NUDITA'
EMERGENZE

La nudità messa a nudo nell’impalpabile corpo della nuvola.
Introduzione a Jean-Luc Nancy, À la nue accablante…


di Gabriella Baptist

La nudità è sempre pollachos non solo nel suo dirsi, ma anche nel suo essere, così come molteplice è costitutivamente l’abito, e non soltanto per il capriccio della moda. Il vestito non è infatti solo quello della festa, ma anche la tuta da lavoro, la camicia da notte, il costume tradizionale, l’uniforme che contraddistingue una funzione (il militare, il sacerdote, il medico, il magistrato), che sottolinea e protegge una condizione (il grembiule dello scolaro, il velo della sposa, il sudario del morto) o la stramberia che mette in risalto l’occasione rituale e la scelta irriverente (la rievocazione storica, l’abito di scena, la maschera carnevalesca, la foggia del travestito); allo stesso modo esistono diversi tipi di nudi regolamentari e, per così dire, previsti dal programma: quelli parziali degli atleti o delle analisi cliniche, quelli totali dei testi di anatomia o di disegno, ma anche della cura ordinaria di sé o della straordinarietà dell’amore. Se l’uomo è il solo essere vivente a portare vestiti, strutturalmente di vario tipo, è anche il solo ad essere nudo in molti modi!
Antonio Allegri da Correggio, Giove e IoSi può certamente schizzare una storia della nudità e dello spogliare parallela a quella del costume e del vestire, basterebbe allo scopo la storia dell’arte; ma si può anche tratteggiare un pensiero dell’abito e del nudo almeno a partire dal Protagora di Platone e fino alle riflessioni sul corpo e sulla sua evidenza in Jean-Luc Nancy. [1] Nel caso del saggio che qui presentiamo in traduzione italiana, si tratta di un testo che accompagna una cinquantina di foto di Jacques Damez, una raffinata raccolta di nudi che offrono lo spunto, di nuovo, per una meditazione su ciò che sembra vecchio come il mondo e insieme sorprendente ogni volta come una novità inaudita: la mostrazione dell’impresentabile. [2]

Oltre ai versi di Mallarmé, esplicitamente citati nel titolo, a leggere il saggio di Jean-Luc Nancy vengono in mente forse inevitabilmente anche e soprattutto rimandi iconografici, peraltro il testo nasce appunto accompagnando un catalogo di immagini. Per esempio torna implicitamente il rimando al celebre Correggio di Giove e Io, conservato a Vienna al Kunsthistorisches Museum ed elaborato dall’artista negli anni Trenta del Cinquecento tra le famose tavole dedicate agli amori del dio, tela che Jean-Luc Nancy e Federico Ferrari avevano messo in copertina a La pelle delle immagini, anch’esso una riflessione sul nudo: Io sensualmente svestita è abbracciata a una nube che solo in controluce lascia intravedere il volto di Giove mentre la bacia e la mano del dio che la afferra adagiandola su un letto di fronde. La nuda e la nube è un gioco di parole possibile solo in francese – “la nue” –, al quale fa esplicito riferimento il titolo del volume in cui è pubblicato il testo di Nancy che presentiamo, del resto già in precedenza Nancy aveva additato alla nube per indagare il segreto di un celebre nudo che aveva commentato: la Donna allo specchio di Giovanni Bellini (1515, Vienna, Kunsthistorisches Museum) nel riflesso rimanda celatamente alla tempesta imminente nel crepuscolo. [3]Giovanni Bellini, Donna allo specchio
In effetti, come caduta dalle nuvole (Tombée des nues…), nelle foto di Damez compare ripetutamente una Io o una Psiche solitaria, quasi mai adagiata nelle pose classiche, neanche in contemplazione davanti a qualche apparato riflettente, anzi piegata e quasi avviluppata su se stessa, spezzata già nelle inquadrature, apparentemente non sedotta e magari neppure esplicitamente seducente, anche se comunque lasciata andare forse innanzitutto da un dio che ha allentato la presa, mentre i volti e le mani della bella abbandonata restano impalpabili come quelle del Giove di Correggio, perché spesso fuori fuoco oppure oltre l’obiettivo, mentre il suo stesso corpo diventa quella nuvola che la giovane allo specchio di Bellini velatamente contemplava. Evanescenti come se stessero per svaporare, oppure indagati fin nei particolari più minuti, che però sconcertano perché quasi si fatica a ricollocarli in un tutto coerente che sembra andato perduto, perché ormai in frantumi, i corpi fotografati da Damez costituiscono non semplicemente lo sfondo e lo scenario sul quale si leva ancora un’altra riflessione sul senso del nudo, ma il rimando dativo a cui ci si rivolge innanzitutto (“à la nue…”), magari addirittura al vocativo (“…tu”), per rilanciare la questione.
Che cosa significa davvero mettere a nudo? Non è sempre il gesto della scoperta, della rivelazione, del sapere, quando appunto si toglie l’ultimo velo? E che cos’altro c’è da togliere oltre la rivelazione e l’esposizione della nudità? “La nudità non è la verità”, assicura Nancy, anche se la verità è in genere rappresentata appunto nuda, l’aletheia che ha levato ogni nascondimento. La nudità è per Nancy piuttosto la svestizione della verità messa a nudo nell’ostensione, nella presentazione sempre rinnovata non di un fondamento né di un’essenza che starebbero al di sotto, ma di un elementare: ‘ecco il mio corpo’, dove il senso del sensibile sta semplicemente nella sua indicazione [4]. Si tratta di un ecce homo, di un ‘eccomi’ che però, nel porgersi, anche si eclissa svestendosi di ogni orpello – altro gioco di parole possibile solo in francese, dove “dérober” significa appunto sottrarre, ma insieme rimanda anche al gesto dello svestire. Il nudo non ha in realtà più niente da togliersi, anche se evidentemente mai come nel suo uso pubblicitario all’epoca dello strip-tease risulta evidente come i corpi rappresentati siano in genere invece perfettamente scolpiti, modellati, vellutati, depilati, truccati, acconciati, approntati e appunto ‘abbigliati’ con quel vestito più esigente e impegnativo che mai si possa immaginare e che è l’ideale estetico di turno: in realtà un abito da gran sera!
I corpi su cui riflette Nancy e che addita Damez sono invece corpi fragili e incerti, incompiuti e labili, talvolta ancora segnati dall’abito appena sfilato e comunque senza alcun fard che ne mascheri il difetto o la singolarità niente affatto qualsiasi, né generica. Dietro questi corpi spogliati di tutto, anche del mito della bellezza, dell’afflato della verità o del rimando all’essenza, non si rivela per Nancy più alcun segreto del profondo né alcuna trascendenza dell’altezza, ma solo l’onestà della superficie: quella pelle messa a nudo che non è un organo tra gli altri – quello in genere meno presente all’immaginario collettivo rispetto, per esempio, alle centralità del cuore o del cervello, anche se a rischiarla si mette poi in gioco tutto –, quella pelle che non inviluppa semplicemente il corpo come una pellicola o una buccia, perché piuttosto lo svolge, lo dispiega, lo discopre rivestendolo, ma anche lo trattiene, lo tiene e così lo preserva spogliandosi di ogni spurio rivestimento. Il tatto, il contatto, il tocco del tangibile e insieme l’inafferrabilità dell’impalpabile con la sua grazia evanescente vengono così a coincidere nella rivelazione del corpo e nella glorificazione del suo limite, sottolineato dalle inquadrature acefale e apode: miseria e gloria, splendore e spoliazione, quotidianità ed eccezione.Antonio Canova, Orfeo ed Euridice La sua impenetrabilità e gravità più o meno massiccia di sostanza, sempre solo da avvicinare, e insieme la sua porosità spugnosa, marcata da orifizi e aperture, risultano evidentemente e paradossalmente la stessa cosa, permettendo il salvataggio del reale nel suo esser-così e la salvaguardia del futuro nella modificazione sempre imminente ed aurorale del plasmabile e permeabile: la nuvola nuda ne è attestazione finita e promessa infinita, spogliata e sottratta è solo così com’è, ma anche non soltanto ciò che è.
Perciò la nudità è per Nancy sempre quella di Orfeo, colui che continua a vedere e a cercare ciò che non è dato, colui che cammina davanti alla sua anima perduta e perciò è sempre più avanti e più indietro di sé nell’antico gioco del finito e dell’infinito, della vita e della morte, del desiderio e della nostalgia, dell’evidenza fenomenica e del mistero fantasmatico, tenuti insieme da ogni passo che avanza tra l’inizio e la fine, da ogni pertugio che apre punti di fuga e prospettive impensate, dal dolore della coscienza e dal suo canto.



Note con rimando automatico al testo:

1) Cfr. Platone, Protagora, 320 d e segg., Dialoghi filosofici, vol. I, a cura di Giuseppe Cambiano, Torino, UTET, 1970, pp. 319 e segg. Si tratta notoriamente del mito che racconta l’origine della natura vivente e l’assegnazione di attributi e caratteristiche alle varie specie da parte di Epimeteo, che però inavvertitamente lascia l’uomo “nudo, scalzo, senza coperte”, inducendo così Prometeo a intervenire rubando agli dei il fuoco e l’abilità tecnica anche al fine di fabbricare “vesti, calzature, coperte”, ivi, p. 321 (321 c, 322 a). Di Jean-Luc Nancy si veda almeno Corpus, a cura di Antonella Moscati, Napoli, Cronopio, 20012; Il pensiero sottratto, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, in particolare “Nudità (ouverture)”, pp. 19-29; (con Federico Ferrari) La pelle delle immagini, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, organizzato come una sorta di lessico del nudo a commento di immagini scelte dalla storia dell’arte o dalla ricerca estetica contemporanea.
2) Jacques Damez, Tombée des nues…, Paris, Marval, 2007; il testo di Jean-Luc Nancy, À la nue accablante…, qui tradotto in italiano per gentile concessione dell’autore, si trova alle pp. 5-15.
3) Cfr. Jean-Luc Nancy, “Nube”, in Federico Ferrari, Jean-Luc Nancy,
La pelle delle immagini, cit, pp. 67-69, si veda in particolare ivi, p. 68: “la nudità ha la morte alle spalle come questa nuda (nue) ha la nube (nuée) dietro di sé”.
4) Con “
Hoc est enim corpus meum” iniziava notoriamente l’argomentazione in Jean-Luc Nancy, Corpus, cit., p. 7.

Immagini:
Antonio Allegri da Correggio, Giove e Io, 1531-1532, olio su tela, Vienna - Kunsthistorisches Museum.
Giovanni Bellini, Donna allo specchio, 1515, olio su tela, Vienna - 
Kunsthistorisches Museum.
Antonio Canova, Orfeo ed Euridice, 1775-1776, gruppo scultoreo in marmo, Venezia - Museo Correr.



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