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Francis Bacon, Oedipus and the Sphinx after Ingres, 1978

 

 

 

Lettera sulle deportazioni (*)
(a Pierre Bousquet)(1)

di Antonin Artaud

 

Rodez, (2) 16 maggio 1946

Essendo stato deportato dall'Irlanda, internato a Le Havre, trasferito da Le Havre a Rouen, da Rouen al manicomio Sainte-Anne a Parigi, dal manicomio di Sainte-Anne a quello di Ville-Évrard, dal manicomio di Ville-Évrard a quello di Rodez, (3) conosco le deportazioni, poiché la medicina si conosce attraverso i dolori e per curare i dolori bisogna averli sofferti, e non mi sarei azzardato a parlare della Sua deportazione in Germania nel 1942, anche se è stato Lei stesso a chiedermelo, se le circostanze non avessero posto anche me in stato di deportazione. Effettivamente, essere deportato è un fatto ed una condizione che non affronterò dal punto di vista medico o scientifico, perché odio tanto la medicina, quanto la scienza, ma della quale posso parlarLe come qualcuno che ne abbia lungamente e oserei dire: meticolosamente sofferto.

Meticolosamente vuol dire che mi sono visto obbligato, come Lei, a non perdermi nulla dei tormenti della mia deportazione, perché deportato, mi sono inoltre visto internato, ed ho avuto, in effetti, molto tempo in anni di celle e pagliericci, accovacciato sui pagliericci nelle celle, di pensare alla mia condizione di sradicato e di esiliato. (4) Infine, caro signor Pierre Bousquet, noi abbiamo un corpo: a tutti è stato dato un padre, e una madre, data, voglio dire attribuita, ma in realtà non ce ne ricordiamo affatto. I ricordi del bambino cominciano verso i 18 mesi o i 2 anni, in generale, e prima non sappiamo affatto dove ci trovavamo. - In me, i primi ricordi ufficiali cominciano a 18 mesi, prima se dicessi dove mi trovavo e che lo ricordo, mi si tratterebbe ancora da pazzo, poiché i miei ricordi personali non concorderebbero con quelli del mio stato civile, perché i bambini costruiti dalla società, non sono quelli che fa la natura. (5) Andiamo avanti. Dunque anche Lei, signor Pierre Bousquet, ha sempre creduto di chiamarsi Pierre Bousquet ed è allora che Pierre Bousquet e per il fatto che lei si chiamava Pierre Bousquet, uscito dal nulla, in Francia, in una famiglia di francesi, essendo la Francia stata in guerra ed avendo perso, Lei si è trovato obbligato, un certo giorno, a sottomettersi senza protestare ad un provvedimento di deportazione preso contro tutti i giovani della sua età dopo la fine dell'ultima guerra, sotto lo schifoso governo di Vichy. (6) - Lei non c'entrava nulla coi battibecchi tra Daladier (7) e Hitler, ma colui che La ha messa nella situazione di essere deportato prima di essere silurato come un imboscato, il suo successore Pierre Laval, (8) si incaricò di legarLe le mani alle esigenze del vincitore. Anche voi, tutti voi, siete dunque stati vinti, ma no, no, eravate troppo giovani, e fu necessario pagare il prezzo al posto della fuga dei soldati francesi che preferirebbero farsi rompere il culo piuttosto che combattere come il sacrosanto dovere li obbliga. - Ma forse avevano pensato che non fosse più loro dovere combattere, viste le condizioni in cui il governo Daladier li aveva acconciati per il massacro.

Qualsiasi cosa sia successa, un bel giorno Lei si è visto strappato dal Suo domicilio non dalla forza della tempesta, del mistral, dei tornado, della burrasca, di un temporale elettrico o dei venti, ma da quella specie di forza senza nome, che non ebbe mai altro volto che quello, meschino, degli indifferenti che La rappresentano e non marciano se non perché sono stati comandati o salariati per farlo, e non viene, questa forza, che dalla decisione unilaterale di un certo numero di borseggiatori che rappresentano il governo, la polizia, l'amministrazione, e nel Suo caso l'inadempienza dell'esercito.

- Essere violentemente cacciati dal proprio Paese, per essere trapiantati in un altro come si fa con una pianta per prevenirne una carie è spaventoso, ed è spaventoso essere brutalmente, e dietro un ordine, improvvisamente spaesati. (9) Come un subacqueo che perdesse l'asse del paesaggio e nel paesaggio un brandello del proprio corpo, come se improvvisamente vedesse il proprio corpo passare come il cerchio di un caleidoscopio che ruota. È un'immagine, una metafora, ma che traduce una mostruosa e insultante realtà. Il fatto è che non siamo padroni dei nostri corpi. - I nostri padre-madre ne disposero per la scuola, quando l'amministrazione non ne dispone per i riformatori o gli istituti di rieducazione, e la società per le prigioni e per i manicomi, poi la società ne dispone per la visita di leva, i preti per il "viatico" e l'estrema unzione del feretro; e la società ne dispone per la guerra, mentre se ne resta nelle retrovie per trafficare al mercato nero. (10) E il governo di Vichy vende chissà quante volte per trenta denari chissà quante migliaia di corpi di giovani, per servire da servi in un paese straniero.

- Ma l'aspetto orribile della faccenda, signor Pierre Bousquet, non è per me nel trapianto, e non è neppure nel fatto di non essere padroni di sé, è, piuttosto, nell'insolito potere di questa cosa senza nome che in superficie, ma solo in superficie, si chiama società, governo, polizia, amministrazione e contro la quale non è servito a nulla, nella storia, neppure ricorrere alla forza delle rivoluzioni. Perché le rivoluzioni sono scomparse, ma la società, il governo, la polizia, l'amministrazione, le scuole, voglio dire le trasmissioni e i contagi di credenze attraverso i totem dell'insegnamento sono sempre rimasti in piedi. E potremmo anche credere che non ci sia nulla da fare.

Il giorno della Sua deportazione in Germania, nel mezzo di quella piccola angoscia che coglie per il solo fatto di essere condotto non si sa dove, e trasportato fuori di casa, Lei si è trovato inquadrato. Passato, si potrebbe dire, di mano in mano, da parte di uomini che, per quanto in quel momento toccava loro, rappresentavano quell'indefinibile potere.

Che la polizia venga a sedersi davanti a Lei in un caffè come è stato fatto con me, o che gente pagata dal governo Le fissi un appuntamento un certo giorno, se non un certo mattino, ad una certa ora, ed in un certo posto, per portarla via con sé in Germania, è una di queste obbligazioni immorali, una di queste costrizioni, di questi tranquillanti oppressivi e coercitivi contro i quali non c'è nulla da fare.

E possiamo domandarci da dove viene tutto ciò?

Tutto, in primo piano, passa per così dire alla buona e dapprima non si viene picchiati. - Per quanto abietta sia la misura presa contro di lui, colui che si sottomette fiaccamente e docilmente può sperare per prima cosa in una specie di commutazione della pena e che la pena, come un commutatore di elettricità ritorto sulle tenebre dell'odio, cambi, proprio grazie alla sua disponibilità. C'è anche da considerare che i violentati eludono lo spirito dello stupro offrendosi con gli arti aperti alla brama dei violentatori. E non c'è nella deportazione una violenza, un'entrata per effrazione lenta (lenta all'inizio) di un'orda di corpi estranei nel vostro, dapprima quelli della polizia traditrice i quali vi spediscono all'estero, quelli di tutte le popolazioni del mercato nero che vi conducono e vi respingono all'estero, e all'estero infine, in principio i corpi degli uomini stranieri.

Mi sono sempre domandato che cosa provoca nella storia la sottomissione di noi individui a questa specie di coercizione disarmata, che cosa fa in modo che, quando l'apparato sociale, amministrativo o poliziesco si muove, non pensiamo per prima cosa a protestare. - Ci sono qua e là delle rivolte, certamente, ma sempre il vecchio ordinamento ritorna come se fosse sottinteso che la rivolta non ha altro fine che quello di un riassestamento dell'ordine, mentre è l'ordinamento stesso: la società che deve andarsene perché le persone possano vivere in pace. La società ha contro di noi la forza, beninteso, ma da dove le viene se non dalla nostra adesione alla forza della società, e questo non è un fatto, è un'idea. - È una semplice, falsa idea dei nostri corpi che da così tanto tempo ci opprime, e che cosa aspettiamo a farla saltare? (11)

Lei è stato dunque condotto con la forza in Germania. - Si è trovato costretto ad entrare in un convoglio di giovani francesi deportati, e il suo corpo che usciva di casa, andava nelle librerie, alle esposizioni di pittura, nei teatri, nei cinema, nei caffè, che andava a pranzo o a cena dagli amici, che andava per biblioteche o musei, che comprava liberamente gli abiti che gli piacevano, si faceva tagliare i capelli dal parrucchiere secondo il taglio che preferiva, e sceglieva la lozione migliore (questa è l'aria della libertà), questo corpo, dice, si è trovato vestito da macchinista, è stato messo su un treno, e non c'erano più tagli o shampoo, né completi ben ripassati, né camicie pulite ogni giorno (La capisco, poiché la camicia che ho avuto per sei anni d'internamento è quella che mi venne donata dalla signora Régis su ordine del dottor Ferdière. Una camicia borghese con un collo e una cravatta, perché il dottor Ferdière non voleva che fossi vestito come un internato).

Lei, come camicia e come completo, non ha avuto più altro che un bombardamento di braci, passando i giorni ad infornare carbone a palate nel ventre di una meccanica che avrebbe preferito si facesse timbrare altrove.

E alla sofferenza della deportazione si mescolava in Lei la sofferenza dell'esilio.

C'è nell'esilio un maleficio, quello di questo spirito estraneo che schiaccia notte e giorno un uomo e gli domanda di trasudare la propria coscienza nel suo senso. (12) - Mi ha detto di non essere stato percosso. - Poiché non si percuotono che i recalcitranti, non è il metodo o la maniera, voglio dire il procedimento segreto, il comportamento profondo dell'oppressore dinanzi all'oppresso che di questi rovina, per prima cosa, il corpo. Il conquistatore non distrugge il vinto, non ha interesse a sbarazzarsi del vinto ma a penetrarlo con un preciso veleno, fino al punto in cui il simile si assimili in lui al simile, e il vinto non sia più là, ma il suo corpo solo con la coscienza del solo vincitore; questa operazione è ricorrente nel mondo, ma ciò che non si sa è che essa è anche voluta e concertata ed è fatta, voglio dire vissuta da un certo numero d'individui, che non hanno altro compito se non quello di pensare alle individualità interessanti, e fanno di tutto per trasmettere loro il virus della deportazione, dell'internamento, dell'imprigionamento, della servitù, e quello della nazionalità. (13)

Hitler praticava in grande questa operazione. - A dire il vero, non si chiamava neppure Hitler, perché Hitler non è un nome che in yugoslavo, in moldo-valacco, in ceco si possa mettere sullo stesso piano di hip-hip-hurrà, alleluja, osanna, de profundis, ma una parola, una specie di esclamazione che si può mettere su quel piano quando il cognome non vi si mette. (14)

Ho dimenticato il suo cognome, ma lo ho incontrato a Berlino nel 1932 in un caffè che avrebbe voluto essere ciò che era il Dôme a Montparnasse ma che non ci riusciva affatto, e che si chiamava Romanisches cafè. - Caffè degli zingari - poiché il sedicente Hitler si faceva passare per un sedicente bohémien.

Ho girato un film senza importanza intitolato Coup de feu à l'aube. Ne avevo girato un altro l'anno precedente al cui ricordo, al contrario, tengo molto e si chiamava: L'Opéra de quatre-sous, e in cui avevo ricevuto la visita di un gendarme che mi fece paura, poi si rivelò come un amico e mi disse di sputare sull'hitlerismo. Ma l'autentico Hitler del Romanisches cafè, al contrario, mi disse di voler imporre l'Hit-lerismo come si imporrebbe lo hip-hip-hurraismo, e come si è voluta creare un giorno l'Eurasia (Europe-Asie).

Tutto alla lira, etc. Gli dissi che era un po' toccato ad avere idee del genere. E che d'altronde io lo conoscevo da tempo come un sedicente iniziato, come un megalomane ammaliatore, uno dei tipi più perfetti della razza di coloro che hanno la pretesa di condurre i popoli non con azioni, ma unicamente con idee, voglio dire movimenti come magnetiche d'ideazione, voglio dire onde psichiche, etc. (15)

Ne seguì una spaventosa baruffa nel corso della quale il sedicente Hitler fece chiamare la polizia per farmi arrestare. Ed essa venne e nella ressa prese le mie difese contro questo ripugnante moldo-valacco che in seguito si pose alla guida della Germania sotto il nome pretestuoso di Hitler. - Poiché quell'Hitler, l'Hitler della storia, era in realtà un moldo-valacco, ossia figlio di una razza di vecchi impiccati ben noti per i propri tenebrosi traffici sul respiro degli antichi defunti. - Hitler è morto ma la sua razza non ha finito di nuocere e lo vede e lo invoca dovunque. (16)

Conoscete la leggenda della mandragora, questa specie di semenza che cresce, si dice, ai piedi dei cadaveri degli impiccati, e che sarebbe nata dall'eiaculazione del loro sperma al momento dello strangolamento. (17) Hitler in segreto pretendeva di discenderne. - Poiché non è solo la Sua deportazione, signor Pierre Bousquet, che i moldo-valacchi di Berlino avevano premeditato, ma molte altre. - E non hanno finito con questa congiura, ma sono tornati in Moldo-Valacchia. - Poiché tutto il mondo ha sofferto dell'hitlerismo tranne gli autentici hitleriani i quali non si sono dichiarati vinti, ma servendosi di non so quale stratagemma sono giunti a svignarsela dalla Germania e sono tornati nel proprio paese.

A causa dei loro maneggi e dei loro giochetti di prestigio una deportazione più grave minaccia tutti, qualcosa come un transfert di non so che cosa di noi stessi verso non si sa dove, quando noi, noi non saremo più qui, e l'hitlerismo avrà preso dappertutto il nostro posto, al posto di un'Europa e di un'Eurasia, in qualcosa come un'Eurasia. (18) È un mito ma ce ne sono altri. Poiché siamo circondati di Miti che vogliono partorirsi addosso a noi, che cosa fare?

Costruire un palcoscenico per danzare i miti che ci martirizzano e farne degli esseri veri prima di imporre a tutti la mandragora seminale della semenza delle idee. (19)

Amichevolmente Suo

Antonin Artaud

P.S.: - Danzare è soffrire un mito, sostituirlo, quindi, con la realtà.

 

Note:

*) Le note sono del curatore e, oltre ad esplicare i riferimenti contenuti nel testo, suggeriscono talvolta anche possibili percorsi interpretativi che rimandano al saggio introduttivo di Marco Dotti, Antonin Artaud: l'altro e il suo doppio.

1) Il titolo qui proposto trova la propria ragione in una successiva lettera indirizzata da Artaud a Bousquet (lettera del 23 maggio 1946), vedi A. Artaud, Œuvres complètes. Lettres écrites de Rodez (1945-1946), vol. XI, a cura di P. Thévenin, Paris, Gallimard, 1974, p. 282: "je vous ai fait remettre ma "Lettre sur les déportations" à vous adressée, par mon ami le Dr. Jean Duqueker. - J'espère vous y avoir bien fait sentir tout ce que je voulais vous dire".

2) Città della Francia centro-meridionale, capoluogo del dipartimento dell'Aveyron.

3) Alla fine del 1937, Antonin Artaud è internato nella clinica di Sotteville-lès-Rouen. Il 28 marzo 1938 viene trasferito al Sainte-Anne di Parigi, e da qui, il 23 febbraio 1939, a Ville-Évrard (sempre a Parigi). Dal giugno del '43, sotto le cure dello psichiatra Gaston Ferdière, direttore del manicomio di Rodez (in cui Artaud si trovava dall'11 febbraio 1943), viene sottoposto a più di cinquanta sedute di elettroshockterapia. In base a questo trattamento, messo a punto negli anni '30 dal neurologo italiano Ugo Cerletti (1877-1963), nel paziente affetto da (presunti) disturbi da psicosi depressiva venivano indotti (per mezzo di scariche elettriche trasmesse da elettrodi posti alle tempie dei pazienti, ad una potenza di 300-600 milliampère e 80-110 volt, e ad intervalli di 6-7 decimi di secondo) accessi epilettici e convulsivi. Il primo esperimento sull'uomo fu condotto da Cerletti nel 1938, vedi U. Cerletti, L'Elettroshock, "Rivista Sperimentale di Frenatria", I (1940). Durante uno spasmo elettrico indotto dallo shock, ricorda Paule Thévenin, Artaud si ruppe la nona vertebra dorsale. Sul periodo di Rodez, cfr. S. Harel, Vies et morts d'Antonin Artaud. Le séjour à Rodez, Longueuil, Le Préambule, 1990; J.-M. Rey, Le fonti di Artaud, "Il piccolo Hans", n. 40 (dicembre 1983), pp. 89-112 e Id., La naissance de la poésie - Antonin Artaud, Paris, Métailié, 1991.

4) Artaud si è sempre considerato vittima di una fattura. "Non sono il solo scrittore ad aver parlato di sortilegio", afferma Artaud citando Là-bas di Huysmans. La fattura è nella norma, ma il corpo di Artaud, il corpo senza legge, non vuole essere posseduto: perché "il mio corpo è mio, non voglio che se ne disponga. [...] Non voglio che lo prendano per metterlo in cella, per mettergli la camicia di forza, per attaccargli i piedi al letto, rinchiuderlo in un reparto di manicomio, proibirgli sempre di uscire, avvelenarlo, pestarlo di santa ragione, privarlo di cibo, addormentarlo con l'elettricità". Sono gli uomini dell'ordine, quelli che, reclutati e assoldati dal potere, costringono gli uomini nella rete di oscuri incantesimi. Sul punto, l'atteggiamento di Artaud nei confronti del nazifascismo è stato spesso frainteso, anche a causa di un'approssimativa considerazione proprio di questa lettera (e di una correlativa sopravvalutazione di una celebre, ma poco determinante, dedica a Hitler apposta da Artaud a Le nuove rivelazioni dell'essere), cfr. N. Greene, "All the great myths are dark". Artaud and fascism, in G. A. Plunka (a cura di), Artaud and the modern theater, Rutherford, Fairleigh Dickinson UP, 1994 e G. Scarpetta, Artaud fasciste?, in La Littérature française sous l'occupation. Actes du colloque de Reims, 30 septembre-1er octobre 1981, Reims, Presses Universitaires de Reims, 1988. Sul rapporto tra ratio e magia, tra capitale e incantesimo, rinvio a L. Parinetto, Faust e Marx. Metafore alchemiche e critica dell'economia politica, satira inconclusiva non scientifica, Roma, Antonio Pellicani editore, 1989.

5) Vedi I. Cuevas, El desarrollo de la memoria en los niños preverbales, "Anthropos", n. 189-190 (1999).

6) Cittadina della Francia centrale, nel dipartimento dell'Allier. Dopo l'armistizio siglato con le forze dell'Asse nel 1940, Vichy divenne fino al 1944 la sede del governo collaborazionista retto dal generale Henri-Philippe-Homer Pétain (1856-1951). Cfr. R. O. Paxton, Vichy 1940-1944: il regime del disonore, tr. it. di G. Bernardi ed E. Mannucci, Milano, Il Saggiatore, 1999 e, per la politica antisemita del regime, R. O. Paxton e M. Marrus, Vichy et les Juifs, Paris, Calmann-Lévy, 1981.

7) Édouard Daladier (1884-1970), uomo politico francese. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, si occupò, da Ministro della Difesa Nazionale, dell'organizzazione militare della Francia.

8) Pierre Laval (1883-1945), avvocato e politico francese, era da sempre in ottimi rapporti con Benito Mussolini. Fu vicepresidente del consiglio nel "governo" di Pétain, organizzando l'incontro tra questi e Hitler. Divenne, in seguito, capo del governo filonazista di Vichy. Dopo la liberazione fu processato, condannato e fucilato. Di lui si possono leggere le memorie dal carcere raccolte nel libro postumo Laval parle. Cfr. G. Warner, Pierre Laval and the Eclipse of France: 1831-1945, London, Macmillan, 1968.

9) Cfr. C. Levi, Paura della libertà, Torino, Einaudi, 1975 (I ed. 1946), p. 36: "un gruppo, una classe, una nazione dovranno forzatamente essere espulsi, essere considerati nemici, diventare stranieri per poter essere testimoni del dio, e vittime. E gli stranieri, a loro volta, saranno sacri e dovranno morire; e i guerrieri saranno sacerdoti, a loro volta sacrificati. Senza la consapevolezza di questa oscura necessità, che fa veri tutti gli dèi, volontarie tutte le servitù, sacre tutte le vittime; che lega inscindibilmente il signore e il servo, il re e il prigioniero, la bandiera e l'esilio, senza il senso della limitazione religiosa che trascina il mondo nelle sue vie sanguinose e adorate, la storia sarebbe incomprensibile". Scritto in Francia nel 1939, e pubblicato solo nel 1946, il testo di Levi è un documento lucido e straordinario sulle radici e gli effetti dell'idolatria delle istituzioni.

10) Il continuum repressivo tra istituzioni "naturali" (ad esempio la famiglia) e istituzioni "politiche" è sottolineato da F. Guattari, "La scuola", in Id., La rivoluzione molecolare, tr. it. di B. Bellotto, A. Rogghi Pullberg e A. Salsano, Torino, Einaudi, 1978, pp. 99 segg.). Ciò che si cerca, scrive Guattari, è una sorta di "miniaturizzazione del fascismo", una sua inserzione "leggera" nei dispositivi che "lavorano alla produzione dei legami sociali". Oggi, "non si farà più necessariamente uso del manganello o dei campi di sterminio: si cercherà piuttosto di controllare i singoli con legami quasi invisibili che li assoggetteranno tanto meglio al modo di produzione capitalistico (o socialista-burocratico) in quanto l'investiranno a livello inconscio".

11) È questo lo stadio del rischio diffuso, dove la concentrazione del comando su tutta la produzione riconduce la società allo stadio del dominio immediato. Vedi anche la posizione di M. Horkheimer e Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (1944), tr. it. di S. Solmi, Torino, Einaudi, 1997.

12) Sulla figura dell'esilio, vedi G. Agamben, Politica dell'esilio, "DeriveApprodi", XVI (1999), pp. 25-27.

13) Sul biopotere come cifra della modernità, cfr. M. Foucault, La volontà di sapere, tr. it. di P. Pasquino e G. Procacci, Milano, Feltrinelli, 1978, cap. V.

14) Sull'ingresso in scena della marionetta-Hitler, cfr. C. Pasi, "Lo specchio della crudeltà: Antonin Artaud", in Id., La comunicazione crudele. Da Baudelaire a Beckett, Torino, Bollati-Boringhieri, 1999, p. 166. Come burattino è invece rappresentato l'Hitler del film di Hans-Jürgen Syberberg Hitler, un film sulla Germania (Hitler, ein Film aus Deutschland, 1977). Vedi P. P. Pasolini, La Divina mimesis, Torino, Einaudi, 1993 (I ed. 1975), p. 38: "l'Inferno che mi sono messo in testa di descrivere è stato semplicemente già descritto da Hitler. È attraverso la sua politica che l'Irrealtà si è veramente mostrata in tutta la sua luce. È da essa che i borghesi hanno tratto vero scandalo, o, mi vergogno a dirlo, hanno vissuto la vera contraddizione della loro vita. Hitler è stato frutto dei loro figli poeti, che hanno fatto un sogno molto più vero, più grande e più terribile di quello che fossero in grado di fare". Così scrive Jesi - a commento del progetto di un proprio studio - a Kerényi: "se analizzo il più freddamente possibile la mia posizione vi ritrovo una specie di fatalismo [...]. È giusto che Hitler e i suoi complici siano stati puniti: altrimenti la vita non avrebbe potuto sopravvivere. Ma credo di riconoscere nell'opera di Hitler qualcosa che trascende le responsabilità umane; credo insomma che il vero colpevole degli orrori del nazismo non sia l'uomo-Hitler, ma una forza temibile quanto gli Angeli di Rilke che si è servita di quell'uomo, invadendo la sua volontà" (Jesi a Kerényi, 16 maggio 1965). "Hitler - gli risponde più concretamente il mitologo ungherese - fu un delinquente e uno psicopatico e lo furono anche i suoi complici. [...] Per costoro anche il mito falso era buono per ingannare consapevolmente il mondo" (Kerényi a Jesi, 25 maggio 1965). Jesi, però, con lo sguardo insolente dell'allievo che ha appreso troppo bene, ma anche troppo in fretta, seppe cogliere ciò che il maestro non sapeva o si illudeva di non poter cogliere: il volto tragico dell'irrazionalità politica, la dinamica irresponsabile che trasforma il mezzo in un fine asservito agli scribacchini ed ai burocrati devoti al Leviatano.

15) Sul retroterra esoterico del nazismo, vedi G. L. Mosse, L'uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, tr. it. di P. Negri, Roma-Bari, Laterza, 1988, cap. VIII, "Le origini mistiche del nazionalsocialismo". Lex animata, il Führer ordina sotto di sé - richiamandosi a persistenze dell'antico diritto germanico nel rapporto con il "sacro" - l'intero ordinamento giuridico nazionalsocialista (Führerprinzip) e l'intera vita pubblica (Führergedanke) dei sottoposti. In questo senso, come sottolineava Carl Schmitt, "la forza dello Stato nazionalsocialista consiste nell'essere dominato e penetrato, da cima a fondo, e in ogni suo atomo, dall'idea del Führertum", C. Schmitt, La categoria del Führer come concetto fondamentale del diritto nazionalsocialista, "Lo Stato", IV (1933). In questo senso, il Führer "forma con i suoi seguaci una Comunità", composta non di "sudditi", nel senso classico attribuibile al termine nel rapporto dittatore-sottoposti, ma di seguaci (un seguito, Gefolgschaft) fondando il legame su un rapporto di fiducia, vedi C. Schmitt, "I caratteri essenziali dello Stato nazionalsocialista", in O. Ranelletti (a cura di), Gli Stati europei a partito politico unico, Milano, Panorama Casa Editrice Italiana, 1936. Sulla forza magnetica del capo e sul contagio di potere all'interno delle masse fasciste, cfr. Theodor W. Adorno, La mentalità fascista, tr. it. di M. Lattes, "Questioni", VI (1957) e L. Parinetto, Marx diversoperverso, Milano, Unicopli, 1996, p. 210.

16) Cfr. F. Guattari, "La fine dei feticismi", in Id., La rivoluzione molecolare, cit., p. 19: "il ruolo di Hitler in quanto individuo portatore di un certo tipo di competenza, è certo stato trascurabile, ma in quanto ha prodotto la cristallizzazione di una nuova figura di macchina totalitaria, è stato e resta fondamentale. Hitler è ancora vivo: si aggira nei sogni, nei deliri, nei film, nei comportamenti della polizia che tortura, fra le bande di giovani che venerano la sua effigie".

17) Secondo la leggenda, la mandragora (in tedesco: Hexenkraut) crescerebbe ai piedi delle forche, dal seme degli innocenti ingiustamente impiccati. In tedesco, il nome usato per indicare la radice della mandragora è Galgenmannlein (letteralmente piccolo uomo della forca). Sul mito a cui fa riferimento Artaud, diffuso nell'Europa centro-settentrionale, vedi M. Izzi, La radice dell'uomo. Storia e mito della mandragora, Roma, Ianua, 1987 e G. Samorini, Gli allucinogeni nel mito, Torino, Nautilus, 1995, pp. 56-61. Secondo quanto risulta a Mircea Eliade, i rumeni non conoscerebbero il mito della nascita della mandragora (in rumeno: matraguna) dal seme dell'impiccato, vedi M. Eliade, "Il culto della mandragora in Romania", in Id., Da Zalmoxis a Gengis-Khan, tr. it. di A. Sobrero, Roma, Ubaldini, 1975, p. 197 (cfr. De Zalmoxis à Gengis-Khan, Paris, Payot, 1970). Al mito fa, invece, riferimento Georges Brassens, nella canzone Le moyenâgeux: "A la fin, les anges du guet / m'auraient conduit sur le gibet. / Je serais mort, jambes en l'air, / sur la veuve patibulaire, / en arrosant la mandragore, / l'herbe aux pendus qui revigore, / en bénissant avec les pieds / les ribaudes apitoyés".

18) Su quest'idea, cfr. lo scritto paranazista di A. Dughin, "L'inconscio dell'Eurasia (Podsazdanie Evrasii), in Id., Continente Russia, tr. it. di D. Valdorio, Parma, All'insegna del Veltro, 1991.

19) C. Pasi, "Lo specchio della crudeltà: Antonin Artaud", cit., p. 167: "I miti che hanno insanguinato la storia dovranno incarnarsi nei corpi vivi degli attori per esporre la verità da sempre occultata. [...] Le idee si fanno corpo di teatro per scorrere come un sapere che ci liberi. Da lì, dalla riconquista di un sapere corporeo strappato all'asservimento dei cervelli, con un guizzo, una danza, forse si potrà ricominciare". Cfr. C. Dumoulié, Antonin Artaud, tr. it. di M. Guareschi, Genova-Milano, Costa & Nolan, 1998, p. 117. Potrebbe essere utile, in proposito, recuperare il modello della macchina mitologica - modello proposto e utilizzato in più luoghi da Furio Jesi - intesa come "congegno che produce epifanie di miti" e che al suo interno "potrebbe contenere il mito stesso", ma potrebbe, ecco il punto, anche "essere vuota". Cfr. F. Jesi, Mito, Milano, ISEDI, 1973.