sotto giudizio
DISVELAMENTI


Alain e il giudizio. La libertà deriva dal pensiero

di Federica Negri

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cfr. i testi di Alain in traduzione italiana


Il giudicare non è sempre sinonimo di arrogante separazione, ma spesso rimane l’unico atto in grado di tutelare la libertà del pensiero. Se è vero che il giudizio, o meglio il pregiudizio, può creare un problema, può cioè vincolare l’uomo ad una dimensione di ridotta capacità conoscitiva e pregiudicarne, in definitiva, la libertà; tuttavia, quando il giudizio è frutto del pensiero, esso coincide con la vera libertà.

Questo è sempre stato il profondo convincimento di Alain.

Pensare. Pensare significa pesare ciò che ci succede, sospendere il proprio giudizio, controllarsi e non compiacersi. Pensare significa passare da un’idea a tutto ciò che le si oppone, in modo da accordare tutti i pensieri con quello attuale. Perciò, è un rifiuto del pensiero spontaneo e, in fondo, un rifiuto della natura che, in effetti, non è il giudice dei pensieri. Pensare quindi significa giudicare che non tutto per noi va bene così come ci si presenta; è un lungo lavoro e una pace preliminare.1

Per Alain – pseudonimo di Emile-Auguste Chartier (1868 - 1951)2 - il primo indispensabile passo per la libertà, soprattutto nel campo della politica, consiste nel conservare la capacità di giudizio, ossia la capacità e la voglia di rinnovare lo sforzo del pensiero. Il giudizio assicura la creazione e il mantenimento di una zona di respiro, di una pausa che permette e alimenta il pensiero.

Prima di presentare brevemente i brani del nostro filosofo, vista la scarsa conoscenza in Italia, ritengo indispensabile ricordare brevemente alcuni elementi biografici, che possono essere utili per comprendere anche il senso dei testi proposti, oltre a un piccolo abbozzo delle linee fondamentali della sua speculazione.

Il filosofo francese Alain rappresenta una personalità difficilmente classificabile all’interno di scuole o correnti di pensiero; infatti, non è possibile ricondurlo in maniera certa a qualche scuola o corrente, poiché egli non si è mai curato né della corrispondenza “filologica” con i filosofi del passato, né tantomeno di allinearsi con qualche posizione accademica. Il suo unico interesse è sempre stato quello di fare filosofia con i prodotti dell’attività umana: l’arte, la letteratura, l’architettura, oltre alle pietre miliari della produzione del pensiero occidentale, sono tutte eccezionali occasioni di pensiero. Proprio questa sua “disinvoltura” nella scelta delle fonti più diverse, giudicate poco “accademiche”, ha reso Alain inviso agli studiosi di filosofia che lo hanno definito, in modo sprezzante, un “letterato” piuttosto che un filosofo.

Nonostante l’avversione di una fetta dell’ambiente intellettuale francese, Alain ha influito in maniera determinante su un’intera generazione di filosofi, come Simone Weil, prima di tutto, ma anche Maurice Merleau-Ponty e Jean-Paul Sartre, che non hanno potuto esimersi dal confronto con la sua particolare concezione dell’immaginazione. Oltre a questi, si possono ricordare, Julien Gracq, Georges Canguilhem, Mikel Dufrenne, Raymond Aron.

Per tutti, Alain rimane comunque legato in maniera indissolubile ad un momento determinante della loro maturazione intellettuale, spesso al momento in cui si riconosce nella filosofia la propria strada.

Dovendo invece indicare una fonte di ispirazione del pensiero alainiano, si può sicuramente ricordare Jules Lagneau3, di cui Alain fu allievo e forse unico “erede” per quanto riguarda la centralità attribuita alla problematica della percezione. Neppure tale legame, tuttavia, pur essendo il più diretto, lo ha mai obbligato a ripercorrere supinamente il percorso filosofico del suo maestro, dal quale si discosta in maniera netta soprattutto per l’impostazione decisamente laica e agnostica.


Il modo migliore per accostarsi alla filosofia di Alain è quello di affrontare direttamente la lettura della sua vasta produzione, che lo rappresenta e ne racconta la storia in modo esemplare. Alain conserva sempre una totale autonomia di pensiero grazie alla quale riesce a “metabolizzare” ogni problematica, senza mai avere il timore di convivere con il paradosso e la contraddizione. Alain non è uno storico della filosofia, anzi è sua convinzione che la filosofia non abbia storia, nel senso che sia sostanzialmente uguale, perchè deve essere al servizio di chi non è mai sostanzialmente cambiato, l’uomo.

La filosofia di Alain tenta di riportare alla luce tutto ciò che riguarda un uomo fatto di carne e ossa, di materia e spirito, e non certo un’idea astratta. L’uomo deve essere aiutato a vivere pienamente in questo mondo, mostrandogli la possibilità reale di affrontare la resistenza con cui si viene a scontrare ogni giorno. L’uomo esiste proprio perchè sente una resistenza attorno a sé, una difficoltà nel vivere, una forza che tenta di schiacciarlo. L’uomo di Alain sfugge al sistema filosofico e se ne beffa quotidianamente, vivendo; e non si “riduce” mai a ciò che la filosofia vorrebbe dire di lui, sfugge impercettibilmente alle sottili maglie della definizione metafisica. Alain è un pensatore che abbandona il sistema per tuffarsi nell’esistenza, colmando il vuoto tra l’uno e l’altro mediante l’azione del pensare l’esistenza in tutte le sue manifestazioni, e, per questo motivo, tutto è occasione di filosofia. Pur essendo essenzialmente contrario ad una speculazione sistematica, Alain non annulla la coerenza della sua filosofia, ma la rende anzi ancora più solida proprio perchè non lega alla sterile metafisica ma alla vita reale.


La scelta dello pseudonimo.  Per comprendere pienamente la personalità filosofica di Alain è fondamentale comprendere i motivi che si nascondono dietro alla scelta di scrivere sotto pseudonimo. Per quale motivo, dunque, Alain sceglie di scrivere sotto pseudonimo? E perchè sceglie proprio quel particolare pseudonimo? Prima di tutto, questa scelta deriva dalla necessità di sfuggire al controllo uniformante di un certo ambiente accademico, si tratta quindi di un vero atto di ribellione nei confronti di un tipo di cultura sostenitrice dei manuali e dei sistemi, tutti strumenti che Alain considera, da sempre, intellettualmente mortiferi, capaci solo di riproporre infinitamente forme vuote di pensiero. La sua ribellione è indirizzata contro una cultura legata strutturalmente al potere, al quale lui non vorrà mai sottomettersi: la scelta dello pseudonimo è quindi il primo passo nella lotta contro i poteri4.

Inoltre, lo pseudonimo è uno stratagemma per evitare di divenire egli stesso superbo e arrogante, per non perdere mai il senso del limite e per ricordarsi sempre che lui è, prima di tutto, un uomo comune. Alain, infatti, è uno dei nomi più diffusi in Normandia, è il “nome comune” per eccellenza, che non segnala alcuna personalità bizzarra o fuori dal comune.

Non bisogna però pensare che Alain sia per questo un qualunquista, perchè nulla è più lontano da lui del pensiero privo di senso critico. Alain tenta, in realtà, di portare a termine un compito ben più arduo, quello di far vedere come la filosofia non sia un territorio alieno e inarrivabile, ma sia l’espressione di una facoltà prettamente umana, quella del pensare.

Alain non è il solo pseudonimo usato dal filosofo, egli aveva infatti dato inizio alla propria collaborazione con la Revue de métaphysique et de morale, agli inizi del Novecento, usando il nome di Criton, con evidente riferimento alla filosofia platonica. Alain, all’epoca ancora Emile Chartier, aveva posto come clausola alla propria collaborazione con la rivista proprio l’assicurazione di poter firmare sotto falso nome i propri articoli, dei dialoghi di stampo platonico, considerati l’unico strumento in grado di opporsi in modo proficuo ai sistemi chiusi ed opprimenti della filosofia da manuale, che erano all’epoca gli unici esempi di filosofia ufficiale. Alain/Criton si compiace di questo gioco di pseudonimi, che gli permette di nascondersi agli occhi dei più e di essere, quindi, più libero di poter dire, senza preoccuparsi delle reazioni.

Criton, in fin dei conti, può scrivere ciò che gli piace, può provocare o dedicarsi alla soluzione di problemi comuni al panorama filosofico, con la più assoluta libertà, senza badare alle conseguenze, può azzardare soluzioni paradossali senza preoccuparsi di nascondersi.

Anche per motivazioni storiche, il bersaglio teorico preferito delle prime dissertazioni alainiane è l’idealismo, che appare al filosofo svuotato di senso nel momento in cui non tiene più di fronte a sé l’oggetto, e si perde nella vuota metafisica, sterile e distante.


Il propos come misura del pensiero.  Questa critica all’idealismo rimane, in realtà, lo sfondo costante della sua filosofia, che assume – come tratto caratteristico – proprio uno stile di scrittura che significa la distanza della sua filosofia, il propos.

Il propos è una misura perfetta per il pensiero di Alain, si tratta di una corta dissertazione che rimane concentrata su un oggetto specifico, con uno stile ricco di immagini, che hanno quasi più importanza del filo logico. Proprio questa centralità dell’immagine come strumento essenziale del pensiero, rende il propos il degno erede del dialogo platonico. L’immagine aiuta a riproporre nella sua pienezza l’idea, lì dove è più vera, ossia nel momento in cui è imprescindibilmente legata alla propria espressione materiale e allo sforzo del soggetto per coglierla. Il primo passo del pensiero è sempre quello di accogliere l’immagine, come una conoscenza che proviene dal nostro corpo, fulcro del nostro essere al mondo, e poi è necessario dubitare, sforzandosi quasi fisicamente di non cedere all’abitudine illusoria.

Tutto lo sforzo che avvertiamo nell’esercizio del pensiero deriva dal doppio limite: da una parte, il nostro corpo, che ci porta spontaneamente in una direzione di assestamento abitudinario, e dall’altra, il mondo, che resiste alla nostra pretesa di riduzione a schema. In questo senso, la filosofia è proprio una disposizione dell’animo che ci mette in guardia, il suo difetto è la propensione a disprezzare e una predilezione per il dubbio.

Pensare significa, per Alain, acquisire tramite un esercizio, ossia uno sforzo su se stessi, una moralità intesa come abitudine a una buona “pulizia” dello spirito, una estrema coerenza che implica sempre un cambiamento della realtà. La realtà e noi costituiamo un mondo unico e, perciò, si esiste solamente cambiando ciò che ci circonda.

Si capisce quindi quanto sia essenziale la dimensione politica dell’essere umano che è la prima vera rappresentazione del rapporto soggetto/oggetto. Il pensiero si esprime attraverso un giudizio, che ci permette di rimanere vigili, distanti e dubitanti. Restare svegli, questo è lo scopo del pensiero. La filosofia deve aiutare l’uomo ad acquisire armi per giudicare, per aiutare a divenire cittadini responsabili.

Il più grosso problema della politica si nasconde nell’impossibilità di portare a diretta espressione la democrazia, essendo sempre necessaria la rappresentanza. Nel momento in cui ci si affida a dei rappresentanti, automaticamente dobbiamo pensare che il nostro compito diviene quello della sorveglianza. Il cittadino deve essere costituzionalmente contro i poteri; per vivere in democrazia, egli deve diffidare della buona fede del potere, proprio perchè conosce la sua vera natura, che è quella di uniformare e uccidere il pensiero.

Ogni società tende a trasformarsi in un grosso animale, che per rimanere compatto e funzionante elimina ogni individuo che esprima un giudizio, che alimenti un pensiero dissonante. L’individuo si uniforma per paura di rimanere isolato, di non avere più la propria identità che appare imprescindibilmente legata all’approvazione della collettività. Il legame della dimensione collettiva, per Alain, ha origine nella paura e nel bisogno di riconoscersi in un gruppo, in maniera simile a quanto pensava anche Nietzsche, autore tuttavia non amato dal filosofo francese.

Dice Alain che il potere regna per la paura, non tanto perchè ispira la paura ma, prima di tutto, perchè guarisce dalla paura. La dimensione collettiva, che domina anche nei partiti, tenta in ogni modo di scoraggiare il giudizio poiché questo è in grado di scalfire la perfetta superficie della costruzione idolatrica.

Solo l’individuo pensa, mentre ogni assemblea è essenzialmente stupida, dice Alain, e così ripeterà non molto diversamente anche la sua allieva più illustre, Simone Weil, a proposito dei partiti politici5. Ecco perchè è necessario “pensare soli e spingere insieme”.

Questa breve introduzione al pensiero di Alain, era necessaria per capire il senso dei brani proposti e, soprattutto, della loro proposta di giudizio come sinonimo di filosofia autentica. Il valore della proposta alainiana non consiste certamente nell’originalità del pensiero, m nella coerenza estrema della sua proposta filosofica. Egli ha sempre cercato di vivere come cittadino vigile, contro il potere, attento a preservare il pensiero sempre e comunque, proponendo sempre, in ogni contesto – come insegnante liceale o personaggio pubblico o saggista – occasioni di riflessione.

I brevi testi che presentiamo riguardano l’ambito politico, nel senso che sono dedicati a quelle che – per Alain – costituiscono le premesse ineliminabili della capacità politica del cittadino, ossia il pensare e il giudicare.

Il primo testo, I mercanti del sonno, è un discorso rivolto ai propri allievi del liceo, in occasione del diploma finale nel 19046. L’augurio che Alain indirizza ai suoi ragazzi è quello di esercitarsi a percepire il mondo per essere giusti. Il maggior pericolo non è mai costituito dall’incertezza nel futuro, del lavoro o dallo studio sempre più complesso; per Alain, ciò che deve preoccupare è la possibilità che i ragazzi non trovino in se stessi la forza di pensare, la voglia di non accontentarsi dei bei sogni “spacciati” dai venditori di sonno, che sicuramente li attendono nella vita.

Alcuni vendono un sonno pieno di meravigliosi sogni: sogni fantasiosi, ben preparati, un passato senza rimorso e un avvenire senza minacce, sogni dove tutto si sistema, come in una pièce teatrale ben scritta. In vendita ci sono anche dei meravigliosi sogni di giustizia e gioia universale. I più abili vendono un sonno in cui i sogni sono proprio il mondo. Per quale motivo quindi svegliarsi? Il mondo non aggiungerà nulla al mondo.

La difficoltà più grande è determinata dalla costitutiva incertezza del pensiero, dal continuo tentennare del giudizio che non può avere punti di riferimento intoccabili. Alain insegna però a cogliere la bellezza di questa mancanza di fondamento, di un sistema stabile, dato che equivale in realtà alla nostra libertà. Spesso, dice Alain, neppure i filosofi di professione, gli “accademici”, possono dirci molto, perché anche loro si accontentano di spiegazioni assolute, che non hanno più alcuna inerenza con il mondo; non hanno coraggio di sforzarsi di pensare e ricercano il comodo conforto dell’ordine. Alain li descrive in modo molto divertente, come dei bachi da seta soffocati dalla loro meravigliosa tessitura, dei bozzoli vuoti e ciechi.

Quale elemento determina la vera svolta? Solo l’attenzione al reale, il rimanere costantemente ancorati alla terra nello sforzo di pensare il mondo. Il giudizio ci separa dal mondo e così ci aiuta a non essere abbattuti e travolti dalla compattezza del mondo così come ci si presenta. Il giudizio esprime la nostra prima istanza di libertà e indipendenza nel proclamare il nostro dissenso e la nostra volontà di indagare il reale.

Il secondo brano dal titolo Il culto della ragione come fondamento della Repubblica, è un discorso pubblico pronunciato da Alain nel 1901, nel quale ritroviamo molti dei ragionamenti fondamentali riguardo alla necessità di giudicare tramite la ragione per non lasciare che ogni repubblica scivoli implacabilmente e silenziosamente verso la tirannia.

Infine, un piccolo “assaggio” dei propos di Alain, di argomento esplicitamente politico, che possono servire a comprendere la modalità e lo stile di ragionamento tipico del filosofo, nei quali il pensare bene va di pari passo con lo scrivere bene.




Note con rimando automatico al testo

1 Alain, Les arts et les dieux, a cura di A. Bridoux, Gallimard, Paris 1958, p. 1078

2 Emile-Auguste Chartier (Mortagne-au-Perche 1968 – Le Vésinet 1951), per notizie biografiche cfr.: A. Sernin, Alain. Un sage dans la cité, Paris 1985; M. Savin, Elèments pour une biographie et une bibliographie, in Alain, Propos, I, Gallimard, Paris 1956, pp. XXI-XLI; G. Pascal, voce Alain, in Dictionnaire des philosophes, a cura di D. Huisman, Paris 1989; G. Flores D’Arcais, voce Alain, in Enciclopedia filosofica, vol. I, Firenze 1967, p. 145; J. Chevalier – J. F. Mattei – G. Pascal – R. Sorel, voce Alain, in Encyclopédie philosophique universelle, vol. II, Paris 1988, pp. 2200-2204. I testi fondamentali di Alain sono apparsi negli anni nella collana « Bibliothèque de la Pléiade » di Gallimard: Propos, I, a cura di M. Savin, pref. A. Maurois, Gallimard, Paris 1956; Propos, II, a cura di S. S. de Sacy, Gallimard, Paris 1970; Les art et les dieux, a cura di A. Bridoux, Gallimard, Paris 1958; Les passions et la sagesse, a cura di G. Benézé, Gallimard, Paris 1960.

3 Di Jules Lagneau (1851-1894) si ha solo uno scritto autografo che concerne la fondazione di un’associazione, l’Union pour l’action morale (1892), scritto in collaborazione con Paul Desjardin. L’unica testimonianza del suo pensiero è costituita da un libro, uscito postumo, composto sulla base degli appunti dei suoi ex- allievi ( J. Lagneau, Célèbres leçons et fragments, Paris 1964). Figura abbastanza oscura, di lui abbiamo un ricordo molto vivo negli scritti dello stesso Alain, Histoire de mes pensées in Id., Les arts et les dieux, cit. e Souvenirs concernant Jules Lagneau in Id., Les passions et la sagesse, cit.; oltre a questo: G. Monod, Pensée et action chez Jules Lagneau, in «Revue de méthaphysique et de morale», 60 (1952), pp. 117-148; A. Canivez, Méthode et philosophie chez J. Lagneau, ivi, pp. 149-169.

4 Cfr. E. Baglioni, La lotta contro i poteri. Il radicalismo di Alain, Franco Angeli, Milano 1988.

5 “Il fine di un partito politico è cosa vaga e irreale. Se fosse reale, esigerebbe un enorme sforzo di attenzione, in quanto una concezione del bene pubblico non è cosa facile da elaborare. L’esistenza del partito è palpabile, evidente, e non esige alcuno sforzo per essere riconosciuta. È inevitabile, così, che in realtà il partito sia esso stesso il suo proprio fine. C’è quindi idolatria. […] Il passaggio è facile. Si pone come assioma che la condizione necessaria e sufficiente perché il partito serva efficacemente la concezione del bene pubblico, in vista del quale esiste, è che possieda una grande quantità di potere. Ma in realtà nessuna quantità finita di potere potrà mai essere considerata come sufficiente, soprattutto una volta che la si sia ottenuta. Il partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato di impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. […] Così la tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre. È precisamente perché la concezione del bene pubblico propria a uno o all’altro partito è una finzione, una cosa vuota, reale, che essa impone la ricerca della potenza totale. Qualunque realtà implica, di per se stessa, un limite. Solo ciò che non esiste del tutto non è mai limitabile.” S. Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi, Roma 2008, pp. 34-35.

6 Ora in Alain, Vigiles de l’esprit, Gallimard, Paris 1942, pp. 7-18.

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