). Nell’esasperazione morale della padronanza della volontà sulla spinta della pulsione, l’anoressica finisce in realtà per fare di questo stesso esercizio ascetico il luogo di un godimento pulsionale inedito e paradossale. Quella che i Kestemberg nel loro testo maggiore dedicato a questi temi e titolato La fame e il corpo, hanno precisamente definito come una “vertigine della dominazione” che stravolge l’assetto pulsionale del corpo regolato dalla castrazione simbolica ed eleva la rinuncia pulsionale ad un vero e proprio stile di vita, ad una forma rovesciata di dandismo, dunque di regolazione estetizzante della pulsione. Nondimeno, l’esperienza clinica ci insegna come il prolungamento anoressico dell’astinenza e delle sue strategie multiple di controllo, tenda a generare fatalmente fenomeni incontrollabili del corpo, com’è, per esempio, quello della produzione di endorfine che investono il soggetto di una corrente di eccitazione altrettanto potente di quella veicolata dalla spinta della fame. Una eccitazione che si produce per sfinimento, per svanimento dell’istinto e che chiarisce ulteriormente come nel digiuno anoressico il corpo non è semplicemente cancellato, ma goda dell’assenza dell’oggetto come se fosse la dimensione più piena dell’oggetto. Questo godimento innaturale ci obbliga a correggere drasticamente l’idea stessa dell’appagamento pulsionale come legato all’estinzione di una spinta, di una tensione interna, quella appunto provocata dall’emergenza, per esempio, del bisogno della fame. Esiste piuttosto un godimento del vuoto che pare più forte, o, più precisamente, per utilizzare un’espressione freudiana, “più pulsionale” di quello della sazietà.

Per intendere bene questo passaggio dovremmo rivolgerci al rovescio dell’anoressia, ovvero all’esperienza bulimica della fame. Diversamente dall’anoressica, nel caso della bulimia, è proprio l’attività pura e positiva della pulsione, e non la sua interdizione fanatica o la sua sterilizzazione nirvanica, ad essere in primo piano. Tuttavia, sebbene l’attività della divorazione affamata prenda il posto del rifiuto ascetico di tipo anoressico-restrittivo, anche in questo caso, come avviene per l’anoressia, ciò che conta massimamente non è l’oggetto che si mangia ma l’attività stessa del mangiare, come se questa attività fosse in realtà un’attività che esclude il concetto stesso di sazietà poiché risulterebbe totalmente indipendente dalla dimensione della soddisfazione naturale del bisogno. Saremmo, in altri termini, di fronte ad una fame non dell’oggetto ma del vuoto come cuore impossibile dell’oggetto. Per questo la fame bulimica non conosce letteralmente il senso della sazietà; ciò di cui essa vorrebbe nutrire il soggetto non è di cibo, ma di godimento, del godimento di ciò che è impossibile afferrare, della Cosa perduta, del fantasma del seno.

Per un altro verso però, questa compulsione a mangiare tutto senza mai raggiungere un’autentica sazietà, costituisce il punto di massima convergenza della bulimia con il nuovo imperativo sociale che regola il programma della Civiltà contemporaneo: ciò che conta non è quale oggetto si consumi ma l’attività stessa del consumo, il “consumo del consumo”, secondo una formulazione di Baudrillard, mettendo così in evidenza il contenuto puramente pulsionale che anima il discorso del capitalista post-moderno. È questa, se si vuole, l’altra faccia del Super-io contemporaneo. Se l’igienismo fondamentalista dell’anoressia conduce verso una esasperazione pulsionale della volontà kantiana, la divorazione bulimica esalta invece il comando sadico del godimento come nuova forma del Super-io sociale.

3. Il soggetto vuoto

Con l’espressione “clinica del vuoto” ho proposto di definire in Clinica del vuoto: anoressie, dipendenze e psicosi (Franco Angeli, Milano 2002) una metamorfosi antropologica che ha investito il soggetto cosiddetto post-moderno. Si tratta di quella metamorfosi che tende a ridurre la dimensione soggettiva della “mancanza a essere” e quella del desiderio che da essa scaturisce – isolate da Lacan come due polarità costituenti l’essere della soggettività – , in quella di un vuoto sganciato dalla mancanza e senza più alcun legame col desiderio. Dobbiamo pertanto distinguere il vuoto della “clinica del vuoto”, dalla mancanza come effetto del taglio significante sul corpo del soggetto. La riduzione contemporanea della mancanza a vuoto comporta innanzitutto un effetto di falsa padronanza. La mancanza trasformata in vuoto offre cioè l’illusione che il vuoto si possa riempire, come accade nella bulimia o nelle altre forme di dipendenze patologiche additive (per esempio, nell’obesità o nelle tossicodipendenze), oppure, come accade per l’anoressia, che lo si possa ossificare, rendere pieno, farlo diventare il centro di gravità – e di godimento – permanente del soggetto.

Da un punto di vista fenomenologico anoressia e bulimia rappresentano il dritto e il rovescio di una sola figura. Noi scriviamo anoressia-bulimia col trattino per indicare la loro reciproca appartenenza. L’anoressia è, da questo punto di vista, una bulimia virtuale, mentre la bulimia sarebbe la scompensazione del progetto di dominazione pulsionale dell’anoressia. Se potessimo argomentare con più spazio, si potrebbe forse cogliere in questa alternatività ciclica di anoressia e bulimia un punto di intersezione che la figura lacaniana dell’oggetto piccolo (a) ci aiuterebbe a circoscrivere. In sostanza, per andare il più rapidamente possibile all’osso della questione, in entrambe le oscillazioni ritroviamo il medesimo punto di vuoto che caratterizza l’attività della pulsione orale e che nell’algebra lacaniana è uno dei significati decisivi attribuiti alla figura dell’oggetto (a).

Dunque, cosa accade con il vuoto che è al centro dell’attività umana della pulsione? L’anoressica lo incorpora, lo deve sentire nello stomaco, lo ricerca attivamente rifiutando di mangiare, o, meglio, come afferma Lacan, mangiando il “niente” (rien), mentre la bulimica lo può ritrovare solamente al colmo del suo godimento: ella divora e si abbuffa di ogni cosa, ma solo per poter mostrare l’illusorietà della sazietà e per provare in questo modo a raggiungere il vuoto (impossibile da raggiungere) dell’oggetto-seno. Vorrebbe mettere sotto i denti il vuoto della Cosa, il fantasma del seno, quel vuoto impossibile da mangiare, attorno al quale però ruota sempre l’attività della pulsione orale.

Più in particolare l’anoressica sembra stabilire una tensione originale tra alienazione e separazione. La mia tesi è che nell’anoressia vi sia separazione-contro-alienazione. Cosa significa? L’anoressia invoca e pratica, in modo apparentemente radicale, la separazione. Innanzitutto la separazione dalla domanda dell’Altro e più in generale da ogni forma possibile della domanda. Ella, in effetti, non domanda niente e rifiuta tutto. D’altra parte questa separazione sembra prodursi senza perdita – la quale è strutturalmente un effetto della presa elementare del significante – ; l’oggetto piccolo a sembra restare dal lato del soggetto più che essere trasferito nel campo dell’Altro. È questo il carattere estremamente determinato che caratterizza la scelta anoressica. L’esigenza della separazione avviene per negazione della perdita e non per una sua assunzione soggettiva. Si potrebbe dire, forse con un accento più kleiniano, che nell’anoressia la separazione avviene senza essere accompagnata da un effettivo lavoro del lutto. È una separazione per volontà e non per desiderio.

4. Anoressia, bulimia e angoscia

Da un punto di vista generale si può affermare che l’anoressia sia tendenzialmente senza angoscia perché si configura come un suo trattamento, una strategia particolare di evitamento dell’angoscia.

Se per Freud, per Lacan e per Heidegger l’angoscia è quell’affetto che rende possibile l’incontro col reale (pulsionale o esistenziale), l’anoressica vorrebbe dimostrare che l’esistenza può essere vissuta senza angoscia. L’apatia anoressica vorrebbe così sovvertire il carattere strutturale dell’angoscia. Se lacanianamente l’angoscia segnala l’emergenza dell’oggetto piccolo (a) come indice del carattere pulsionale del corpo, l’anoressia sarebbe un tentativo per cementificare l’immagine, per sottrarla alle perturbazioni dell’angoscia, per ribadire attraverso di essa un’idea del soggetto come pura identità. L’essere si solidifica rigettando l’alienazione significante. Se per Lacan l’angoscia manifesta lo spessore reale del corpo pulsionale, l’anoressia erige una diga immaginaria che vorrebbe occultare questa alterità interna. Per l’anoressica la sola esperienza possibile dell’alterità è quella del cibo e delle calorie. Solo nella sua scompensazione bulimica la pulsione riemerge infrangendo la diga dell’io ideale ed esibendo il carattere acefalo del movimento pulsionale. Per questa ragione il terrore soggettivo che anima un’anoressica è quello di incontrare il carattere bulimico della propria fame. Il corpo sterilizzato, nirvanizzato dell’anoressica si ripopola così traumaticamente del corpo pulsionale che, come una sorta di Alien interno, non può mai essere soppresso perché, in fondo, coincide con la stessa vita del soggetto.

Da questo punto di vista l’anoressica prova a muovere una contestazione freudiana nei confronti di Heidegger: non è il nulla ma è la fame del corpo pulsionale che angoscia. Per questo la sua impresa – quella dell’anoressica – consiste nel realizzare, all’opposto del panico che non a caso può insorgere solo quando si allenta l’ascesi anoressica, una padronanza egoico-volontaristica del corpo. Si tratta precisamente di allontanare l’oggetto dell’angoscia. Per questa ragione troviamo spesso nei nostri pazienti delle fobie infantili nei confronti di certi alimenti e potremmo anche porre il problema psicopatologico più generale del rapporto tra pratiche anoressiche e sistemi fobico-ossessivi…

Nella prospettiva della bulimia, l’esperienza dell’angoscia è esperienza di un ingorgo libidico. Il soggetto si trova soffocato da ciò che mangia. L’angoscia scaturisce non da una mancanza d’oggetto, ma da un eccesso reale di oggetto, da, appunto, un’esperienza di oppressione, di mancanza della mancanza, di riempimento del corpo, di asfissia. Per questo il ricorso al vomito spesso coincide nel vissuto dei pazienti con un recupero del proprio corpo, con la possibilità di fare nuovamente il vuoto, di riaprire quel piccolo scarto che consente la possibile rievocazione del desiderio. Il corpo-ingozzato, il corpo satollo, il corpo pieno è il invece il corpo dell’angoscia. Per questa ragione nei sogni di molte anoressiche questo corpo “troppo pieno” appare in tutta la sua significanza mostruosa, come presentificazione del caos pulsionale impossibile da governare, del corpo alieno, animale o extraterrestre.

L’impresa di padronanza del corpo avviene nell’anoressia come un’idealizzazione dell’immagine speculare che vorrebbe annullare questa potenziale apparizione del mostro alieno. Con Lacan sappiamo che una delle funzioni fondamentali dell’immagine è quella di rivestire il corpo pulsionale offrendogli dei confini rintracciabili (per Lacan lo schizofrenico è colui che non ha accesso all’immaginario). Quando invece il corpo perde la sua immagine possiamo allora verificare l’apparizione di diversi fenomeni clinici. Per esempio quello della melanconia che è di grande importanza nella clinica dell’anoressia-bulimia. Senza immagine narcisistica, il corpo emerge come puro oggetto scarto, come oggetto kakon, reale brutto, corpo privato del sentimento stesso della vita, corpo già morto.

Quando il controllo anoressico cede il passo si può infiltrare l’angoscia. Questa infiltrazione segnala l’impossibilità per l’immagine narcisisitica di rivestire integralmente il corpo pulsionale, dunque lo scollamento tra il corpo narcisistico e il corpo erogeno. Per questo nell’esperienza con lo specchio ciò che può angosciare è sempre relativo ad una eccedenza di carne, di grasso che macchia la bella immagine, una sorta di residuo che incarna l’oggetto piccolo (a) come impossibile da specularizzare, come reale non integrabile nella buona forma dell’immaginario. Per questo il tempo della pubertà continua ad essere un tempo elettivo per lo scatenamento dell’anoressia. Nella pubertà è il reale del corpo che sale in primo piano lacerando l’unità della bella immagine. Il rifiuto anoressico non è qui innanzitutto rifiuto dell’oggetto orale ma rifiuto del corpo tout court. Rifiuto che prende solitamente le vie del rifiuto del proprio corpo in quanto corpo sessuale e del rifiuto del corpo dell’Altro in quanto luogo di godimento e di desiderio.


5. Due anime dell’anoressia

Ne L’ultima cena (Bruno Mondadori, Milano 1997) avevo proposto l’idea dell’anoressia come una malattia dell’amore. Per avere il segno dell’amore, della mancanza dell’Altro, il soggetto anoressico sceglie la via disperata del rifiuto radicale del godimento. In questo potremmo isolare il tratto isterico dell’anoressia. Anche la bulimia mi sembrava orientata dalla stessa malattia: l’assenza del segno d’amore viene compensata – come ricorda Lacan nel Seminario IV – dalla divorazione dell’oggetto. Con La clinica del vuoto mi è sembrato necessario mettere in rilievo un’altra dimensione, quella dell’odio, del rifiuto della vita non come appello d’amore ma come spinta alla morte. C’è una grande differenza tra l’anoressia come appello d’amore e l’anoressia come appetito di morte che non è sufficientemente chiarita da Lacan nelle sue note sull’anoressia, che pure ricorrono sempre in momenti topici del suo insegnamento. Per esempio l’anoressia viene evocata come una figura clinica chiave per accedere alla categoria di godimento, come avviene già nei Complessi familiari, ma anche per accedere alla categoria di desiderio, come avviene nel corso del Seminario IV e nello scritto la Direzione della cura. Sinteticamente si può considerare questa sorta di doppia lettura che Lacan propone del fenomeno dell’anoressia (per un verso luogo di un godimento mortifero, melanconico-tossicomanico e per l’altro come una strategia di difesa e di separazione del desiderio del soggetto dal carattere soffocante della domanda dell’Altro), come una sottolineatura della doppia anima che caratterizza il soggetto anoressico come tale: manifestazione del Todestrieb, appetito di morte, desiderio larvale, spinta alla distruzione, azzeramento melanconico del sentimento della vita, nirvanizzazione del principio di piacere, ma anche strategia di separazione finalizzata a differenziare lo statuto del desiderio da quello del bisogno, carattere irriducibile del desiderio alla domanda dell’Altro, desiderio come desiderio di niente, desiderio d’Altro, rifiuto come forma radicale di appello, malattia dell’amore, domanda radicale del segno d’amore.

Se l’amore converte desiderio e godimento, l’anoressia e la bulimia oppongono desiderio e godimento ed escludono la conversione dell’amore. Il desiderio anoressico è infatti un desiderio di morte e il godimento bulimico può presentarsi non solo come una forma di compensazione ma anche come una devastazione pulsionale.