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La superficie dei corpi.  Il superamento della dicotomia maschile-femminile secondo Judith Butler

di Barbara Marte



La natura non esiste, esistono solo gli effetti della natura:
la de-naturazione o il conferimento di una natura.
Jacques Derrida, Donner le Temps

[…] nessuna rivoluzione è possibile senza un radicale
mutamento della nozione del possibile e del
reale.
Judith Butler,
Scambi di genere



Judith Butler e il femminismo


Judith Butler ha esercitato ed esercita la sua riflessione nei campi del femminismo, della queer1 theory, della filosofia politica e dell’etica e può senz’altro essere annoverata tra le filosofe e i filosofi post-strutturalisti2 o vicini alle tesi post-strutturaliste. La filosofa ricorre al pensiero post-strutturalista per esaminare, interrogare e porre in dubbio i «presuppositional terms» del femminismo. Benché la maggior parte dei suoi lettori abbia associato scritti della Butler quali Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio3 e Corpi che contano. I limiti discorsivi del sesso4 alla queer theory, la stessa filosofa si definisce esplicitamente, in alcune delle interviste rilasciate, in primo luogo una teorica femminista e solo in secondo luogo una teorica dell’omosessualità. Il suo impegno primario riguarda il femminismo. Scambi di genere e Corpi che contano criticano la eteronormatività sessuale all’interno del femminismo e i femmininisti e le femministe ne costituiscono gli interlocutori privilegiati.

La Butler si schiera contro l'impostazione base di tutta la letteratura femminista, che sembra accettare acriticamente il paradigma eterosessuale, sostenendo che questo sia invece il postulato fondamentale contro cui combattere. Tale postulato si fonda sulla distinzione tra sesso e genere, laddove il genere viene considerato come completamente libero e il sesso vincolato alla biologia. La supposta evidenza del sesso come un fatto biologico naturale testimonia quanto profondamente la sua produzione nel discorso venga cancellata.

Una parte significativa della riflessione della Butler concerne il ruolo del sesso nella costruzione di un genere e di una sessualità coerenti e naturali: mettendo in discussione la visione biologica binaria del sesso, maschile/femminile, ella concepisce il corpo sessuato come culturalmente costruito dal discorso regolativo. Il corpo sessuato, una volta fissato come naturale e indiscutibilmente come un fatto, costituirà l’alibi per la costruzione del genere e della sessualità, che saranno ritenuti essere espressione naturale o conseguenza di un sesso che ne costituisce il fondamento biologico. In altre parole è sulla base della costruzione di un sesso naturalmente binario che il genere binario e l’eterosessualità sono parimenti costruiti come naturali. Perciò la Butler ritiene che senza una critica del sesso in quanto prodotto dal discorso, la distinzione di sesso e genere come strategia femminista che contesti le costruzioni del genere binario asimmetrico e della eterossessualità normativa obbligatoria sarà inefficace.

Una famosa femminista americana citata dalla Butler, Catharine MacKinnon, afferma che «la diseguaglianza sessuale assume la forma di genere» e «il genere emerge come la forma congelata della sessualizzazione della disuguaglianza tra uomini e donne». La Butler sottolinea la manifesta differenza che vi è tra la concezione sessista e quella femminista riguardo la relazione tra genere e sessualità: i sostenitori della prima credono che l’essenza femminile si palesi e trovi conferma nell’atto del coito eterosessuale, in cui la subordinazione diviene piacere, siamo qui dinanzi a una forma di subordinazione sessualizzata; le femministe/i pensano che il genere debba essere rovesciato, eliminato o reso ambiguo, in quanto costituisce sempre un segno di subordinazione per le donne. Ciò nonostante, osserva la Butler, la visione femminista accetta «il potere della descrizione ortodossa della prima, accetta che la descrizione della prima operi già come potente ideologia, ma cerca di contrapporvisi».

In Scambi di genere la Butler mostra che vi è una sorta di meccanismo autoriproduttivo della gerarchia di genere: la vigilanza sul genere funziona come metodo per garantire l’eterosessualità cioè le pratiche sessuali normative rinsaldano il genere; le pratiche sessuali non normative mettono in crisi la stabilità del genere in quanto categoria di analisi. Parimenti le pratiche sessuali non normative inducono ad interrogarsi sullo statuto dell’essere uomo e dell’essere donna, provocando una crisi ontologica sia sul piano della sessualità sia su quello della lingua. A questo proposito facciamo notare che è convinzione della Butler che la grammatica e lo stile non siano neutri dal punto di vista politico: «l’apprendimento delle regole che governano il discorso intelligibile è una coartazione verso la lingua normalizzata, dove il prezzo da pagare quando non ci si conforma è la perdita della stessa intelligibilità»5.

Il post-strutturalismo pone l’accento sulla difficoltà che l’io incontra quando cerca di esprimersi attraverso la lingua disponibile, è anch’esso infatti frutto della grammatica. Non si può essere ascoltati al di fuori della grammatica; ignorare ciò significherebbe trascurare la sfera della lingua, che è quella che istituisce e destituisce l’intelligibilità. Secondo la Butler la grammatica insegnataci non è mai il miglior veicolo per esprimere concezioni radicali, perché essa stessa impone al pensiero delle limitazioni, o meglio allo stesso pensabile e quindi all’intelligibile. Se, afferma la filosofa citando la nota teorica femminista Monique Wittig, il genere stesso viene naturalizzato attraverso le norme grammaticali, allora la modificazione del genere ad un livello epistemico più essenziale deve in parte essere compiuta contestando la grammatica in cui il genere è dato.


La distinzione tra sesso e genere è una distinzione solo apparente?

Nella riflessione sul sesso e sul genere la Butler cerca di affrancarsi da ogni nostalgia di un fondamento; in tal modo ella s’interroga propriamente sullo statuto dell’umano. Il nucleo eversivo del suo pensiero consiste nel confutare le categorie di sesso e genere, nel mettere in dubbio le banali e consuete percezioni culturali, senza le quali non riusciamo a leggere con certezza il corpo che vediamo, senza le quali non riusciamo a distinguere nettamente se il corpo in cui ci siamo imbattuti sia quello di un uomo o di una donna. Quando vengono messe in crisi queste categorie, entra in crisi anche la realtà del genere e quindi non sappiamo più come distinguere il reale dall’irreale. La filosofa sostiene che quella che asseriamo essere la conoscenza naturalizzata del genere sia invece una realtà modificabile e rivedibile, di cui è massima esemplificazione anzi diremo meglio incarnazione la transessualità. A questo proposito vorrei ricordare la sua profonda convinzione, secondo cui «[…] nessuna rivoluzione è possibile senza un radicale mutamento nella nozione del possibile e del reale»6.

Parole che sembrano riecheggiare Adorno, il quale afferma che non vi è nulla di radicale nel buon senso.

La Butler parte dal presupposto che

[…] la conoscenza naturalizzata del genere opera come circoscrizione preventiva e violenta della realtà. Nella misura in cui stabiliscono che cosa sarà e non sarà intelligibilmente umano, che cosa verrà e non verrà considerato “reale”, le norme di genere […] stabiliscono il campo ontologico in cui i corpi possono ricevere un’espressione legittima.7

Quindi, come la Butler stessa aggiunge, se Scambi di genere mira ad un compito normativo positivo, questo consisterà nel rivendicare l’estensione di tale legittimità a corpi che vengono giudicati falsi, irreali e inintelligibili; opinione confermata, nella presentazione del suddetto testo, da Giulio Giorello, secondo il quale nessuna rivoluzione sarebbe possibile senza l’afferramento della realtà da parte di chi viene giudicato “irreale”. E potremmo continuare dicendo che il drag è paradigmatico del fatto che la “realtà” non sia fissa come di solito si crede.

Il movimento femminista ha insistito sulla produzione di una categoria delle donne come soggetto coerente e stabile, regolamentando e reificando così le relazioni di genere e l’identità, che avrebbe dovuto invece confutare. Ed allo stesso tempo avrebbe dovuto considerare la costruzione variabile dell’identità e la fluidità del genere come presupposto metodologico e normativo, facendone addirittura un obiettivo politico. Solo in tal modo si può mettere in questione la naturalezza delle dicotomie sociali.

La distinzione sesso-genere nasce per confutare l’idea secondo cui «biologia è destino»: l’opinione generalmente condivisa dalle femministe/i è che se il sesso è immutabile sul piano biologico, il genere è costruito culturalmente ed è portatore di quei significati culturali che vengono poi incarnati dal corpo sessuato. A tale proposito la Butler osserva che non possiamo affermare che un genere derivi da un sesso, né che i generi debbano necessariamente essere due, anche se dal punto di vista morfologico e costituzionale i sessi sembrano essere soltanto due.

In quali condizioni e attraverso quali strumenti il sesso e il genere vengono dati? Qual è realmente lo statuto del sesso? Quello naturale, quello cromosomico o quello ormonale? Le teorie scientifiche che producono discorsivamente un sesso apparentemente naturale sono al servizio di interessi politici e sociali? Forse il sesso è già una costruzione culturale come il genere e quindi la distinzione tra sesso e genere è una distinzione solo apparente? Sono questi gli interrogativi ai quali la Butler si propone di rispondere.

La filosofa afferma che non dobbiamo pensare il genere come un significato culturale iscritto su un sesso dato in precedenza, ma il genere designa pure l’apparato della produzione mediante il quale vengono creati i sessi: il genere è il mezzo discorsivo mediante il quale un “sesso naturale” viene prodotto o creato come “prediscorsivo”, come precedente alla cultura. Il sesso prediscorsivo è dunque effetto di quell’apparato della costruzione culturale definito genere. Ora il genere deve essere riformulato in modo che possa comprendere le relazioni di potere che producono il sesso prediscorsivo e che quindi occultano l’operazione stessa della produzione discorsiva.

I generi “intelligibili” sono quelli che istituiscono e mantengono relazioni di coerenza e continuità tra sesso, genere, desiderio e pratica sessuale. Tali “generi intelligibili” funzionano come una sorta di frameworks of intelligibility e disciplinary regimes (che potremmo tradurre rispettivamente con “strutture di intelligibilità” e “regimi disciplinari”): essi decidono in anticipo quali siano le possibilità di sesso, genere e sessualità alle quali sia socialmente consentito di apparire in quanto coerenti e naturali. Le identità di genere che non si conformano alle norme di intelligibilità culturale sono considerate fallimenti evolutivi o impossibilità logiche. A tale riguardo la Butler sostiene che:

La nozione secondo cui potrebbe esistere una “verità” del sesso, come la chiama Foucault in tono ironico, viene prodotta proprio mediante le pratiche regolatrici che generano identità coerenti tramite la matrice delle norme di genere coerenti. L’eterosessualizzazione del desiderio richiede e istituisce la produzione di opposizioni discrete e asimmetriche tra “femminile” e “maschile”, dove questi ultimi sono intesi come attributi espressivi del maschio e della femmina8


Nell’ambito della teoria femminista e post-strutturalista francese le nozioni di identità sessuale vengono concepite come prodotte da regimi di potere molto diversi, ma implicano quasi sempre il presupposto secondo cui «il sesso compare nella lingua egemonica come sostanza - parlando in termini metafisici – in quanto essere identico a se stesso»9.

Ciò è possibile tramite un travisamento performativo della lingua e/o del discorso, per mezzo del quale può passare completamente inosservato il fatto che “essere” un sesso o un genere è impossibile. In termini nietzscheani diremmo che ci troviamo ancora dinanzi ad una metafisica della sostanza. Lo studioso Michel Haar, proprio partendo dagli insegnamenti di Nietzsche, afferma che alcune ontologie sono rimaste ferme alle illusioni dell’”essere” e della “sostanza”, favorite dalla formulazione grammaticale di soggetto e predicato che riflette la realtà ontologica della sostanza e dell’attributo. Ciò è funzionale al perpetuarsi dell’ordine, dell’identità e della semplicità. Si dovrebbe applicare la critica nietzscheana alle categorie psicologiche che dominano la riflessione popolare e teoretica sull’identità di genere. Haar ritiene che la critica della metafisica della sostanza implichi una critica del concetto di persona psicologica come cosa sostantiva: «tutte le categorie psicologiche (l’Io, l’individuo, la persona) derivano dall’illusione dell’identità sostanziale».

Secondo la femminista francese Wittig il genere, essendo un concetto ontologico che riguarda la natura dell’essere, sembra appartenere innanzitutto alla filosofia; il che equivale ad appartenere ad un corpus di concetti senza i quali sia impossibile pensare, concetti che esistono quindi prima del pensiero, di qualsiasi ordine sociale, quasi in natura diremo. Il discorso popolare sull’identità di genere avalla quanto dice la Wittig. La pretesa che l’essere eterosessuale per esempio derivi dall’essere donna è sintomatica della metafisica della sostanza di genere. La subordinazione della nozione di genere a quella di identità conduce alla conclusione che una persona è un genere e lo è in virtù del suo sesso, del suo senso psichico del sé e delle varie espressioni di quel sé psichico, di cui quella più significativa è il desiderio sessuale. Qui il genere viene confuso con il sesso, che costituisce il principio unificante del sé incarnato e tale unità viene mantenuta contro e rispetto a un sesso opposto, che a sua volta ha una struttura coerentemente oppositiva per sesso, genere e desiderio. Sembra esserci una sorta di unità metafisica tra sesso, genere (laddove il genere è una designazione psichica e/o culturale del sé) e desiderio.

Nel discorso ereditato dalla metafisica della sostanza il genere ha una «funzione performativa»10, cioè capace di costituire l’identità che secondo l’opinione comune appunto è. La Butler asserisce che il genere sia in tal senso un fare, ma non un fare da parte di un soggetto che preesista all’azione; la categoria del genere deve essere ripensata fuori dalla metafisica della sostanza. A questo riguardo ricordiamo le parole di Nietzsche in Genealogia della morale: «non esiste alcun ‘essere' al di sotto del fare, dell’agire, del divenire; 'colui che fa' non è che fittiziamente aggiunto al fare – il fare è tutto»11.

Alle parole di Nietzsche la Butler aggiunge:

In un’applicazione che forse Nietzsche non avrebbe previsto né tollerato, potremmo asserire come corollario: non vi è alcuna identità di genere al di sotto delle espressioni del genere; quell’identità è performativamente costituita dalle stesse “espressioni” che, si dice, ne sono il risultato12.

Butler e Lévi-Strauss: la distinzione natura/cultura come supporto della distinzione sesso/genere

La Butler si chiede quale sia lo status e il potere delle proibizioni capaci di istituire i generi. Ed è appunto alla ricerca di risposte che ella interroga Lévi-Strauss, la psicoanalisi lacaniana e soprattutto Foucault.

In Strutture elementari della parentela Lévi-Strauss afferma che il fenomeno dello scambio presso le società primitive abbraccia le cibarie, gli oggetti fabbricati e la categoria dei beni più preziosi, le donne, le quali sono:

[…] uno stimolante naturale, e per giunta lo stimolante del solo istinto la cui soddisfazione possa essere differita: il solo, dunque, per il quale, nell’atto dello scambio e con la percezione della reciprocità, possa operarsi quella trasformazione dallo stimolante al segno che, definendo con questa fondamentale operazione il passaggio dalla natura alla cultura, si espande in istituzione13.

La proibizione dell’incesto sta ad indicare il passaggio dal fatto naturale della consanguineità al fatto culturale dell’affinità: il «fatto della regola», come lo definisce Lévi-Strauss, indipendentemente dalle sue modalità, costituisce l’essenza stessa della proibizione dell’incesto. La natura lascia l’accoppiamento al caso e all’arbitrio, la cultura invece non può non introdurre un qualche tipo di ordine laddove non ve ne è nessuno; il ruolo primordiale della cultura è quello di assicurare l’esistenza del gruppo come gruppo, di sostituire quindi l’organizzazione al caso, così in questo come in tutti gli altri campi. Lévi-Strauss afferma poi esplicitamente:

La proibizione dell’incesto costituisce una forma – o anche forme assai diverse – d’intervento. Ma prima di ogni altra cosa essa è intervento; più esattamente è l’intervento.14

Nell’antropologia strutturalista di Lévi-Strauss la distinzione natura/cultura, di cui alcune teoriche femministe si sono appropriate per supportare la distinzione sesso/genere, lascia sopravvivere il sesso come precedente la legge, nel senso che rimane culturalmente e politicamente indeterminato: esso fornisce la “materia prima” della cultura e acquista significazione solo attraverso e dopo l’assoggettamento alle regole della parentela. Ma se il sesso è strumento materiale della significazione culturale, pur essendo una formazione discorsiva, allora funge da fondamento naturalizzato del binomio natura/cultura. Dunque con Lévi-Strauss il sesso continua ad essere fondamento delle strategie di dominazione e a favorire un rapporto di gerarchia all’interno del dualismo in cui la cultura impone il significato alla natura. Tale relazione binaria gerarchica ricalca quella propria della dialettica esistenziale misogina: la ragione e la mente sono associate alla mascolinità e all’agency15, mentre il corpo e la natura vengono considerati la muta fatticità del femminile, che attendono la signficazione da parte del soggetto maschile. Infine materialità e significato sono termini che si escludono reciprocamente.

Lo strutturalismo tende a parlare della legge al singolare, conformandosi all’assunto di Lévi-Strauss secondo il quale esiste una struttura universale di scambio regolatore all’interno di tutti i sistemi di parentela. In Strutture elementari della parentela Lévi-Strauss spiega che l’oggetto dello scambio che consolida e differenzia le relazioni di parentela è rappresentato dalla donna, la sposa, donata da un clan patrilineare all’altro tramite l’istituzione del matrimonio:

[…] è lo scambio, e sempre lo scambio, che risulta essere la base fondamentale e comune di tutte le modalità dell’istituto matrimoniale. Se queste modalità sono tutte assumibili sotto la generale denominazione di esogamia […], ciò può farsi a condizione di riconoscere, dietro l’espressione superficialmente negativa della regola di esogamia, la finalità cui essa tende con la proibizione del matrimonio nei gradi proibiti, e che è quella di assicurare la circolazione totale e continua di quei beni per eccellenza che il gruppo possiede e che sono le sue mogli e le sue figlie16.

Secondo Lévi-Strauss il valore funzionale dell’esogamia è inizialmente negativo: essa fornisce il mezzo per mantenere il gruppo come gruppo, per evitare gli innumerevoli frazionamementi che la pratica dei matrimoni consanguinei porterebbe con sé. Questi ultimi non tarderebbero a far “esplodere” il gruppo sociale in una moltitudine di famiglie che formerebbero altrettanti sistemi chiusi, di cui sarebbe impossibile prevenire la proliferazione e gli antagonismi. L’antropologo chiarisce:

Il fatto è che in realtà lo scambio non vale soltanto per quel che valgono le cose scambiate: lo scambio – e di conseguenza la regola di esogamia che lo esprime – ha, di per se stesso, un valore sociale: fornisce il mezzo per legare gli uomini tra loro e per sovrapporre ai legami naturali della parentela i legami della colleganza matrimoniale retti dalla regola […]17.

Appare evidente che la proibizione dell’incesto non rappresenta una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, ma indubbiamente una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o la figlia; la proibizione dell’incesto, come l’esogamia, costituisce la regola della reciprocità. Anzi Lévi-Strauss dirà esplicitamente che essa rappresenta la regola del dono18 per eccellenza.

Tale dono umano, commenta la Butler, costituisce un segno e un valore avente uno scopo funzionale, quello di agevolare il commercio, e uno scopo simbolico o ritualistico, quello di consolidare i legami interni e l’identità collettiva all’interno di ciascun clan che si differenzia appunto mediante l’atto. Mi sembra importante sottolineare che la filosofa approfondisca ancor più la questione laddove sostiene che la sposa funge da termine relazionale tra i gruppi di uomini: non ha un’identità, né può quindi scambiarla; riflette solo l’identità maschile. Ella del resto in quanto donna è caratterizzata dall’assenza, dalla mancanza. L’espulsione e l’importazione ritualistica delle donne garantisce il perpetuarsi della patrilinearità.

Sebbene Lévi-Strauss affermi ad un certo punto di avere abbandonato la filosofia per l’antropologia, egli, secondo la Butler, assimila il tessuto culturale di cui parla ad una struttura logica totalizzante che riporta l’analisi alle strutture filosofiche decontestualizzate che l’antropologo pretende di avere abbandonate; in altre parole Lévi-Strauss fa appello a una logica universale che strutturerebbe le relazioni umane:

Così dunque l’esogamia deve essere riconosciuta come un elemento importante – anzi come l’elemento di gran lunga più importante – di quel solenne complesso di manifestazioni che, continuamente o periodicamente, assicurano l’integrazione delle unità parziali in seno al gruppo totale, e reclamano la collaborazione dei gruppi estranei. Tali sono appunto i banchetti, le feste, le cerimonie di vario tipo che formano la trama dell’esistenza sociale. Ma l’esogamia non è soltanto una manifestazione che prende posto in mezzo a molte altre: le feste e le cerimonie sono periodiche, e per la maggior parte svolgono funzioni limitate. La legge di esogamia, al contrario, è onnipresente, agisce in maniera permanente e continua, e per giunta concerne dei valori – le donne – che sono i valori per eccellenza così dal punto di vista biologico come dal punto di vista sociale, e senza i quali la vita non è possibile […] 19

L’identità culturale maschile viene creata e perpetuata attraverso lo scambio delle donne, che costituiscono l’atto manifesto di differenziazione tra clan patrilineari. Qui la differenza è hegeliana, cioè capace di distinguere e legare allo stesso tempo, elude però la dialettica: il momento differenziatore dello scambio sociale sembra essere un legame tra soli uomini, un’unità hegeliana tra termini solo maschili dunque. I clan conservano un’identità analoga: maschile, patriarcale e patrilineare, si tratta allora di un’identità nella differenza. Aggiunge la Butler che non solo la relazione di reciprocità tra uomini implica una condizione di non reciprocità tra uomini e donne, ma pure una non-relazione tra donne.

Quando la Butler si confronta con le varie teorie filosofiche, antropologiche e psicoanalitiche cerca sempre anche di trovare dei meccanismi, posti in essere dalle stesse, che diano senza volerlo la possibilità del proprio dislocamento culturale, quindi la possibilità del cambiamento, dell’azione politica. Ci chiediamo allora se la legge che regola le strutture elementari della parentela di Lévi-Strauss lo consenta. Come sostiene la filosofa e psicoanalista belga Luce Irigaray (con la quale la Butler non smette di confrontarsi, malgrado le loro differenti posizioni all’interno della teoria femminista), una différance differenziatrice è presupposta ed esclusa al tempo stesso dalla negazione della mediazione maschile all’interno dell’economia hegeliana. Tale economia è fallologocentrica e dipende da un’economia della différance che non è mai manifesta, ma sempre presupposta e disconosciuta: le relazioni tra clan patrilineari si basano sul desiderio omosociale, una sessualità repressa e quindi denigrata, che riguarda solo la relazione tra uomini e i legami tra gli uomini, che la Irigaray definisce propriamente come “uomosessualità”.

Butler e Lacan: l’assunzione del sesso attraverso una minaccia o una privazione

Abbiamo visto che la naturalizzazione dell’eterosessualità e dell’agency sessuale maschile sono costruzioni discorsive date per scontate nell’ambito della cornice strutturalista fondante; esse non devono essere dimostrate o giustificate. Ma in che modo, si chiede la Butler, l’eterossessualità incestuosa viene costruita come matrice naturale del desiderio e in che modo il desiderio diviene prerogativa del maschio eterossessuale?

Lacan si appropria della proibizione dell’incesto e della regola dell’esogamia spiegate da Lévi-Strauss, le quali danno inizio alle strutture elementari della parentela e a una serie di dislocamenti libidici ben regolamentati che si realizzano attraverso la lingua. Tali strutture linguistiche intese come il simbolico in quanto significazioni linguistiche, posseggono una loro integrità ontologica; la Legge si riafferma e si individua all’ingresso di ogni bambino nella cultura. Il discorso può emergere solo laddove vi sia insoddisfazione, la quale viene determinata dalla proibizione dell’incesto, la Legge appunto. Il godimento, la jouissance originaria va perduta a causa di tale repressione primaria fondante il soggetto. Al suo posto compare il segno, il significante che cerca, in ciò che significa, di recuperare un piacere irrecuperabile, da qui lo slittare del significato in un’infinita serie di sostituzioni metonimiche, in cui il desiderio viene dislocato e che aspirano al godimento originario perduto.

Lacan mette in discussione la supremazia attribuita all’ontologia nella metafisica occidentale e non s’interroga tanto su cosa sia l’essere quanto sul modo in cui l’essere venga istituito attraverso le pratiche significanti dell’economia paterna.

L’indagine prima viene incentrata da Lacan sull’”essere” del Fallo, riguardo il quale egli afferma:

Nella dottrina freudiana il fallo non è un fantasma, se con ciò bisogna intendere un effetto immaginario. E neppure un oggetto (parziale, interno, buono, cattivo, ecc...) se questo termine tende ad apprezzare la realtà interessata in una relazione. Ancor meno è l’organo, pene o clitoride, che simbolizza. Non senza ragione Freud lo ha riferito al simulacro ch’esso era per gli antichi.

Giacché il fallo è un significante, un significante la cui funzione, nell’economia intrasoggettiva dell’analisi, solleva forse il velo della funzione che occupava nei misteri. Perché è il significante destinato a designare nel loro insieme gli effetti di significato, in quanto il significante li condiziona per la sua presenza di significante 20.

“Essere” il fallo e “avere” il fallo caratterizzano posizioni sessuali divergenti o non posizioni all’interno della lingua. Essere il fallo equivale a essere il significante del desiderio dell’Altro detto altrimenti a essere l’oggetto, l’Altro di un desiderio maschile eterosessualizzato, ed equivale pure a rappresentare o riflettere tale desiderio. Infatti Lacan afferma:

Tale la donna dietro il suo velo: l’assenza del pene la rende fallo, oggetto del desiderio. Provate ad evocare questa assenza in modo più preciso, facendole portare un grazioso posticcio sotto un travestimento da ballo, e ne avrete, o meglio ella ne avrà, da raccontarne: l’effetto è garantito al 100%, come ben sappiamo da uomini senza ambagi21.

“Essere” il fallo equivale a incarnare il fallo e ad incarnarne e significarne il potere, pur essendo la donna il suo Altro, la sua assenza, la sua mancanza e quindi la conferma della sua identità. Secondo la Butler, Lacan, affermando che l’Altro privo di fallo è colei che “è” il fallo, indica molto chiaramente che il potere è gestito da questa posizione femminile di “non-avere” e che il soggetto maschile che “ha” il fallo ha bisogno di questo Altro per confermare ed essere il fallo in senso esteso.

Il modo in cui Lacan delinea questa ontologia mostra che la sembianza o l’effetto dell’essere siano prodotti tramite le strutture della significazione: l’intelligibilità culturale viene creata dall’ordine simbolico mediante le posizioni reciprocamente escludentesi dell’”avere” il fallo (la posizione degli uomini) e dell’”essere” il fallo (la posizione paradossale delle donne). La dipendenza reciproca della posizione maschile e di quella femminile rinvia alla reciprocità mancata tra signore e servo, più precisamente all’inaspettata dipendenza del signore dal servo nel creare la propria identità tramite il riflesso. Purtroppo però, secondo la Butler, Lacan pone questo dramma su un piano fantasmatico, dove la disgiunzione binaria tra “essere” e “avere” conduce sempre alla “mancanza” e alla “perdita”.

Nella teoria lacaniana la linea di demarcazione fondamentale della sessualità viene creata dalla Legge, che è una proibizione. Non vi è alcuna realtà prediscorsiva, quindi non vi è un femminile e un maschile al di fuori della lingua, non vi è alcun luogo precedente la Legge e, secondo la femminista Jacqueline Rose, per entrambi i sessi la sessualità rasenta la duplicità che ne minaccia la linea di demarcazione. Se la linea di demarcazione si mostra essere doppia a causa della sua artificiosa divisione, allora deve esservi una divisione che resista alla scissione, in altre parole deve sopravvivere una doppiezza psichica o una bisessualità innata, che mini alle fondamenta ogni tentativo di separazione.

Considerare tale doppiezza psichica l’effetto della Legge è lo scopo dichiarato di Lacan, ma anche il punto di resistenza all’interno della sua teoria22.

Rose afferma molto lucidamente che ogni identificazione è destinata a fallire in quanto ha sempre un fantasma come ideale.

L’impossibilità del prediscorsivo nel pensiero lacaniano lascia emergere una critica, secondo la quale la Legge può essere concepita come “proibitiva” e “generativa” allo stesso tempo. Infatti anche se persiste nella disgiunzione binaria, Lacan non ricorre mai al linguaggio della fisiologia né della disposizione. Ma, sebbene per Lacan la repressione crei il represso in virtù della legge proibitiva e paterna, tale tesi non spiega la nostalgia della jouissance originaria, di una pienezza perduta. La perdita non potrebbe essere intesa come tale se l’irrecuperabilità di quel godimento non indicasse un passato allontanato dal presente attraverso la legge proibitiva. Lacan certo afferma che non si può conoscere tale passato dalla posizione del soggetto fondato in quanto tale, ma ciò non significa che il passato non riemerga come incrinatura, scivolamento metonimico. La Butler accosta la realtà noumenica postulata da Kant al passato precedente la legge, la jouissance: entrambi restano inconoscibili. Ma il fatto che il passato non emerga nella lingua non implica che non abbia una realtà; la sua inaccessibilità confermerebbe invece la pienezza originaria come realtà suprema.


Butler e Foucault: la sessualizzazione dei corpi

La Butler mostra come la legge psicoanalitica della repressione sia non solo “proibitiva” ma anche, cosa che più ci interessa in questo contesto, “generativa” cioè come essa produca e faccia proliferare i generi e cerchi di controllarli. A questo scopo si rivolge ancora una volta a Foucault, la cui critica genealogica del fondazionalismo costituisce pure il referente teorico della lettura che ella fa di Lévi-Strauss, di Freud e della matrice culturale eterossessuale.

L’analisi foucaultiana mira a dimostrare le possibilità culturalmente produttive della legge proibitiva. Foucault parte dalla teoria della sublimazione enunciata da Freud in Il disagio della civiltà23 e reinterpretata da Marcuse in Eros e civiltà24, ma solo per allontanarsene: egli ritiene che vi sia una legge produttiva, ma senza il postulato di un desiderio originario e che sia legata alle relazioni di potere. Secondo Foucault il tabù dell’incesto non reprime alcuna disposizione primaria, ma crea la distinzione tra disposizioni “primarie” e disposizioni “secondarie”, che descrivono e riproducono la sessualità eterosessuale legittima e la sessualità omosessuale illegittima; il tabù dell’incesto viene qui concepito fondamentalmente come produttivo nei suoi effetti. Allora la proibizione fondante il “soggetto” sopravvive come legge del suo desiderio e diviene il mezzo tramite il quale si costituisce l’identità di genere, laddove il genere non è solamente l’identificazione con un sesso ma significa pure che il desiderio sessuale sia diretto verso il sesso opposto. L’eterosessualità e l’omosessualità sono entrambe effetti, dal punto di vista temporale e ontologico, successivi alla legge paradigmatica della repressione, la quale crea, sottolineamolo, l’illusione di una sessualità prima della Legge.

Nella critica dell’interpretazione repressiva della legge Foucault sostiene che il desiderio e la sua repressione sono uno strumento finalizzato al consolidamento delle strutture giuridiche: il desiderio viene allo stesso tempo prodotto e vietato in qualità di gesto simbolico rituale attraverso il quale il modello giuridico esercita e corrobora il proprio potere. Foucault si propone di analizzare un certo tipo di “sapere sul sesso” non in termini di repressione o di legge, ma di potere, mettendoci però in guardia dal considerare il potere secondo quella che è la sua rappresentazione giuridica e negativa ossia in termini di legge, di divieto, di libertà e di sovranità:

Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione25.

Il potere secondo Foucault viene dal basso e si esercita a partire da innumerevoli punti, e nel gioco di relazioni disuguali e mobili; inoltre le relazioni di potere non sono in posizione di esteriorità nei confronti di altri tipi di rapporti quali i processi economici, i rapporti di conoscenza, le relazioni sessuali, ma sono loro immanenti. Non esiste una sessualità che appartenga di diritto ad una conoscenza scientifica, che sia disinteressata e libera e sulla quale le esigenze economiche o ideologiche del potere abbiano fatto funzionare meccanismi di proibizione:

La sessualità si è costituita come campo di conoscenza a partire da relazioni di potere che l’hanno costituita come oggetto possibile; e a sua volta il potere ha potuto prenderla come bersaglio perché tecniche di sapere e procedure di discorso sono state capaci d’investirla. Fra tecniche di sapere e strategie di potere non c’è nessuna esteriorità, anche se hanno ciascuna il loro ruolo specifico e si articolano l’una con l’altra a partire dalla loro differenza26.

Scopo della ricerca di Foucault è mostrare come i dispositivi di potere si articolano direttamente con il corpo o più precisamente con i corpi, le funzioni, i processi fisiologici, i piaceri. Egli non intende realizzare una storia della mentalità, che analizzi il modo in cui i corpi siano stati percepiti e sia stato dato loro senso e valore, ma una “storia dei corpi” e del modo in cui è stato investito quanto c’è di più materiale e vivente in essi. La materialità a cui Foucault si riferisce è propriamente quella del sesso; il potere che si esercita attraverso il dispositivo della sessualità si rivolge a questo elemento reale che è il sesso. Ora la sessualità non è rispetto al potere una dimensione esterna alla quale il potere s’imporrebbe, ma anzi essa è effetto e strumento di questo. Per giunta il “sesso” non è l’elemento su cui s’innestano le manifestazioni della “sessualità”, ma è un’idea che si è formata storicamente all’interno del dispositivo di sessualità:

Lungo le grandi linee di sviluppo del dispositivo di sessualità a partire dal XIX secolo, assistiamo all’elaborazione dell’idea che esiste qualcos’altro che i corpi, gli organi, le localizzazioni somatiche, le funzioni, i sistemi anatomo-fisiologici, le sensazioni, i piaceri; qualcosa d’altro e di più, qualcosa che ha le sue proprietà intrinseche e le sue leggi proprie: il “sesso”27.

Ed ancora:

[…] la nozione di “sesso” ha permesso di raggruppare in un’unità artificiale elementi anatomici, funzioni biologiche, comportamenti, sensazioni, piaceri, ed ha permesso di far funzionare quest’unità fittizia come principio causale, senso onnipresente, segreto da scoprire dovunque: il sesso ha dunque potuto funzionare come significante unico e come significato universale28.

La sessualità produce il “sesso” come concetto artificiale capace di estendere e mascherare le relazioni di potere responsabili della sua genesi. Il sesso è per Foucault l’elemento più speculativo, più ideale ed anche più interno, in un dispositivo di sessualità, che il potere crei per controllare i corpi, la loro materialità, le loro forze, le loro energie, le loro sensazioni, i loro piaceri. Bisogna liberarsi dall’illusione di un corpo vero oltre la Legge, prima o dopo di essa; è un’illusione la nozione di un Eros liberatore. La sessualità è coestensiva al potere, (da qui la critica genealogica che Foucault rivolge alla teoria lacaniana e a quelle post-lacaniane, che foggiano forme di sessualità culturalmente marginali e inintelligibili e in generale a tutte quelle che rivendicano una sessualità prima o dopo la Legge). Infatti Foucault afferma esplicitamente che: «contro il dispositivo di sessualità, il punto d’appoggio del contrattacco non deve essere il sesso-desiderio, ma i corpi ed i piaceri»29.

Nel suo confronto puntuale con Foucault la Butler può dire che il corpo non è “sessuato” in modo significativo prima della sua determinazione nel discorso, attraverso la quale soltanto viene investito dell’”idea” di un sesso naturale o essenziale; il corpo acquista significato all’interno del discorso solo nel contesto delle relazioni di potere. La costruzione univoca del sesso, (nel senso che ognuno è il proprio sesso e non l’altro), finalizzata alla regolamentazione sociale e al controllo della sessualità, nasconde e unifica artificialmente un insieme di funzioni sessuali diverse e slegate. Il sesso univoco si presenta poi nel discorso come causa, essenza interna che genera e rende intelligibile ogni sensazione, piacere e desiderio come proprio di un determinato sesso. Il sesso costituisce invece l’effetto e non la causa; ne deriva che i piaceri corporei non sono riducibili ad un’essenza specifica del sesso sul piano causale, ma ciò nonostante vengono interpretati come manifestazioni o segni di un determinato sesso.

Secondo la Butler in Storia della sessualità 1 Foucault si pone contro i modelli emancipatori o liberazionisti della sessualità, in quanto essi accettano e confermano un paradigma giuridico che non riconosce la produzione storica del sesso come categoria, come effetto della mistificazione delle relazioni di potere. La filosofa evidenzia e chiarifica il nodo centrale di quello che sembra essere il motivo della posizione critica di Foucault nei confronti del femminismo, ma che invece mi sembra avvicini senza dubbio la Butler a Foucault, allontanandola invece dalle posizioni femministe più tradizionali: l’analisi femminista prende come punto di partenza la categoria del sesso, quindi accetta la disgiunzione binaria dei generi, mentre Foucault concepisce il proprio progetto come un’analisi del modo in cui la categoria del sesso e la differenza sessuale vengono costruite nel discorso come tratti necessari dell’identità corporea. Il modello emancipatore femminista presume che il soggetto dell’emancipazione, che è poi il corpo sessuato, non abbia bisogno di una decostruzione critica. Ma per Foucault essere sessuati vuol dire essere soggetti a una serie di regolamenti sociali, in modo che la legge che indirizza questi ultimi sia presente come principio formativo del proprio sesso, del proprio genere, dei propri piaceri e desideri e come principio ermeneutico dell’interpretazione di sé. Perciò la categoria del sesso è sempre regolativa e qualsiasi analisi la postuli come presuppositiva legittima ed estende acriticamente tale strategia regolativa in quanto regime di potere-conoscenza. Foucault asserisce che la sessualità è inevitabilmente situata all’interno di matrici di potere.

La Butler ritiene che la distinzione sesso/genere e la stessa categoria del sesso presuppongono un corpo che preesista all’acquisizione del suo significato sessuato. In questo contesto il corpo appare essere un mezzo passivo e anteriore al discorso che riceve la propria significazione tramite un’iscrizione da una fonte culturale pensata come esterna al corpo. I precedenti teorici di tale concezione del corpo, che precedono ovviamente anche le biologie vitalistiche dell’’800, sono quelli cristiani e cartesiani, che concepiscono il corpo come materia inerte, priva di significato, più precisamente come una materia significante un vuoto, lo stato della colpa originario, il peccato e tutto l’apparato metaforico premonitorio dell’inferno e dell’eterno femminile. La Butler pensa che anche Sartre e la Beauvoir in molti passi dei loro scritti rappresentino il corpo come «muta fatticità», come anticipatore di un significato che esso può ricevere solo da una coscienza trascendente, intesa come immateriale proprio nel senso cartesiano.

Secondo l’opinione della Butler pure lo strutturalismo presuppone in qualche misura il dualismo cartesiano, laddove la disgiunzione mente/corpo viene riconfigurata come cultura/natura. Anche Foucault, afferma la Butler, nel saggio dedicato al tema della genealogia delinea il corpo come una superficie e una scena d’iscrizione culturale:

il corpo: superficie d’iscrizione degli avvenimenti […] luogo di dissociazione dell’Io (al quale cerca di prestare la chimera di un’unità sostanziale) […] La genealogia, come analisi della provenienza, è dunque all’analisi del corpo e della storia: deve mostrare il corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo30.

Commenta puntualmente la Butler: scopo della genealogia è “mostrare il corpo tutto impresso di storia” e scopo della storia (assimilata qui al concetto freudiano di “civiltà”) è “devastare il corpo”. La storia distrugge le forze e gli impulsi dalle svariate direzioni e allo stesso tempo le conserva tramite l’Entstehung (evento storico) dell’iscrizione.

La storia è inoltre la creazione di valori e significati a opera di una pratica significante che richiede la sottomissione del corpo. Tale distruzione corporea è necessaria per produrre il soggetto parlante e le sue significazioni31.

La storia è intesa da Foucault come essenzialmente repressiva. Egli sottolinea la continuità dell’iscrizione culturale come “opera recitata” che agisce sul corpo. Ma, argomenta la Butler, se la creazione dei valori, che è la modalità storica della significazione, richiede la distruzione del corpo, allora deve esservi un corpo anteriore a quell’iscrizione. In un certo senso per Foucault come per Nietzsche, i valori culturali emergono in seguito ad un’iscrizione sul corpo, visto come mezzo, o meglio come pagina vuota; tale mezzo deve essere distrutto vale a dire transvalutato in una sfera di valori sublimata affinché l’iscrizione significhi. In questo contesto la storia appare come strumento di scrittura e il corpo come mezzo che viene distrutto e trasfigurato affinché la “cultura” emerga. Se permane l’idea di un corpo che preceda la sua iscrizione culturale, se ne inferisce che Foucault ipotizzi una materialità antecedente la forma e la significazione, osserva la Butler.

In conclusione le differenze sessuali sono già il frutto di coercizioni produttive, sono già costruite, e queste coercizioni producono sia l’ambito dei corpi intelligibili sia un ambito di corpi impensabili, abietti32; le opposizioni fanno parte dell’intelliggibilità, ne costituiscono il loro limite, il loro esterno costitutivo.

[…] per rimanere intatta come forma sociale distinta, l’eterosessualità richiede una concezione intelligibile dell’omosessualità e richiede anche la proibizione di quella concezione rendendola culturalmente inintelligibile. Nella psicoanalisi, la bisessualità e l’omosessualità vengono considerate disposizioni libidiche primarie, mentre l’eterosessualità è la laboriosa costruzione basata sulla loro graduale repressione. […] L’”impensabile” è dunque totalmente dentro la cultura, ma totalmente escluso dalla cultura dominante33.

Affermare che il sesso sia costruito e che non esista quindi un sesso prediscorsivo che funga da riferimento stabile dal quale la costruzione del genere possa partire non spiega in che modo la materialità del sesso sia coercitivamente prodotta. La Butler si domanda a questo punto quali siano le coercizioni che materializzano i corpi come “sessuati” e come si debba interpretare la “materia” del sesso e dei corpi in generale, in quanto delimitazione ripetuta e violenta dell’intelligibilità culturale. Detto altrimenti «cosa ne è della materialità del corpo?»


Il genere come stile corporeo

Non bisognerebbe dire che l’anima è un’illusione, o un effetto ideologico. Ma che esiste, che ha una realtà, che viene prodotta in permanenza, intorno, alla superficie, all’interno del corpo, mediante il funzionamento di un potere che si esercita su coloro che vengono puniti – in modo più generale su quelli che vengono sorvegliati, addestrati, corretti, sui pazzi, i bambini, gli scolari, i colonizzati, su quelli che vengono legati ad un apparato di produzione e controllo lungo tutta la loro esistenza34.

Quest’anima, reale e incorporea, di cui parla Foucault non è affatto sostanza: è quell’elemento in cui si articolano gli effetti di un certo tipo di potere e il riferimento di un sapere, o meglio è l’ingranaggio per mezzo del quale le relazioni di potere danno luogo a un sapere possibile, e il sapere a sua volta rinnova e corrobora gli effetti del potere. È su questa realtà-riferimento che sono stati costruiti concetti diversi e ritagliati campi di analisi quali per esempio la psiche, la soggettività, la personalità, la coscienza. Di conseguenza non bisogna credere che all’anima, illusione dei teologi sia stato sostituito un uomo reale, oggetto di sapere, di riflessione filosofica o di intervento tecnico:

L’uomo di cui ci parlano e che siamo invitati a liberare è già in se stesso l’effetto di un assoggettamento ben più profondo di lui. Un’anima lo abita e lo conduce all’esistenza, che è essa stessa un elemento della signoria che il potere esercita sul corpo. L’anima, effetto e strumento di una anatomia politica; l’anima, prigione del corpo.35

Qui la figura dell’anima interiore intesa come dentro il corpo viene significata attraverso l’iscrizione sul corpo. L’effetto di uno spazio interiore strutturato viene prodotto attraverso la significazione di un corpo come recinzione. L’anima è una “significazione superficiale che contesta e disloca la stessa distinzione interiore/esteriore”, essa diviene una figura dello spazio psichico interiore iscritto sul corpo come significazione sociale. L’anima, secondo Foucault, non è imprigionata dal corpo o dentro questo, come vorrebbe il cristianesimo, ma invece «l’anima [è la] prigione del corpo».

La Butler osserva che in Sorvegliare e punire si potrebbe pensare che Foucault cerchi di riscrivere la dottrina dell’interiorizzazione spiegata da Nietzsche in Genealogia della morale conformemente al modello dell’iscrizione, spiegando che:

Tra i prigionieri […] la strategia non è consistita nell’applicare una repressione dei desideri, bensì nel costringere i loro corpi a significare la legge proibitiva come essenza, stile e necessità. Quella legge non viene interiorizzata letteralmente, bensì incorporata, con la conseguenza che vengono prodotti corpi capaci di significare quella legge sul corpo e attraverso di esso; lì la legge è manifesta come essenza dei loro sé, come significato della loro anima, come coscienza, come legge del loro desiderio. In pratica, la legge è insieme del tutto manifesta e del tutto latente, perché non compare mai come esterna ai corpi che assoggetta e soggettivizza.36

Si tratta secondo la Butler della «ridescrizione dei processi intrapsichici nei termini della politica superficiale del corpo», la quale, continua la filosofa:

implica una ridescrizione corollaria del genere come produzione disciplinare delle figure della fantasia attraverso il gioco della presenza e dell’assenza sulla superficie del corpo, la costruzione del corpo di genere mediante una serie di esclusioni e negazioni, di assenze significanti37.

Bisogna ora domandarsi che cosa determini il testo manifesto e latente della politica del corpo. Sappiamo che la differenza sessuale è prevalentemente considerata come determinata dalle differenze materiali, (che afferiscono all’aspetto ormonale o cromosomico o morfologico o costituzionale del corpo), ma la Butler ritiene invece che le differenze sessuali non siano mai semplicemente il risultato di differenze materiali scevre da pratiche discorsive, viceversa queste ultime connotano e foggiano le differenze materiali. Voglio qui però chiarire ed evidenziare che, secondo la Butler, il fatto che le differenze sessuali siano inscindibili dalle distinzioni discorsive non significa che il discorso sia causa della differenza sessuale, perché la categoria del “sesso” è normativa sin dall’inizio: essa costituisce ciò che Foucault definisce un “ideale regolativo”. Di conseguenza “la categoria del sesso non solo funge da norma, ma è già parte di una pratica regolativa, che produce i corpi che controlla”; il sesso è un “ideale regolativo”, che si materializza attraverso l’imposizione di pratiche attentamente regolamentate, detto altrimenti: «[…] il “sesso” è un costrutto ideale che viene materializzato a forza nel tempo»38.

La filosofa spiega che il corpo è il prodotto di un processo attraverso il quale il “sesso” si materializza, materializzazione che è resa possibile dalla ripetizione forzata di norme regolative. Ed aggiunge che la necessità della ripetizione dimostra che i corpi non si adattano mai interamente alle norme che inducono o vogliono indurre la realizzazione della loro materializzazione.

Secondo l’originale posizione della Butler, conformemente all’interpretazione dell’identificazione come fantasia o incorporazione messa in scena, la coerenza viene richiesta, desiderata e idealizzata; tale idealizzazione è effetto di una significazione corporea. Gli atti, i gesti, i desideri messi in scena creano l’illusione che esista un nucleo di genere interiore e organizzatore; tale illusione viene mantenuta sul piano del discorso al fine di regolamentare la sessualità all’interno dei binari obbligatori dell’eterosessualità riproduttiva:

[…] gli atti, i gesti e il desiderio producono l’effetto di un nucleo o sostanza interna, ma lo producono sulla superficie del corpo, attraverso il gioco delle assenze significanti che indicano, senza però mai rivelare, il principio organizzatore dell’identità come causa. Simili atti, gesti e rappresentazioni (interpretati in senso generale) sono performativi nel senso che l’essenza o l’identità che altrimenti pretendono di esprimere sono invenzioni fabbricate e sostenute tramite segni corporei e altri mezzi discorsivi39.

La performatività non consiste in un “atto” singolo né deliberato ma in «una pratica citazionista reiterata» per mezzo della quale il discorso produce gli effetti che esso nomina. La performatività non è neanche una ripetizione di atti che rimangono intatti ed identici a sé mentre vengono ripetuti nel tempo. Un atto è esso stesso «una ripetizione, una sedimentazione e un congelamento del passato che è precluso proprio nel suo essere simile all’atto». La Butler si serve della teoria di Lacan, secondo cui ogni atto deve essere inteso come una ripetizione di ciò che non si può ricordare, dell’irrecuperabile; come pure della teoria di Derrida sulla “ripetibilità”40, la quale implica che ogni atto in sé sia una ricitazione, la citazione di una precedente catena di atti sottintesi in un atto presente, che continuamente svuotano ogni atto “attuale” della sua attualità. Le norme regolative del “sesso” agiscono performativamente per foggiare la materialità dei corpi o meglio per materializzare il sesso dei corpi e la differenza sessuale in onore dell’imperativo eterosessuale.

Naturalmente se il corpo di genere è performativo esso non può in alcun modo possedere uno status ontologico. Ciò che possiede sono i vari atti che ne costituiscono la realtà, anche se la causa del desiderio, del gesto e dell’atto può essere localizzata nel “sé” di colui che recita; i regolamenti politici e le pratiche disciplinari che producono il genere apparentemente coerente non sono visibili, essi vengono dislocati.

Il sesso stesso deve essere inteso nella sua normatività e la materialità del corpo potrà essere pensata solo a partire dalla materializzazione della norma regolativa:

[…] la materialità sarà riconsiderata come effetto del potere, anzi l’effetto più produttivo del potere. Non si potrà, dunque, intendere il genere che in quanto costrutto culturale imposto sulla superficie della materia, identificabile come “il corpo” o il sesso a esso assegnato41.

Il genere è un atto e come in altri drammi sociali rituali, la performance dell’azione del genere deve essere ripetuta. Si tratta di una nuova esperienza di significati già stabiliti nell’ambito sociale; tale ripetizione è la forma ordinaria e ritualizzata della loro legittimazione allo scopo di mantenere il genere all’interno della cornice binaria. Tale fine non può essere attribuito al soggetto ma piuttosto lo fonda e lo consolida. L’identità di genere è una stilizzazione ripetuta di atti nel tempo. Si deve allora considerare, secondo il punto di vista della Butler il genere come stile corporeo, come un “atto” diremo che è ad un tempo intenzionale e performativo, laddove performativo sta ad indicare una costruzione drammatica e contingente di significato. In termini sartriani la Butler definisce l’“atto” come “uno stile d’essere” e interpretando la Beauvoir definisce i corpi di genere come “stili della carne”.

La Butler sostiene che la materialità del corpo non possa essere intesa a prescindere dalla materializzazione della norma regolativa. Il sesso non è ciò che si ha o ciò che si è in modo statico, ma una delle norme attraverso le quali il soggetto diviene possibile; tale norma qualifica il corpo all’interno del campo della intelligibilità culturale. Il soggetto si appropria di una norma corporea o meglio sarebbe dire la subisce per giungere ad un soggetto, ad un “io” parlante, che si forma nel processo di assunzione di un sesso.

Il corpo non è un “essere”, ma una superficie variabile, la cui permeabilità viene regolamentata politicamente. La Butler conclude:

Se la verità interiore del genere è un’invenzione e se il vero genere è una fantasia istituita e iscritta sulla superficie dei corpi, sembra che i generi non possano essere veri né falsi, ma che vengano soltanto prodotti come effetti di verità di un discorso di identità primaria e stabile42



Note con rimando automatico al testo

1 Questo termine ha una valenza semantica assai complessa e risulta perciò intraducibile nella lingua italiana. Il termine inglese deriva dal tedesco quer, che significa “di traverso”, “diagonalmente”. Già nell’inglese del sedicesimo secolo stava ad indicare qualcosa di “strano”, “obliquo”, “eccentrico” per poi comprendere nella lingua moderna anche i significati di “deviante”, “incomprensibile”, “imprevedibile. Successivamente quest’aggettivo è passato dall’indicare una degenerazione a connotare un nuovo insieme di significati positivi, è stato “rifunzionalizzato” (in senso brechtiano), divenendo oggetto di una risignificazione positiva. La sfera del queer può così annoverare al suo interno tutti coloro che praticano una sessualità non ortodossa rispetto a quella eterosessuale paradigmatica e normativa.

2 Il post-strutturalismo radicalizza e supera la prospettiva strutturalista, spingendo alle estreme conseguenze i concetti e le modalità propri dello strutturalismo e forzandoli in direzione decostruzionista e costruttivista. I pensatori del post-strutturalismo, pur non costituendo una scuola, si caratterizzano per il rifiuto di attribuire al cogito cartesiano, al soggetto o all’uomo qualsiasi privilegio gnoseologico o assiologico. Essi promuovono un’analisi delle forme simboliche e del linguaggio in quanto costitutive della soggettività piuttosto che costituite da questa. Propria dell’approccio post-strutturalista è la ripresa di motivi nietzscheani come la critica della coscienza e del negativo (Deleuze) e il progetto genealogico (Foucault).

Post-strutturalisti saranno i referenti teorici scelti dalla Butler al fine di argomentare e difendere le sue posizioni teoriche, tra questi Jacques Derrida in campo filosofico, Michel Foucault in campo politico e sociologico e Jacques Lacan in campo psicoanalitico.

3 Il titolo originale è Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, è stato pubblicato nel 1990.

4 Il titolo originale è Bodies that Matter: On the Discursive Limits of “Sex”, è stato pubblicato nel 1993.

5 Judith Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Sansoni, 2004, Milano, pp. XXII-XXIII.

6 Ivi, p. XXVII.

7 Ibidem, p. XXVII.

8 Ivi, p. 23.

9 Ivi, p. 25.

10 Poiché il concetto di performatività è fondamentale per comprendere il pensiero della Butler, vorrei accennare sin da ora al suo significato. Vengono definiti “atti discorsivi performativi” quegli atti discorsivi che fanno materialmente esistere ciò che essi nominano. La stessa Butler sostiene che la performatività sia da intendere come “quell’aspetto del discorso che ha la capacità di produrre ciò che nomina”; ma ella fa ancora un passo avanti e, ricorrendo alla riscrizione che Austin fa di Derrida, suggerisce che questa produzione avviene attraverso un certo tipo di ripezione e recitazione. In altre parole, secondo la Butler la “performatività è il veicolo attraverso il quale vengono fondati degli effetti ontologici”, ed è “il modo discorsivo attraverso il quale gli effetti ontologici vengono installati” vale a dire posti in essere.

Mi sembra qui importante segnalare che la Butler compie una revisione della teoria formulata dal linguista e filosofo inglese John Langshaw Austin in Speech Act Theory. Di questo autore vorrei ricordare in questo contesto anche How to do Things with Words.

11 Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1992, p. 34.

12 Butler , Scambi di genere, p. 33.

13 Claude Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano 1972, pp. 113-114

14 Ivi, p. 75.

15 Preferisco non tradurre il termine inglese agency usato dalla Butler, perché esso rimanda ad una polisemia semantica non traducibile in italiano. Tale termine implica allo stesso tempo il concetto di azione, di auto-posizionamento del soggetto agente, di assunzione di responsabilità anche in senso etico-politico rispetto all’azione stessa. Nel lessico politico post-strutturalista agency rimanda soprattutto a un’idea di azione non direttamente riconducibile a un soggetto agente, consapevole e responsabile, ma ad una modalità di agire che mette in crisi la nozione stessa di soggettività, slegando l’azione da un soggetto sovrano in grado di controllare ogni effetto. Agency nel senso prediletto dalla Butler rimanda ad una nozione impersonale o culturalmente costruita di agire, non immediatamente, o esclusivamente, imputabile ad un unico soggetto.

16 Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, p. 614

17 Ivi, p.615.

18 Nel Saggio sul dono Mauss mostra che nelle società primitive lo scambio non si presenta tanto sotto la forma di transazioni quanto sotto la forma di doni reciproci e che questa forma primitiva degli scambi non ha un carattere esclusivamente ed essenzialmente economico, ma si tratta di “un fatto sociale totale”. Esso incarna allo stesso tempo un significato sociale e religioso, magico ed economico, utilitario e sentimentale, giuridico e morale.

19 Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela, p. 616.

20 Lacan Jacques, La significazione del fallo: die Bedeutung des Phallus, in Scritti II, Einaudi, Torino 2002, p. 687.

21 Ivi, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, p. 829.

22 J. Butler , Scambi di genere, cit., p. 80.

23 Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino 1985.

24 Herbert Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi 2001.

25 Michel Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Feltrinelli, Milano 2008, p. 82.

26 Ivi, p. 87.

27 Ivi, p. 135-136.

28 Ivi, p. 137.

29 Ivi, p. 140.

30 Michel Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere. Interventi politici. Nuovo Politecnico Einaudi, Torino 1977, p. 37.

31 J. Butler , Scambi di genere, p. 183.

32 Questo aggettivo deriva dal latino ab-iacere, che significa scartare, gettare via, scacciare. Il termine abiezione presuppone e produce un ambito di azione dal quale differisce.

33 J. Butler , Scambi di genere, p. 108.

34 Michel Foucault, Sorvegliare e punire: la nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976, p. 33.

35 Ivi, p. 33.

36 J. Butler , Scambi di genere, p. 189.

37 Ivi, p. 190.

38 J. Butler, Corpi che contano, cit., p. 1.

39 J. Butler, Scambi di genere, p. 191.

40 Essa fu formulata in risposta alla teorizzazione degli atti linguistici elaborata da John Searle e J. L. Austin.

41 J. Butler, Corpi che contano, p. 2.

42 J. Butler, Scambi di genere, p. 191.



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