sotto giudizio
RECENSIONI



Paul Ricoeur
Il giudizio medico
a cura di D. Jervolino. Morcelliana, Milano 2006, pp. 57, ISBN 88-372-2111-8, € 5,50



Com’è noto, negli ultimi anni della sua lunga e laboriosa vita, Paul Ricoeur, scomparso nel 2005 ma sempre ‘vivo fino alla morte’, ingaggia un fecondo e serrato confronto con le scienze, tra queste la bioetica e la medicina. Ed appunto inaugurando la conferenza internazionale su Bioethics and Biolaw svoltasi a Copenaghen nel 1996, che il grande pensatore francese ha affrontato il tema del giudizio nell’etica medica: «A quale tratto dell’etica fondamentale dà visibilità e leggibilità l’etica medica?». Questa è la domanda che si pone Ricoeur, ben sapendo che la risposta sta nella sollecitudine, ossia nel prestare soccorso a qualsiasi persona malata. L’arte di curare, insomma, si esercita sempre attraverso una relazione che mette al centro il diritto del malato di conoscere la verità sul proprio caso e di ricevere trattamenti adeguati. La riflessione offerta dall’ultimo Ricoeur in questo saggio-conferenza raccolto sotto il titolo Il giudizio medico (Morcelliana 2006) delinea una complessa tipologia del giudizio medico, o in altri termini, della buona medicina entro l’orizzonte dell’aristotelica equivalenza tra vita buona e vita felice.

Il richiamo alla dimensione etica come ‘stima di sé’ conferisce senso a quell’esperienza relazionale tra medico e paziente che costituisce il necessario presupposto per comprendere la stratificazione ricoeuriana del giudizio medico in tre livelli: prudenziale, deontologico e riflessivo. Proviamo a focalizzare questa tripartizione: il giudizio prudenziale (dal termine prudentia che costituisce la versione latina del greco phronesis) è applicato «a singole situazioni, ove un paziente particolare è posto in relazione con un medico particolare. I giudizi proferiti in quest’occasione esemplificano una saggezza pratica, più o meno intuitiva, risultante dall’insegnamento e dall’esercizio» (p. 29). In altre parole il giudizio prudenziale allude al carattere relazionale del patto di cura tra il paziente e il medico che il nostro Autore chiama ‘patto di fiducia’. Alla richiesta di chi soffre, il medico risponde con la promessa di curare che attiva in chi soffre la speranza e crea una relazione di fiducia che non è ancora un contratto medico. «Il patto di cura diviene così una sorta di alleanza sigillata tra due persone contro il nemico comune, la malattia. L’accordo deve il suo carattere morale alla promessa tacita, convenuta tra i due protagonisti, di rispettare fedelmente i rispettivi impegni. Questa promessa tacita è costitutiva dello statuto prudenziale del giudizio morale implicito nell’atto linguistico della promessa» (p. 33). Tuttavia la strutturale fragilità di questa alleanza, in parte dovuta alla ‘dialettica di fiducia e di diffidenza’ sia da parte del paziente come aspettativa esagerata, sia da parte del medico come rischio di negligenza, comporta la necessità di formulare una deontologia medica che trasformi in norme i precetti della saggezza pratica. Siamo così giunti a definire il secondo livello del giudizio medico che Ricoeur chiama deontologico «nella misura in cui i giudizi rivestono la funzione di norme che trascendono in diversi modi la singolarità della relazione tra quel paziente e quel medico» (pp. 29-30). Col giudizio deontologico avviene così il passaggio dal patto di fiducia al contratto in cui l’obbligo deontologico da parte del medico è prioritario nel prestare soccorso a chiunque si trovi in condizioni di pericolo.

Per Ricoeur la deontologia medica assolve a tre funzioni fondamentali: a) universalizzare i precetti trasformando gli impegni della fiducia in obblighi del segreto professionale; b) connettere gli obblighi deontologici in un’architettura di diritti e doveri dei medici e dei pazienti; c) arbitrare i conflitti che possono originarsi sia dalle tensioni tra luogo della ricerca e luogo della clinica sia dalla questione del benessere personale del paziente. Ricoeur ha ben chiari tutti i nodi irrisolti del dibattito bioetico, soprattutto quando si deve intervenire sul corpo umano che è «insieme, carne di un essere personale e oggetto di un’investigazione osservabile nella natura» (p. 44), oppure quando si valutano nozioni come persona, salute, vita e morte. Di qui l’esigenza di codificare un terzo livello del giudizio che è quello riflessivo giacché «la bioetica ha a che fare con giudizi di tipo riflessivo applicati al tentativo di legittimazione dei giudizi prudenziali e deontologici di primo e secondo grado» (p. 30). Questo tipo di giudizio – sostiene Ricoeur – mostra il non-detto di ogni impresa di codificazione, nel senso che la deontologia si innesta su un’antropologia filosofica «la quale non potrebbe sfuggire al pluralismo di convinzioni in una società democratica» (p. 51). Il giudizio riflessivo, oltre a mettere in gioco la nozione stessa di salute sia essa privata o pubblica in relazione alle nostre più profonde convinzioni sulla vita e sulla morte, sulla nascita e la sofferenza, delinea l’idea ricoeuriana dell’identità fragile come la caratteristica più profonda del nostro esser-ci. Tale fragilità è assai difficile da esplorare: quale rapporto fra desiderio di salute e desiderio della vita buona? Come integriamo la sofferenza e l’accettazione della morte con l’idea che ci facciamo della felicità? Questioni cruciali che non si possono eludere né attestarsi in semplici soluzioni procedurali.

Alla fine del suo studio, preceduto da un’ampia introduzione di Domenico Jervolino che del maestro francese è stato amico e discepolo, Ricoeur sembra condividere la soluzione di Rawls che ha auspicato ‘il consenso per intersezione’, ossia per ‘ragionevoli disaccordi’, come la strada più agevole per far fronte all’eterogeneità delle teorie morali.


(Aldo Meccariello)


Indice

Prefazione di Domenico Jervolino

Premessa

Capitolo I 
Il patto di fiducia

Capitolo II 
Il contratto medico

Capitolo III
Il non-detto dei codici


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